tag:blogger.com,1999:blog-62728756160735506392024-03-04T20:10:25.274-08:00Psicologia Clinica RomaE'il blog dello Studio Prospettive PsicoSociali, in cui trovare notizie, approfondimenti e poter dialogare con noi. Visitate anche il nostro sito www.prospettivepsicosociali.org o chiamateci allo 06 7014826Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.comBlogger37125tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-48723578760043445192012-01-21T15:27:00.000-08:002012-01-22T14:22:50.229-08:00“Insieme nell’attesa” SERVIZIO PSICOLOGICO DI CONSULENZA E SUPPORTO ALL’INFERTILITA’ DI COPPIA E AI PERCORSI DI REALIZZAZIONE DELLA GENITORIALITA’<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><span style="font-size: 14pt;">Una breve panoramica</span></b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">L’infertilità viene generalmente definita come l’incapacità di ottenere una gravidanza dopo un periodo di almeno 12 mesi nei quali la coppia ha avuto rapporti sessuali frequenti e non protetti. Si stima infatti che dopo un anno di rapporti frequenti e non protetti una gravidanza si verifichi in circa l’84% dei casi, percentuale che arriva fino al 93% dopo tre anni. Sebbene i termini di “infertilità” e “sterilità” siano spesso utilizzati come sinonimi, il primo più precisamente indica l’incapacità di una donna a portare a termine una gravidanza mentre il secondo riguarda una condizione fisica permanente, sia maschile che femminile, che rende impossibile il concepimento di un bambino. Secondo i dati forniti da Ministero della Salute in Italia circa il 30% delle coppie, ovvero una su quattro, ha problemi di infertilità, in linea con gli altri Paesi industrializzati. Questo dato, se rapportato al numero dei nuovi matrimoni che avvengono ogni anno in Italia indica come almeno 100000 nuove coppie presentano difficoltà riproduttive legate a svariate cause. L’acutizzarsi del fenomeno negli ultimi 10 -15 anni è da attribuirsi a differenti ragioni fra le quali, in particolare, i cambiamenti culturali che hanno portato le donne a ricercare una gravidanza in età sempre più avanzata (oltre i 35 anni), il diffondersi di malattie a trasmissione sessuale in grado di incidere negativamente sulle capacità riproduttive della coppia, l’inquinamento ambientale e gli stili di vita meno salutari. </div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Generalmente la coppia, dopo numerosi tentativi naturali non andati a buon fine, comincia ad interrogarsi sui motivi del mancato concepimento attivando l’iter medico degli esami e delle consultazioni specialistiche. In questo scenario, la scoperta di non potere concepire un figlio naturalmente porta la coppia a confrontarsi con la necessità di operare delle scelte importanti che riguardano, nello specifico, l’affidarsi alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA), l’accedere ai programmi di adozione o rinunciare al desiderio di diventare genitori. Prim’ancora, tuttavia, la coppia si trova dolorosamente a confrontarsi con il fatto che l’infertilità rappresenta una <i>variabile imprevista</i>, nel senso che ciascuno di noi immagina di poter avere un bambino nel momento in cui lo desidera ma questo non sempre è possibile.</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><span style="font-size: 14pt;">Verso un approccio integrato medico-psicologico alla lettura del problema…</span></b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">L’infertilità può essere intesa come una fra le peggiori “crisi del progetto di vita” che investe, su differenti piani esistenziali, sia l’individuo che la coppia determinando profondi vissuti di stress, sofferenza, frustrazione, incertezza, senso di inadeguatezza e disagio personale e sociale, tanto più accesi nei casi in cui il “diventare genitori” rappresenta il progetto fondante lo stare insieme della coppia. In questo senso, la diagnosi di infertilità suscita sempre una forte reazione di shock e di sorpresa, fino al rifiuto, comportando livelli significativi di ansia, delusione, vergogna e tendenza all’isolamento. La donna solitamente tende a percepirsi come inutile e “difettosa”, avverte sentimenti di rabbia, perdita dell’autostima, depressione e sensi di colpa mentre la reazione dell’uomo è generalmente più silenziosa ma altrettanto dolorosa, legata a vissuti di impotenza, angoscia e vergogna spesso acuiti dall’incapacità di condividere ed elaborare tali emozioni. A livello di coppia, la diagnosi di infertilità può mettere a dura prova gli equilibri e la stabilità del legame, il partner portatore del problema può spesso sentirsi responsabile ed in colpa nei confronti del coniuge fertile il quale, a sua volta, può avvertire rabbia e conflittualità, più o meno latenti, verso l’altro che impedisce la realizzazione del desiderio di genitorialità. Le conseguenze emotive dell’infertilità possono riguardare anche il rapporto della coppia con le rispettive famiglie d’origine alle quali è negata la possibilità di accedere ad altri ruoli (da genitori a nonni, da fratelli a zii). </div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Affidarsi alla medicina ed alle più recenti tecniche di riproduzione assistita significa sicuramente aumentare in maniera rilevante la possibilità di diventare genitori anche se espone la coppia ad un percorso faticoso, spesso molto lungo, sicuramente costoso e, a volte doloroso, quando i ripetuti tentativi non vanno a buon fine. Malgrado le aspettative generalmente ottimistiche di queste coppie nei confronti della medicina, infatti, non sempre le tecniche di riproduzione assistita riescono a risolvere il problema, ma soprattutto non è detto che ci riescano al primo tentativo. L’ansia per l’attesa dell’esito del trattamento e lo sconforto e la delusione connaturate ad ogni fallimento rappresentano reazioni usuali in questo tipo di percorsi. D’altra parte anche un eventuale successo, visto l’investimento in termini di tempo, risorse ed energie, viene generalmente vissuto dalla coppia con uno stato d’ansia e di ipervigilanza molto elevato, nell’idea che il bambino sia più prezioso e vulnerabile. </div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">In questo scenario la consulenza psicologica diventa un ottimo strumento per accompagnare le coppie che vivono l’esperienza di non riuscire a concepire un figlio, nella scelta del percorso a loro più adeguato e nell’affrontare con maggiore serenità e competenza il trattamento medico e l’eventuale esito qualunque esso sia.</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><span style="font-size: 14pt;">Linee progettuali</span></b></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Il Consiglio Superiore della Sanità, nelle sue linee guida pubblicate ad aprile 2008, si è espresso in merito alla necessità di offrire un adeguato supporto psicologico per tutte le coppie che si affidano alla medicina per risolvere i loro problemi di infertilità. La consulenza psicologica, da questo punto di vista, mira a porsi come uno strumento di supporto emozionale, di accompagnamento e di orientamento per tutti coloro che vivono un’esperienza di forte stress legato alla condizione di infertilità ed agli effetti che questa comporta, in termini di frustrazione del desiderio di poter avere un figlio, di pressione familiare e sociale, difficoltà ad adeguarsi alle procedure mediche impiegate e di far fronte ad eventuali insuccessi. Nello specifico, uno spazio di supporto psicologico per la coppia, già in una fase precedente l’inizio del trattamento, può essere funzionale a:</div><ul style="margin-top: 0cm;" type="disc"><li class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Poter parlare liberamente della delusione, del disagio e delle incertezze dovute ai tentativi naturali di concepimento falliti;</li>
<li class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Ricevere informazioni e supporto in vista delle visite, degli esami e della comunicazione della diagnosi;</li>
<li class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Maturare le scelte più appropriate per affrontare il problema nella maniera più realistica;</li>
<li class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Discutere eventuali alternative alla maternità/paternità come, ad esempio, l’adozione, l’affidamento o la scelta di una vita senza figli nella quale dedicarsi ad altri progetti.</li>
</ul><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Nel caso la coppia decida di affidarsi alle tecniche di riproduzione assistita la consulenza psicologica si pone come utile integrazione alle terapie mediche, rappresentando un momento essenziale per:</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;">·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Accettare la situazione presente ed accogliere/riconoscere il problema di infertilità offrendo alla coppia supporto emotivo rispetto ai vissuti di sofferenza, angoscia, rabbia, senso di colpa e sfiducia nelle proprie possibilità;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;">·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Affrontare il trattamento medico in maniera realistica, informata e consapevole dei tempi, delle risorse necessarie e dei possibili insuccessi;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;">·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Riattivare risorse individuali e di coppia adeguate ad affrontare la situazione (<i>decision making</i>) e sviluppare strategie di sostegno e gestione (<i>coping</i>) dello stress più efficaci;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;">·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Favorire comunicazioni più funzionali fra i partner preservando la qualità della relazione coniugale ed elaborando possibili credenze e pensieri disfunzionali della coppia rispetto al concepimento;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;">·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Affrontare i frequenti insuccessi del trattamento, dovuti alle normali difficoltà di impianto, facilitando l’elaborazione del dolore, rispetto al fallimento o alla perdita subita, e la scelta delle decisioni più adeguate da prendere; </div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;">·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Affrontare l’insorgere di eventuali problemi e conflitti della coppia relativi a temi specifici quali quelli sessuali ed interpersonali che possono incidere indirettamente sul buon esito del trattamento; </div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;">·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Aiutare la coppia ad accettare la decisione di interrompere i trattamenti nel caso in cui le probabilità di ottenere l’evento sperato, anche a seguito di ripetuti insuccessi, siano ormai quasi nulle, favorendo l’elaborazione del lutto circa l’irrealizzabilità del desiderio di genitorialità ed orientando i partner verso nuovi progetti e investimenti emotivi.</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">L’esperienza di infertilità vissuta dalla coppia, inoltre, può influenzare in maniera significativa anche il modo in cui verrà vissuta una eventuale gravidanza esito della riproduzione assistita ed il successivo rapporto con il bambino/i così generati. Attraverso il supporto psicologico diventa essenziale in queste situazioni:</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;">·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Contenere il frequente insorgere di emozioni persistenti di ansia e preoccupazione relative alla possibilità di eventuali complicazioni e rischi di aborto che possono rendere a volte drammatico l’intero periodo della gravidanza;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;">·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Facilitare l’adattamento della coppia precedentemente infertile alla nuova situazione e favorire progressivamente la transizione alla genitorialità;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;">·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Sostenere la coppia rispetto a problematiche specifiche come le frequenti gravidanze multiple, la riduzione dei feti, le difficoltà di gestione e i rischi per la stabilità nel caso di parti trigemini o quadrigemini ed, infine, le questioni relative alla fecondazione eterologa (vietata in Italia) e all’impatto che può avere sui coniugi la gestione del segreto, l’anonimato o l’ambivalenza che spesso si percepisce nei confronti del feto.</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">È a partire da queste tematiche che possiamo pensare ad un Servizio Psicologico specificamente rivolto alle esigenze di questi pazienti.</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><span style="font-size: 14pt;">La proposta di un Servizio dedicato…</span></b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12pt;">Nel nostro Paese, secondo i dati del Istituto Superiore di Sanità (<i>Registro Nazionale Procreazione Medicalmente Assistita</i>), sono presenti circa 350 Centri, fra pubblico, privato e convenzionato, che si occupano di tecniche di PMA in linea con le direttive della Legge 40/2004 e delle successive Sentenze della Corte Costituzionale (n. 151/2009) in materia di riproduzione assistita. La Regione Lazio attualmente non ha ancora emanato le autorizzazioni dei Centri per l’applicazione di tecniche di PMA. Nelle strutture individuate è solitamente prevista la figura dello psicologo che, limitatamente alla durata ed alle esigenze del trattamento effettuato, offre informazioni e sostegno alle coppie che ne fanno esplicita richiesta. Coloro che si rivolgono a Centri al di fuori del territorio nazionale spesso non possono usufruire del supporto psicologico per ovvi problemi di lingua e di tempi a disposizione. Il presente progetto nasce pertanto dall’esigenza di organizzare un <b>Servizio</b> <b>Psicologico</b> stabile nel territorio romano e della Regione Lazio, dedicato ai problemi di infertilità ed in grado di erogare le proprie prestazioni non solo all’utenza che si appresta ad effettuare un trattamento di PMA, in Italia o all’estero, ma più in generale a tutte le coppie che con le più svariate necessità vivono problematiche legate alla difficoltà di costruire la propria genitorialità. Il nostro Servizio Psicologico si pone dunque, come obiettivo primari</span><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12pt;">o quello di svolgere in maniera altamente qualificata funzioni informative, preventive e di orientamento/supporto emotivo alla realizzazione del percorso di genitorialità, proponendo prezzi moderati (35 euro a colloquio) e massima flessibilità nel venire incontro alle esigenze delle persone interessate.Per maggiori informazioni è possibile contattare i numeri telefonici: 06 7014826 o 347 9090279 dal lnedi a venerdi </span><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12pt;"> </span><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="file:///C:/Users/Carlo/AppData/Local/Temp/msohtmlclip1/01/clip_image005.gif" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><br />
</a></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="height: 55px; left: 0px; margin-left: 407px; margin-top: 12px; position: absolute; width: 101px; z-index: 251660800;"></span> </div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><table align="left" cellpadding="0" cellspacing="0"><tbody>
<tr> <td height="5" width="131"><br />
</td> <td width="53"><br />
</td> <td width="5"><br />
</td> <td width="426"><br />
</td> </tr>
<tr> <td height="74"><br />
</td> <td colspan="2"><br />
</td> <td align="left" rowspan="3" valign="top"></td> </tr>
<tr> <td height="31"><br />
</td> </tr>
<tr> <td height="116"><br />
</td> </tr>
</tbody></table><br />
<div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-51331167570966889662011-09-27T15:17:00.000-07:002011-09-27T15:17:57.845-07:00L'INTERVENTO PSICOLOGICO NELLE ORGANIZZAZIONI<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbHO4JR1nku8gVCPUVvCLNjZW6a5qtA3sxOAG422UsZ0tHITSgTSWV-6VQAfQeiRWCMVR6Rn6TVZ-7nUml1sq9kSs2yCoqyeDo4Umdl1qvW_7-AHx4YC1kneVbxTtzTt0ANeb2-NEFBTE/s1600/img127.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbHO4JR1nku8gVCPUVvCLNjZW6a5qtA3sxOAG422UsZ0tHITSgTSWV-6VQAfQeiRWCMVR6Rn6TVZ-7nUml1sq9kSs2yCoqyeDo4Umdl1qvW_7-AHx4YC1kneVbxTtzTt0ANeb2-NEFBTE/s320/img127.jpg" width="224" /></a></div><br />
<br />
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</style> <![endif]--> <div class="MsoNormal"> CARLO FODDIS (2011) "LA CONSULENZA ORGANIZZATIVA. Modelli di intervento psicosociale nelle organizzazioni" ROMA: ARMANDO EDITORE, pg. 160, 14,00 euro</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal">Il testo affronta il tema della consulenza organizzativa, con una particolare attenzione rivolta agli aspetti teorici, ai modelli ed agli strumenti operativi che fondano il processo metodologico d’intervento di un professionista esterno entro i più svariati sistemi organizzativi. Il libro, dunque, è rivolto primariamente a psicologi ma anche ad altri professionisti che lavorano con le aziende proponendo progetti di innovazione organizzativa, di sviluppo dei sistemi di convivenza interni e dei rapporti produttivi fra l’azienda ed il proprio mercato. L’ipotesi che guida l’organizzazione dell’opera è quella secondo cui la variabilità delle domande e dei contesti produttivi di intervento richiede al consulente lo sviluppo di specifiche competenze organizzative oltre che tecniche e metodologiche. Attraverso i 5 capitoli che compongono il libro si sviluppa, pertanto, un preciso percorso metodologico e narrativo che conduce il lettore ad approfondire la conoscenza del funzionamento produttivo del sistema aziendale cliente (Cap. 1), capire come sviluppare partecipazione e committenza nelle relazioni con il management aziendale e con i gruppi di lavoro presenti (Cap. 2, 3), elaborare e definire metodologicamente obiettivi e progetti realistici d’intervento (Cap. 4) ed, infine, orientare la propria prassi professionale alla soddisfazione del cliente ed alla creazione di una catena del valore nel rapporto fra l’azienda ed il proprio mercato di riferimento (Cap. 5). In questo senso, il libro si propone come una sorta di “cassetta degli attrezzi” utile al consulente per orientarsi, pensare e costruire l’intervento entro i più svariati contesti organizzativi entro i quali è chiamato ad operare. In ciascuno dei capitoli proposti vengono presentati specifici strumenti di lavoro ed aree di approfondimento utili al professionista nella gestione efficace del proprio intervento.</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
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</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: Garamond;">Introduzione</span></b><span style="font-family: Garamond;"> <span> </span><span> </span>5</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: Garamond;">Capitolo 1: <i>“CONOSCERE IL CONTESTO D’INTERVENTO: LA MODELLIZZAZZIONE DEI PROCESSI ORGANIZZATIVI”</i></span></b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 45pt; text-align: justify; text-indent: -45pt;"><b><span style="font-family: Garamond;"><span>1.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></b><b><span style="font-family: Garamond;">Appunti di viaggio: attori, obiettivi, scenari <span> </span><span> </span></span></b><span style="font-family: Garamond;"></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 18pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><b><span style="font-family: Garamond;"><span>2.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></b><b><span style="font-family: Garamond;">La gestione aziendale per processi <span> </span></span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 45pt; text-align: justify; text-indent: -27pt;"><span style="font-family: Garamond;"><span>2.1<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-family: Garamond;">Cos’è un processo organizzativo <span> </span><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 45pt; text-align: justify; text-indent: -27pt;"><span style="font-family: Garamond;"><span>2.2<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-family: Garamond;">Mappare i processi aziendali<span> </span><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 45pt; text-align: justify; text-indent: -45pt;"><b><span style="font-family: Garamond;"><span>3.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></b><b><span style="font-family: Garamond;">Il linguaggio di modellizzazione aziendale IDEF 0<span> </span></span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 18pt;"><span style="font-family: Garamond;">3.1<b> </b>Sintassi e semantica del linguaggio IDEF 0<span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: Garamond;">4.</span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span><b>Ricomporre il nesso fra <i>azione</i> e <i>organizzazione<span> </span></i></b><span> </span><b><i><span> </span></i></b><span> </span></span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: Garamond;">Capitolo 2: <i>“LA CONVIVENZA PRODUTTIVA: PARTECIPARE E GESTIRE GRUPPI DI LAVORO”</i></span></b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 37.5pt; text-align: justify; text-indent: -37.5pt;"><b><span style="font-family: Garamond;"><span>1.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></b><b><span style="font-family: Garamond;">La costruzione “emozionata” della realtà organizzativa<span> </span></span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-right: -4.1pt; text-align: justify; text-indent: -37.5pt;"><b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span>2.<span> </span>I gruppi di lavoro: uno sguardo alla letteratura </span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -37.5pt;"><b><span style="font-family: Garamond;"><span>3.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></b><b><span style="font-family: Garamond;">Gruppo di lavoro e processo produttivo<span> </span></span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -37.5pt;"><b><span style="font-family: Garamond;"><span>4.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></b><b><span style="font-family: Garamond;">La dimensione organizzativa del gruppo <span> </span></span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 54pt; text-align: justify; text-indent: -36pt;"><span style="font-family: Garamond;"><span>4.1<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-family: Garamond;">Il gruppo nei suoi aspetti costitutivi<span> </span><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond;"><span> </span>4.2 Confrontarsi con la realizzazione del prodotto<span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond;"><span> </span>4.3 La gestione della convivenza produttiva<span> </span><span> </span><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 18pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><b><span style="font-family: Garamond;"><span>5.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></b><b><span style="font-family: Garamond;">Un modello di lettura dell’operatività di gruppo </span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: Garamond;">6.<span> </span>La dinamica istituzionale del gruppo </span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span><span> </span><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 18pt; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: Garamond;">Capitolo 3°: <i>“COSTRUIRE COMMITTENZA: DALLA DIAGNOSI ORGANIZZATIVA ALLA CONDIVISIONE DEL PROGETTO DI<span> </span>SVILUPPO”</i></span></b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -36pt;"><b><span style="font-family: Garamond;"><span>1.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></b><b><span style="font-family: Garamond;">L’intervento consulenziale nei sistemi sociali complessi </span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -36pt;"><b><span style="font-family: Garamond;"><span>2.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></b><b><span style="font-family: Garamond;">Modelli di consulenza <span> </span></span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -36pt;"><b><span style="font-family: Garamond;"><span>3.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></b><b><span style="font-family: Garamond;">Il setting della consulenza </span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span><b> </b></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -36pt;"><b><span style="font-family: Garamond;"><span>4.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></b><b><span style="font-family: Garamond;">La domanda di intervento <span> </span></span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -36pt;"><b><span style="font-family: Garamond;"><span>5.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></b><b><span style="font-family: Garamond;">Strumenti della consulenza<span> </span></span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond;"><span> </span>5.1<span> </span>Il brainstorming <span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 42pt; text-align: justify; text-indent: -24pt;"><span style="font-family: Garamond;"><span>5.2<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-family: Garamond;"><span> </span>Diagramma a lisca di pesce di Ishikawa <span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 42pt; text-align: justify; text-indent: -24pt;"><span style="font-family: Garamond;"><span>5.3<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-family: Garamond;"><span> </span>Diagramma di Pareto<span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 42pt; text-align: justify; text-indent: -24pt;"><span style="font-family: Garamond;"><span>5.4<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-family: Garamond;"><span> </span>Il Problem Solving<span> </span><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 42pt; text-align: justify; text-indent: -24pt;"><span style="font-family: Garamond;"><span>5.5<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-family: Garamond;"><span> </span>L’Analisi dei casi <span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><b><span style="font-family: Garamond;">6.<span> </span>Individuare e definire i livelli di intervento </span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: Garamond;">Capitolo 4°: <i>“ELEMENTI DI PROJECT MANAGEMENT</i></span></b><b><i><span style="font-family: Garamond; font-size: 14pt;">”</span></i></b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -36pt;"><b><span style="font-family: Garamond;"><span>1.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></b><b><span style="font-family: Garamond;">Le dimensioni del progetto<span> </span></span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -36pt;"><b><span style="font-family: Garamond;"><span>2.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></b><b><span style="font-family: Garamond;">Il Project Management </span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span>83</span></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -36pt;"><b><span style="font-family: Garamond;"><span>3.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></b><b><span style="font-family: Garamond;">Il ciclo di vita di un progetto </span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span></span></div><div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt 36pt; text-align: justify; text-indent: -36pt;"><b><span style="font-family: Garamond;"><span>4.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></b><b><span style="font-family: Garamond;">Definire gli obiettivi (Plan) </span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span></span></div><div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt 18pt; text-align: justify;"><span style="font-family: Garamond;">4.1</span><strong><span> </span></strong><strong><span style="font-family: Garamond; font-weight: normal;">Il Piano Generale del Progetto <span> </span></span></strong><strong><span></span></strong></div><div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt 18pt; text-align: justify;"><strong><span style="font-family: Garamond; font-weight: normal;">4.2 La dimensione temporale (<i>Time plan</i>) <span> </span>92</span></strong></div><div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt 18pt; text-align: justify;"><strong><span style="font-family: Garamond; font-weight: normal;">4.3 Il piano finanziario <span> </span></span></strong></div><div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt 36pt; text-align: justify; text-indent: -36pt;"><strong><span style="font-family: Garamond;"><span>5.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></strong><strong><span style="font-family: Garamond;">Fattibilità del progetto e Risk Management<span> </span></span></strong><strong><span style="font-family: Garamond; font-weight: normal;"><span> </span>95</span></strong><strong><span style="font-family: Garamond;"></span></strong></div><div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt 36pt; text-align: justify; text-indent: -36pt;"><strong><span style="font-family: Garamond;"><span>6.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></strong><strong><span style="font-family: Garamond;">DO” (realizzazione) </span></strong><strong><span style="font-family: Garamond; font-weight: normal;"><span> </span></span></strong><strong><span style="font-family: Garamond;"></span></strong></div><div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt 36pt; text-align: justify; text-indent: -36pt;"><strong><span style="font-family: Garamond;"><span>7.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></strong><strong><span style="font-family: Garamond;">Check” (verifica) </span></strong><strong><span style="font-family: Garamond; font-weight: normal;"><span> </span></span></strong><strong><span style="font-family: Garamond;"></span></strong></div><div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt 36pt; text-align: justify; text-indent: -36pt;"><span>8.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b><span style="font-family: Garamond;">“Act” (consolidamento) </span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span><span> </span></span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: Garamond;">Capitolo 5°: <i>“VERSO UNA CULTURA ORGANIZZATIVA ORIENTATA AL CLIENTE”</i></span></b></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -36pt;"><b><span style="font-family: Garamond;"><span>1.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></b><b><span style="font-family: Garamond;">Consulenza e customer satisfaction </span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -36pt;"><b><span style="font-family: Garamond;"><span>2.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></b><b><span style="font-family: Garamond;">Il cliente come partner aziendale <span> </span><span> </span></span></b><span style="font-family: Garamond;"></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -36pt;"><b><span style="font-family: Garamond;"><span>3.<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span></b><b><span style="font-family: Garamond;">La metodologia CRM</span></b><span style="font-family: Garamond;"> <span> </span><span> </span></span></div><div class="MsoNormal"><b><span style="font-family: Garamond; font-size: 14pt;"><span> </span></span></b><span style="font-family: Garamond;">3.1 Come funziona un sistema CRM <span> </span><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: Garamond;">4.<span> </span>Progettare una strategia CRM </span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span><span> </span>111</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: Garamond;">5.<span> </span>Immagine, comunicazione e posizionamento competitivo dell’azienda </span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span><span> </span><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: Garamond;">Conclusioni <span> </span></span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: Garamond;">Indice approfondimenti<span> </span></span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: Garamond;">Bibliografia </span></b><span style="font-family: Garamond;"><span> </span><span> </span></span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><br />
<br />
<br />
<br />
<br />
IL TESTO PUç ESSERE ACQUISTATO IN QUALSIASI LIBRERIA UNIVERSITARIA O MANDANDO UNA MAIL ALL'INDIRIZZO <b>carlofoddis@prospettivepsicosociali.org </b>PER POTER GODERE DELLO SCONTO DEL 20%.Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-49181634341390986592011-09-23T15:30:00.000-07:002011-09-23T15:30:05.176-07:00ANNUNCIO DI LAVOROData di pubblicazione: 23/09/2011<br />
Scadenza: 10/10/2011 <br />
<br />
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</style> <![endif]--> <div class="MsoNormal">Lo Spazio Be.Bi “Noi ci divertiamo” convenzionato con il Comune di Roma ricerca <b>n°1</b> nuova <b>educatrice</b> con le seguenti caratteristiche:</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span>-<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>TITOLO DI STUDIO: laurea V.O. in “Psicologia dello sviluppo e dell’educazione”, laurea magistrale in “Psicologia dello sviluppo, dell’educazione e del benessere”, laurea specialistica in “Psicologia del benessere nel corso di vita”, laurea specialistica in “Intervento<span> </span>psicologico nei contesti dello sviluppo e dell’educazione, laurea in Pedagogia o Scienze dell’Educazione, laurea in Scienze della Formazione Primaria, diploma del corso di laurea triennale per educatore nelle comunità infantili, diploma di scuola magistrale, diploma di assistente alla comunità d’infanzia, diploma di maturità magistrale o abilitazione magistrale;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span>-<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>ESPERIENZA PROFESSIONALE: almeno due anni maturati in strutture educative per bambini dai 0 ai 3 anni (asilo nido, spazio Be.Bi, ludoteca, ecc.). </div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Nel curriculum si dovranno indicare oltre ai titoli di studio posseduti, le esperienze lavorative avute nel settore infanzia (inserendo i riferimenti delle strutture educative in cui si è lavorato) e le specifiche competenze possedute (Corsi, abilità specifiche, interessi). </div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>Disponibilità richiesta</b>: 25 ore settimanali (5 ore giornaliere).</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Si prega di astenersi dal mandare il curriculum vitae se non in possesso delle caratteristiche sopra citate, saranno contattati solo i candidati idonei per il colloquio di selezione.</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Inviare il curriculum vitae a: consulenza@prospettivepsicosociali.org</div>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-73084014764029809592011-09-20T14:16:00.001-07:002011-09-20T14:16:58.888-07:00I GIOCHI DI RUOLO<!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> <w:Zoom>0</w:Zoom> <w:HyphenationZone>14</w:HyphenationZone> <w:PunctuationKerning/> <w:ValidateAgainstSchemas/> <w:SaveIfXMLInvalid>false</w:SaveIfXMLInvalid> <w:IgnoreMixedContent>false</w:IgnoreMixedContent> <w:AlwaysShowPlaceholderText>false</w:AlwaysShowPlaceholderText> <w:Compatibility> <w:BreakWrappedTables/> <w:SnapToGridInCell/> <w:WrapTextWithPunct/> <w:UseAsianBreakRules/> <w:DontGrowAutofit/> </w:Compatibility> <w:BrowserLevel>MicrosoftInternetExplorer4</w:BrowserLevel> </w:WordDocument> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 9]><xml> <w:LatentStyles DefLockedState="false" LatentStyleCount="156"> </w:LatentStyles> </xml><![endif]--><!--[if !mso]><img src="http://img2.blogblog.com/img/video_object.png" style="background-color: #b2b2b2; " class="BLOGGER-object-element tr_noresize tr_placeholder" id="ieooui" data-original-id="ieooui" /> <style>
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<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>“La missione spaziale”</b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><i>Durata: </i>30 minuti per lo svolgimento della simulata (5 min. per la lettura delle istruzioni, 5 min. per l’attribuzione dei ruoli, 20 min. per lo svolgimento dell’esercitazione) più il tempo di discussione in gruppo sul’esperienza.</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><i>Svolgimento</i>:</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span>1)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Il conduttore spiega brevemente al gruppo obbiettivi e modalità della simulata;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span>2)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><span> </span>Vengono individuati 5 partecipanti, gli altri presenti avranno il ruolo di osservatori;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span>3)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Si consegna ai partecipanti copia del “foglio di lavoro” e vengono loro attribuiti i vari ruoli dell’esercizio;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span>4)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>I 5 partecipanti devono prendere una decisione in relazione al compito loro proposto nel “foglio di lavoro”;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span>5)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Gli osservatori potranno esprimere le loro considerazioni solo al termine della simulazione, durante la discussione finale in plenaria;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span>6)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Il conduttore rimarca i tempi e, durante lo svolgimento della simulazione cercherà di avere un ruolo da osservatore, interrompendo il meno possibile l’attività decisionale del gruppo;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span>7)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Al termine della simulazione il conduttore apre una discussione in plenaria coinvolgendo partecipanti ed osservatori in un’analisi dell’esperienza.</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><i>Il “foglio di lavoro”</i>:</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Una navetta inviata in missione per 5 mesi, al momento del rientro nell’atmosfera terrestre presenta un guasto ai razzi propulsivi. Continua dunque ad orbitare intorno alla terra senza speranza di rientro. Il tempo per inviare il soccorso è lungo e la scorta di ossigeno della navetta orbitante è limitata ed insufficiente per tutti. Da terra viene comunicato ai membri della missione che il rapporto tempo/ossigeno è sufficiente a salvare la vita solo di 2, forse 3 membri dell’equipaggio prima dell’arrivo della navetta-soccorso. Entro 20 min. bisogna prendere una decisione su cosa fare, le alternative sono:</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span>-<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>morire tutti;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span>-<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>scegliere fra i membri dell’equipaggio i due che dovranno sacrificarsi immediatamente ed il terzo che dovrà seguirli nel caso i soccorsi tardino ad arrivare. </div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">L’equipaggio è composto da:</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 18pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;"><span>1)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Stuart, 45 anni, ingegnere spaziale, sposato e con un figlio di 15 anni, orientamento politico ultra-conservatore, religione cattolica;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 18pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;"><span>2)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Joshua, 30 anni, ebreo, scapolo con due genitori anziani a carico, orientamento politico radicale, chimico;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 18pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;"><span>3)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Pat, 40 anni, razza nera, coniugato con moglie portatrice di handicap, astronomo ed eccezionale musicista;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 18pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;"><span>4)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Monica, 30 anni, coniugata senza figli, bellissima, biochimica e psicologa, esperta in yoga;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 18pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;"><span>5)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Yol, 25 anni, indiano, medico ed esperto in comunicazioni, vive con tre fratellini di 7, 9 e 14 anni. </div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span> </span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>Tratto da: </b>Sberna M. (1989), “Giochi psicopedagogici 3”. Milano: Clup Ed..</div>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-17560991453465760722011-09-14T13:23:00.000-07:002011-09-14T13:23:08.355-07:00<h1 class="titolo-pagina">La consulenza organizzativa. Contesti, modelli e strumenti di intervento</h1><table border="0" cellpadding="2" cellspacing="0"><tbody>
<tr><td><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /> Data: <strong>7 Novembre 2011<br />
</strong></td> </tr>
<tr> <td><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /> Rilascio di <em>Attestato di Partecipazione</em></td> </tr>
<tr> <td><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /> Numero max. partecipanti: 14</td> </tr>
<tr> <td><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /> Quota di partecipazione: <strong>190€</strong> (tutti i prezzi sono iva inclusa).</td></tr>
</tbody></table><br />
<br />
<br />
<table border="0" cellpadding="0" cellspacing="0"><tbody>
<tr><td width="449"><strong>PRESENTAZIONE</strong></td> <td width="121"><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/diagnosti-neuropsicologica.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> Con il termine di <strong>consulenza organizzativa </strong>si fa, generalmente, riferimento ad un insieme di modelli, azioni metodologiche e strumenti che organizzano l’intervento del consulente psicologo entro le più disparate realtà produttive. Gli obiettivi che sostanziano tale rapporto professionale sono, principalmente, il promuovere conoscenza sui problemi che hanno motivato la domanda d'intervento rivolta al consulente, affrontare particolari fasi di transizione dell'azienda nel rapporto con il mercato e migliorarne l'efficienza dei propri processi produttivi, facilitare lo sviluppo dell'organizzazione, della sua immagine e della soddisfazione di clienti e personale interno.<br />
A livello didattico, l’organizzazione del corso riflette, pertanto, la necessità di chiarire i passi metodologici fondanti il processo di consulenza e di delineare utili strumenti e risorse trasversali, che consentano ai partecipanti di erogare la propria azione professionale entro i vari contesti d’intervento, secondo standard di qualità e di soddisfazione del proprio cliente.<br />
Il percorso formativo proposto, in particolare, si articola a partire dalla conoscenza delle dimensioni funzionali ed organizzative dei contesti produttivi, per soffermarsi sulla comprensione delle dinamiche fondanti i gruppi di lavoro e sulla costruzione del rapporto consulenziale con la committenza e le parti interessate, per arrivare infine, alla pianificazione/realizzazione dell’intervento e ad una verifica realistica dei risultati raggiunti e della soddisfazione dei vari interlocutori aziendali coinvolti<br />
</td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"> </td> </tr>
<tr> <td><a href="" name="obiettivi"></a><strong>OBIETTIVI FORMATIVI</strong></td> <td width="121"><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/diagnosti-neuropsicologica.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> In particolare il corso persegue i seguenti obiettivi didattici:<br />
<blockquote> <strong><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></strong> Presentare una panoramica articolata dei modelli e degli strumenti operativi comunemente utilizzati nella consulenza entro sistemi produttivi di vario tipo;<br />
<strong><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></strong> Fornire precise indicazioni metodologiche sull’avvio, l’organizzazione e la gestione delle varie fasi del processo di consulenza secondo un modello di intervento di tipo psicosociale;<br />
<strong><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></strong> Affinare nei partecipanti le capacità di gestione efficace dei gruppi di lavoro mediante specifiche esercitazioni di tipo esperienziale;<br />
<strong><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></strong> Sviluppare una<em> prassi </em>d’intervento orientata alla <em>customer satisfaction</em> nel rapporto fra consulente ed azienda e fra questa ed i propri clienti<br />
</blockquote></td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"> </td> </tr>
<tr> <td><a href="" name="destinatari"></a><strong>DESTINATARI</strong></td> <td width="121"><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/diagnosti-neuropsicologica.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> Il corso è rivolto principalmente a professionisti, a neo-laureati e a studenti (laurea specialistica) delle Scienze Psicologiche e Sociali motivati ad acquisire o approfondire specifiche competenze teoriche e metodologiche nel campo della realizzazione di interventi di consulenza organizzativa entro i più disparati sistemi produttivi.<br />
<blockquote> </blockquote></td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"> </td> </tr>
<tr> <td><a href="" name="tutor"></a><strong>TUTOR</strong></td> <td><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/consulenza-organizzativa.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> <strong>Dr. Carlo Foddis: </strong>Psicologo, Specialista in Psicologia Clinica, Psicoterapeuta, Esperto Sistemi di Gestione per la Qualità (Norme ISO 9000), vive a Roma dove svolge da diversi anni l’attività professionale coordinando il gruppo di lavoro “Prospettive Psicosociali” (<a href="http://www.prospettivepsicosociali.org/" target="_blank">www.prospettivepsicosociali.org</a>), sia in area clinica, sia nella consulenza organizzativa rivolta ad aziende di servizi di vario tipo, proponendo un modello di intervento psicosociale. Collabora con Obiettivo Psicologia dal 2007 come tutor on-line avanzato del corso e-learning sulla “Progettazione di interventi in ambito organizzativo e sociale”<br />
</td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"> </td> </tr>
<tr> <td><a href="" name="metodologia"></a><strong>METODOLOGIA DIDATTICA </strong></td> <td><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/consulenza-organizzativa.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> Il corso viene erogato secondo una modalità di <strong>comunicazione asincrona</strong>, che non prevede la partecipazione simultanea dei partecipanti, caratteristica che lo rende <strong>ben gestibile in qualsiasi orario della giornata</strong>, anche per chi lavora e ha poco tempo disponibile.<br />
L’approccio utilizzato è basato sull’<strong>apprendimento collaborativo</strong> e prevede la partecipazione attiva di ciascun partecipante alle discussioni didattiche e il continuo confronto con gli altri colleghi.<br />
In particolare é previsto l’utilizzo di:<br />
<ul><li>Sessioni di <strong>studio individuale</strong> con il supporto di materiali didattici appositamente realizzati</li>
<li>Sessioni dedicate alla condivisione di informazioni attraverso il <strong>forum online</strong></li>
<li><strong>Esercitazioni</strong> ed analisi di <strong>case studies</strong></li>
</ul></td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"> </td> </tr>
<tr> <td><a href="" name="modalita"></a><strong>MODALITA DI PARTECIPAZIONE </strong></td> <td><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/consulenza-organizzativa.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> Per poter fruire del corso, bisogna avere a disposizione un <strong>PC con connessione ad Internet</strong> (non è necessario l’ADSL). <br />
Il primo giorno di corso, viene inviata a tutti gli iscritti un’ e-mail contenente il link all’aula virtuale di Obiettivo Psicologia, una semplice procedura di registrazione all’aula e una password per l’accesso.<br />
Nell’aula virtuale vi sono le <strong>dispense didattiche</strong>, il<strong> forum di discussione </strong>moderato dal Tutor e le <strong>esercitazioni </strong>da svolgere</td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"> </td> </tr>
<tr> <td><a href="" name="data"></a><strong>DATE E ORARI </strong></td> <td><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/consulenza-organizzativa.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> Il corso inizia il <strong>7 Novembre 2011</strong> ed è strutturato in due moduli principali, il primo della durata di 3 settimane, intervallato da una settimana di pausa e seguito dal secondo modulo di due settimane.<br />
Durante le 5 settimane di corso ciascun partecipante potrà <strong>accedere all’aula virtuale in qualsiasi momento</strong>, 24 ore su 24, per leggere e rispondere alle discussioni, fare domande al Tutor, scaricare i materiali didattici e partecipare alle attività proposte. <br />
I partecipanti potranno di conseguenza adattare il percorso ai propri tempi e spazi, in maniera estremamente e senza orari rigidi. Il <strong>Tutor </strong>interviene nei forum di discussione tutti i giorni eccetto i sabati e le domeniche.<br />
</td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"> </td> </tr>
<tr> <td><a href="" name="contenuti"></a><strong>CONTENUTI</strong></td> <td width="121"><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/diagnosti-neuropsicologica.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> Il corso presenta una struttura composta da <strong>2 moduli principali</strong>, ciascuno dei quali composto, a sua volta, da differenti unità didattico-esperienziali. Tale organizzazione consente di integrare, entro la medesima cornice tecnico-concettuale, differenti argomenti, saperi, punti di vista e strumenti di intervento nelle organizzazioni. L’ordine di presentazione delle varie unità didattiche delinea, nel complesso, un percorso metodologico ben preciso:<br />
Il <strong>1° Modulo </strong>propone le seguenti unità didattiche:<br />
<blockquote> <strong><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></strong> “<em>Individuare e rappresentare i processi organizzativi</em>”, ha come obiettivo quello di introdurre i partecipanti ad una visione del funzionamento organizzativo di tipo “process oriented”. L’approccio per processi, largamente utilizzato anche nell’ambito dei sistemi di gestione per la qualità e delle relative norme ISO, pone sostanzialmente l’accento sull’identificazione ed analisi dei processi e delle interazioni fra processi nella realizzazione del prodotto da parte di un’azienda. Questa prima unità si completa con la proposta di una metodologia utile a rappresentare graficamente i processi aziendali, il linguaggio di modellizzazione IDEF 0, con le sue regole e campi di applicazione;<br />
<strong><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></strong> “<em>Organizzare e gestire gruppi di lavoro</em>”, intende fornire ai partecipanti specifiche competenze di gestione dei gruppi con i quali, come consulenti, si troveranno a lavorare in qualsiasi contesto d’intervento organizzativo. Questa parte del corso sarà, dunque, focalizzata sui principi di funzionamento dei gruppi in ambito organizzativo e sulle tecniche per migliorarne l’efficienza, la partecipazione e la produttività dei membri;<br />
<strong><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></strong> “<em>Costruire committenza: dalla diagnosi organizzativa alla condivisione del progetto di sviluppo</em>”, affronta vari aspetti di teoria della tecnica relativi al rapporto fra il consulente ed i propri clienti. Gli elementi di maggior rilievo riguardano, in particolare, la definizione del setting e la conduzione di colloqui e riunioni di consulenza, la capacità di leggere le dinamiche relazionali ed il funzionamento del contesto culturale nel quale lo psicologo si trova ad intervenire ed, infine, l’utilizzo di varie tecniche di indagine e rilevazione dei fattori critici (pensiero sistemico, problem solving, diagrammi causa-effetto, ecc.) utili per coinvolgere i partecipanti nella ricerca dei problemi e nella definizione di possibili soluzioni.<br />
</blockquote>Il <strong>2° Modulo </strong>è composto invece dalle seguenti unità didattiche:<br />
<blockquote> <strong><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></strong> “<em>Elementi di Project Management</em>”, introduce i principi di base dell’approccio alla gestione e realizzazione di programmi e progetti di intervento fondati sulla ripartizione ed ottimizzazione delle responsabilità, dei compiti e delle risorse. Ci si sofferma, in particolare, sul ciclo di vita di un progetto nelle sue fasi di Pianificazione, Realizzazione, Verifica e Consolidamento, cercando di fornire strumenti concettuali e tecniche utili a migliorare l’efficacia di questa parte del processo consulenziale;<br />
<strong><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></strong> “<em>La Customer</em><em> Satisfaction</em>” intende fornire ai partecipanti strumenti metodologici utili ad individuare, comprendere e soddisfare aspettative ed esigenze dei clienti sia interni all’azienda che, ovviamente, esterni. Nelle organizzazioni moderne la customer satisfaction rappresenta un fattore cruciale nella conquista di un vantaggio competitivo sulla concorrenza, oltre che uno stimolo costante per migliorare l’efficienza dei processi di funzionamento interni. Conoscere i principi della customer satisfaction, pertanto, consente allo psicologo di pensare sempre l’azienda cliente entro un’ottica di mercato orientata allo sviluppo dei propri processi produttivi secondo standard di qualità. Verrà approfondito con particolare attenzione il CRM (<em>Customer Relationship Management</em>), nei suoi approcci e metodologie principali tese a fidelizzare e centralizzare il cliente.<br />
</blockquote><strong>Al termine di ciascuna unita didattica</strong> è prevista un’esercitazione pratico-esperenziale inerente gli specifici contenuti trattati nel corso.</td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"> </td> </tr>
<tr> <td><a href="" name="attestato"></a><strong>ATTESTATO</strong></td> <td><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/consulenza-organizzativa.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> Al termine del percorso verrà inviato l’Attestato di Partecipazione, tramite posta prioritaria, ai partecipanti che avranno svolto e consegnato le esercitazioni previste dal corso entro i tempi di consegna indicati.<br />
</td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"> </td> </tr>
<tr> <td><a href="" name="iscrizione"></a><strong>ISCRIZIONE E AGEVOLAZIONI </strong></td> <td width="121"><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/diagnosti-neuropsicologica.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> Il corso è a numero chiuso per un massimo di <strong>14 partecipanti</strong>. <br />
La quota di iscrizione per l’intero corso è di <strong>190,00€</strong><strong>. </strong><br />
Gli abbonati a <a href="http://liberamente.opsonline.it/" target="_blank">Liberamente</a> usufruiranno della quota ridotta di <strong>175.00 euro (tutti i prezzi sono Iva inclusa)</strong>.<br />
La quota di iscrizione comprende le dispense didattiche e le esercitazioni, con feedback del tutor.<br />
Il pagamento può essere effettuato con bonifico bancario o conto corrente postale, in base ai dati indicati sul modulo d’iscrizione.<br />
E’ possibile richiedere il modulo di iscrizione in due modi:<br />
<ul><li>Inviando una mail all’indirizzo <a href="mailto:learncomm.fol@opsonline.it">learncomm.fol@opsonline.it</a>, specificando il <strong>titolo del corso</strong> ed allegando il proprio <strong>curriculum vitae</strong></li>
<li>Compilando il <strong>form online di richiesta modulo</strong></li>
</ul>Per <strong>perfezionare la propria iscrizione</strong> ad un corso è necessario compilare il modulo con i propri dati, firmarlo ed inviarlo assieme alla copia del versamento effettuato ai recapiti riportati sul modulo stesso.<br />
</td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"> </td> </tr>
<tr> <td><a href="" name="contatti"></a><strong>CONTATTI</strong></td> <td><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/consulenza-organizzativa.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> Per ogni informazione aggiuntiva potrai contattare la nostra Segreteria dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 17.00 ai seguenti recapiti:<br />
<ul><li>E-mail: <a href="mailto:learncomm.fol@opsonline.it">learncomm.fol@opsonline.it</a></li>
<li>Tel-fax: 06.7809928 - 06.97618935 </li>
</ul></td></tr>
</tbody></table>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-82079858661236829572011-09-14T13:15:00.000-07:002011-09-14T13:18:11.099-07:00Corsi E-learning: prossime edizioni<h1 class="titolo-pagina">Il processo di progettazione di interventi in ambito organizzativo e sociale</h1><table border="0" cellpadding="2" cellspacing="0" style="width: 100%;"><tbody>
<tr><td><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /> Data: <b>24 Ottobre 2011</b></td> </tr>
<tr> <td><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /> Rilascio di <i>Attestato di Partecipazione</i></td> </tr>
<tr> <td><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /> Numero max. partecipanti: 18</td> </tr>
<tr> <td><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /> Quota di partecipazione: <b>135,00€</b></td> </tr>
</tbody> </table><br />
<a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/Progettazione_interventi.pdf" target="_blank"><br />
</a><br />
<table border="0" cellpadding="0" cellspacing="0"><tbody>
<tr><td width="449"><b>PRESENTAZIONE</b></td> <td width="121"><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/diagnosti-neuropsicologica.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"></td> </tr>
<tr> <td colspan="2">Progettare significa pianificare la propria azione professionale entro diversi contesti organizzativi in conformità degli obiettivi operativi e degli scopi strategici che si intendono raggiungere a partire da vincoli, risorse, aspettative ed esigenze del sistema cliente, rendendo sempre verificabile l’itinerario metodologico proposto.<br />
La progettazione rappresenta una competenza professionale specifica dello psicologo relativa al saper “leggere” le realtà in cui è chiamato ad intervenire proponendo coerenti obiettivi di sviluppo.<br />
L’itinerario formativo-esperienziale proposto prevede la possibilità di individuare aree problematiche nei sistemi sociali di varia natura entro cui promuovere la propria azione professionale, la costruzione della committenza, le caratteristiche generali e le fasi della progettazione, il monitoraggio e la valutazione del progetto.</td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"></td> </tr>
<tr> <td><a href="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=6272875616073550639&postID=8207985866123682957&from=pencil" name="obiettivi"></a><b>OBIETTIVI FORMATIVI</b></td> <td width="121"><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/diagnosti-neuropsicologica.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"></td> </tr>
<tr> <td colspan="2">Il corso ha come obiettivi:<br />
<blockquote><b><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></b> offrire utili conoscenze teoriche e metodologiche sul processo di progettazione nel sociale;<br />
<b><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></b> proporre un utile supporto alla preparazione della prova pratica dell’esame di stato;<br />
<b><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></b> prospettare uno spazio di pensiero e riflessione comune e condivisa sui casi studio presentati dai docenti e sulle eventuali esperienze di tirocinio dei partecipanti.</blockquote></td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"></td> </tr>
<tr> <td><a href="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=6272875616073550639&postID=8207985866123682957&from=pencil" name="destinatari"></a><b>DESTINATARI</b></td> <td width="121"><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/diagnosti-neuropsicologica.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"></td> </tr>
<tr> <td colspan="2">Il corso è rivolto a studenti e professionisti delle Scienze psicologiche e sociali, che intendono integrare e potenziare le proprie competenze teoriche e metodologiche nell’ambito degli interventi psicologico clinici e sociali.<br />
Il corso è altresì adatto ai dottori in Psicologia in procinto di affrontare la prova pratica dell'esame di stato.</td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"></td> </tr>
<tr> <td><a href="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=6272875616073550639&postID=8207985866123682957&from=pencil" name="tutor"></a><b>TUTOR</b></td> <td><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/progettazione-di-interventi-nel-sociale.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"><b>Dott. Carlo Foddis:</b> Psicologo Specialista in Psicologia Clinica e Psicoterapeuta. Ha lavorato come consulente nelle aree della selezione del personale, progettazione e consulenza organizzativa per aziende di medio e piccoledimensioni. <br />
<b>Dott.ssa Elena Roveglia:</b> Psicologa Specialista in Psicologia Clinica e Psicoterapeuta, Psicologa di Comunità ed Esperta in processi formativi. </td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"></td> </tr>
<tr> <td><a href="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=6272875616073550639&postID=8207985866123682957&from=pencil" name="metodologia"></a><b>METODOLOGIA DIDATTICA </b></td> <td><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/progettazione-di-interventi-nel-sociale.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"></td> </tr>
<tr> <td colspan="2">Il corso viene erogato secondo una modalità di <b>comunicazione asincrona</b>, che non prevede la partecipazione simultanea dei partecipanti, caratteristica che lo rende <b>ben gestibile in qualsiasi orario della giornata</b>, anche per chi lavora e ha poco tempo disponibile.<br />
L’approccio utilizzato è basato sull’<b>apprendimento collaborativo</b> e prevede la partecipazione attiva di ciascun partecipante alle discussioni didattiche e il continuo confronto con gli altri colleghi.<br />
In particolare é previsto l’utilizzo di:<br />
<ul><li>Sessioni di <b>studio individuale</b> con il supporto di materiali didattici appositamente realizzati</li>
<li>Sessioni dedicate alla condivisione di informazioni attraverso il <b>forum online</b></li>
<li><b>Esercitazioni</b> ed analisi di <b>case studies</b></li>
</ul></td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"></td> </tr>
<tr> <td><a href="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=6272875616073550639&postID=8207985866123682957&from=pencil" name="modalita"></a><b>MODALITA DI PARTECIPAZIONE </b></td> <td><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/progettazione-di-interventi-nel-sociale.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"></td> </tr>
<tr> <td colspan="2">Per poter fruire del corso, bisogna avere a disposizione un <b>PC con connessione ad Internet</b> (non è necessario l’ADSL). <br />
Il primo giorno di corso, viene inviata a tutti gli iscritti un’ e-mail contenente il link all’aula virtuale di Obiettivo Psicologia, una semplice procedura di registrazione all’aula e una password per l’accesso.<br />
Nell’aula virtuale vi sono le <b>dispense didattiche</b>, il<b> forum di discussione </b>moderato dal Tutor e le <b>esercitazioni </b>da svolgere</td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"></td> </tr>
<tr> <td><a href="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=6272875616073550639&postID=8207985866123682957&from=pencil" name="data"></a><b>DATE E ORARI </b></td> <td><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/progettazione-di-interventi-nel-sociale.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"></td> </tr>
<tr> <td colspan="2">Il corso inizia il giorno <b>24 Ottobre </b><b>2011</b> e dura <b>tre settimane</b>.<br />
Durante le tre settimane di corso ciascun partecipante potrà <b>accedere all’aula virtuale</b><b> in qualsiasi momento</b>, 24 ore su 24, per leggere e rispondere alle discussioni, fare domande ai Tutor, scaricare i materiali didattici e partecipare alle attività proposte.<br />
I partecipanti potranno di conseguenza adattare il percorso ai propri tempi e spazi, in maniera estremamente flessibile e senza orari rigidi.<br />
I <b>Tutor</b> intervengono nei forum di discussione tutti i giorni eccetto i sabati e le domeniche.</td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"></td> </tr>
<tr> <td><a href="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=6272875616073550639&postID=8207985866123682957&from=pencil" name="contenuti"></a><b>CONTENUTI</b></td> <td width="121"><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/diagnosti-neuropsicologica.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"></td> </tr>
<tr> <td colspan="2">Il corso si articola in 2 moduli:<br />
<b>MODULO 01</b><br />
<blockquote><b><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></b> Approfondisce le dimensioni che precedono la stesura di un progetto di intervento:<br />
<blockquote><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-grigio.gif" /> Come e perché nasce un progetto? A partire da quali aree problematiche? Con quali obiettivi di sviluppo? Entro quali contesti?;<br />
<img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-grigio.gif" /> Individuazione dei potenziali committenti. Chi pone la domanda e chi è il cliente dell’intervento? Costruzione della relazione con il cliente;<br />
<img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-grigio.gif" /> Individuazione delle risorse e valutazione della fattibilità dell’intervento.</blockquote><b><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></b> Esercitazioni, sotto forma di casi, centrate sull’analisi della domanda e dei bisogni del sistema committente nell’ambito di intervento psicologici in diversi contesti.</blockquote><b>MODULO 02 </b><br />
<blockquote><b><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></b> Si basa sulla pianificazione di un impianto progettuale attraverso l’identificazione degli obiettivi che si vogliono perseguire con l’intervento, coerentemente con l’analisi del problema effettuata:<br />
<blockquote><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-grigio.gif" /> tappe della progettazione di un intervento (ideazione, attivazione, progettazione, realizzazione, valutazione);<br />
<img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-grigio.gif" /> stesura del progetto (premessa, finalità, obiettivi, target, metodologia e attività, budget);<br />
<img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-grigio.gif" /> valutazione della coerenza tra obiettivi individuati e metodologie applicate.</blockquote><b><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></b> Esercitazioni, sotto forma di casi, centrate sulla stesura di progetti di intervento in diversi contesti.</blockquote></td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"></td> </tr>
<tr> <td><a href="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=6272875616073550639&postID=8207985866123682957&from=pencil" name="attestato"></a><b>ATTESTATO</b></td> <td><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/progettazione-di-interventi-nel-sociale.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"></td> </tr>
<tr> <td colspan="2">Al termine del percorso verrà inviato l’Attestato di Partecipazione, tramite posta prioritaria, ai partecipanti che avranno svolto e consegnato le esercitazioni previste dal corso entro i tempi di consegna indicati.</td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"></td> </tr>
<tr> <td><a href="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=6272875616073550639&postID=8207985866123682957&from=pencil" name="iscrizione"></a><b>ISCRIZIONE E AGEVOLAZIONI </b></td> <td width="121"><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/diagnosti-neuropsicologica.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"></td> </tr>
<tr> <td colspan="2">Il corso è a numero chiuso per un massimo di <b>18 partecipanti</b>.<br />
La quota di iscrizione è di <b>135,00€</b> (Iva inclusa).<br />
Gli abbonati a <a href="http://liberamente.opsonline.it/" target="_blank">Liberamente</a><b> </b>usufruiranno della quota ridotta di <b>115.00 euro</b><b> (Iva inclusa)</b>.<br />
La quota di iscrizione comprende le dispense didattiche e le esercitazioni, con feedback del tutor.<br />
Il pagamento può essere effettuato con bonifico bancario o conto corrente postale, in base ai dati indicati sul modulo d’iscrizione.<br />
E’ possibile richiedere il modulo di iscrizione in due modi:<br />
<ul><li>Inviando una mail all’indirizzo <a href="mailto:learncomm.fol@opsonline.it">learncomm.fol@opsonline.it</a>, specificando il <b>titolo del corso</b> ed allegando il proprio <b>curriculum vitae</b></li>
<li>Compilando il <b>form online di richiesta modulo</b></li>
</ul>Per <b>perfezionare la propria iscrizione</b> ad un corso è necessario compilare il modulo con i propri dati, firmarlo ed inviarlo assieme alla copia del versamento effettuato ai recapiti riportati sul modulo stesso.</td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"></td> </tr>
<tr> <td><a href="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=6272875616073550639&postID=8207985866123682957&from=pencil" name="contatti"></a><b>CONTATTI</b></td> <td><a href="http://www.obiettivopsicologia.it/corsi-psicologia/corsi-psicologia-on-line/progettazione-di-interventi-nel-sociale.php#top">torna all'indice</a> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.opsonline.it/images/nav/freccia_torna_indice.gif" /></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"></td> </tr>
<tr> <td colspan="2">Per ogni informazione aggiuntiva potrai contattare la nostra Segreteria dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 17.00 ai seguenti recapiti:<br />
<ul><li>E-mail: <a href="mailto:learncomm.fol@opsonline.it">learncomm.fol@opsonline.it</a></li>
<li>Tel-fax: 06.7809928 - 06.97618935 </li>
</ul></td></tr>
</tbody></table><h1 class="titolo-pagina"> </h1><h1 class="titolo-pagina"> </h1>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-90736664140417738172011-09-10T13:53:00.000-07:002011-09-10T13:53:27.743-07:00LA CONDUZIONE DEI GRUPPI DI LAVORO: ASPETTI OPERATIVI<!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> <w:Zoom>0</w:Zoom> <w:HyphenationZone>14</w:HyphenationZone> <w:PunctuationKerning/> <w:ValidateAgainstSchemas/> <w:SaveIfXMLInvalid>false</w:SaveIfXMLInvalid> <w:IgnoreMixedContent>false</w:IgnoreMixedContent> <w:AlwaysShowPlaceholderText>false</w:AlwaysShowPlaceholderText> <w:Compatibility> <w:BreakWrappedTables/> <w:SnapToGridInCell/> <w:WrapTextWithPunct/> <w:UseAsianBreakRules/> <w:DontGrowAutofit/> </w:Compatibility> <w:BrowserLevel>MicrosoftInternetExplorer4</w:BrowserLevel> </w:WordDocument> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 9]><xml> <w:LatentStyles DefLockedState="false" LatentStyleCount="156"> </w:LatentStyles> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 10]> <style>
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<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><br />
</b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Condurre il lavoro di un gruppo per un consulente significa, da una parte, individuare quali modalità operative utilizzare per raggiungere i risultati/obiettivi attesi entro i tempi previsti, dall’altra, facilitare la partecipazione e le interazioni produttive dei partecipanti. Queste differenti funzioni, la prima più legata al compito, la seconda di natura prevalentemente affettiva/relazionale, possono essere sostenute e implementate attraverso specifici “accorgimenti” tecnici o strategie che il conduttore può utilizzare nella gestione del gruppo. In particolare, le <i>performance </i>del gruppo rispetto all’obiettivo da raggiungere risultano, spesso, facilitate da alcune operazioni:</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 38.5pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><b>Definire gli obiettivi</b>:<span> </span>il compito, i risultati attesi e i tempi del lavoro di gruppo devono essere stabiliti in maniera chiara e comprensibile a tutti i partecipanti;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 38.5pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><b>Convenire su ruoli e procedure</b>: La metodologia di lavoro (<i>il come procedere</i>) e le funzioni di ciascun partecipante devono essere condivise dal gruppo e considerate idonee per raggiungere i risultati attesi;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 38.5pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><b>Fornire informazioni</b>: favorire nel gruppo il passaggio e la circolazione delle informazioni utili al conseguimento dei risultati attesi; </div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 38.5pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><b>Integrare</b>: capacità di sintetizzare, al momento opportuno, i differenti dati, idee e osservazioni che via via emergono entro un quadro più articolato della situazione;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 38.5pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><b>Orientare sugli obiettivi</b>: Tenere desta l’attenzione dei partecipanti focalizzandone le energie sul raggiungimento degli obiettivi. Evitare eccessive divagazioni, perdite di tempo, fughe dal compito;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 38.5pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><b>Riassumere</b>: Fare il punto sul lavoro fatto e aiutare il gruppo a valutarne il livello di efficacia, i limiti ed i possibili miglioramenti.</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Il coinvolgimento e la partecipazione dei membri del gruppo possono essere migliorati attraverso:</div><ul style="margin-top: 0cm;" type="disc"><li class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>Accogliere</b>: favorire la presentazione e la conoscenza reciproca fra i partecipanti, il coinvolgimento dei nuovi arrivati e di coloro che si trovano in difficoltà;</li>
<li class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>Agevolare le interazioni</b>: attraverso l’utilizzo di tecniche come la <i>riformulazione </i>delle opinioni individuali o dando la parola a un dato partecipante o all’intero gruppo con l’obiettivo di favorire gli scambi, la comprensione del punto di vista altrui e la costruzione di soluzioni innovative;<span> </span></li>
<li class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>Mediare</b>: favorire la costruzione di un clima di lavoro orientato al confronto costruttivo fra posizioni e punti di vista differenti, in cui i partecipanti non cadono nella critica, nell’ostruzionismo, nella disapprovazione reciproca o nella difesa ad oltranza di possibili vantaggi o privilegi personali;</li>
<li class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>Sostenere</b>: in alcune fasi o situazioni può essere utile offrire supporto o incoraggiare il gruppo o alcuni suoi partecipanti in difficoltà;</li>
</ul>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-22531567713481915402011-09-08T15:27:00.001-07:002011-09-08T15:27:48.920-07:00IL DILEMMA DEL PRIGIONIERO<!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> <w:Zoom>0</w:Zoom> <w:HyphenationZone>14</w:HyphenationZone> <w:PunctuationKerning/> <w:ValidateAgainstSchemas/> <w:SaveIfXMLInvalid>false</w:SaveIfXMLInvalid> <w:IgnoreMixedContent>false</w:IgnoreMixedContent> <w:AlwaysShowPlaceholderText>false</w:AlwaysShowPlaceholderText> <w:Compatibility> <w:BreakWrappedTables/> <w:SnapToGridInCell/> <w:WrapTextWithPunct/> <w:UseAsianBreakRules/> <w:DontGrowAutofit/> </w:Compatibility> <w:BrowserLevel>MicrosoftInternetExplorer4</w:BrowserLevel> </w:WordDocument> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 9]><xml> <w:LatentStyles DefLockedState="false" LatentStyleCount="156"> </w:LatentStyles> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 10]> <style>
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</span></b></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><i>Istruzioni: </i>Si propone ai partecipanti un “gioco sulla decisione” e formano due gruppi/squadre. Le due squadre prendono posto in luoghi separati o ad una distanza sufficiente perché ciascun gruppo possa prendere le decisioni senza essere ascoltato dall’altro. Il gioco consiste nel prendere delle decisioni entro i gruppi senza sapere quale decisione sta prendendo nello stesso momento e per la stessa giocata l’altro gruppo. Ogni gruppo dovrà fare 10 giocate. Il risultato delle giocate comporterà, per ciascuna squadra, il vincere o perdere uno specifico punteggio in funzione della propria decisione e di quella dell’altra squadra. </div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><ul style="margin-top: 0cm;" type="disc"><li class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Il gruppo 1 dovrà decidere ad ogni giocata se scegliere A o B;</li>
<li class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Il gruppo 2 dovrà decidere ad ogni giocata se scegliere X o Y;</li>
</ul><div class="MsoNormal" style="margin-left: 18pt; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Il conduttore provvederà dunque a dare a ciascuna squadra, separatamente (in modo che ogni gruppo non conosca l’obiettivo dell’altro), la consegna del gioco che di fatto è uguale per entrambi i gruppi, ovvero: “<i>Il vostro obiettivo è riguadagnare il massimo possibile dei punti, perderne il meno possibile, indipendentemente da quanto guadagna o perde l’altro gruppo</i>”.</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Questa è la matrice dei risultati a conoscenza del conduttore e che i due gruppi intuiranno con il progredire del gioco:</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span> </span><span style="font-size: 10pt;">GRUPPO 1<span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 10pt;"><span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 10pt;"><span> </span>A<span> </span>B<span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 10pt;"><span> </span><span> </span>+ 300<span> </span>+ 600</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 10pt;"><span> </span><span> </span>X<span> </span>+ 300<span> </span>- 600</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 10pt;">GRUPPO 2<span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 10pt;"><span> </span>- 600<span> </span>- 300</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 10pt;"><span> </span>Y<span> </span>+ 600<span> </span><span> </span>- 300</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">I 4 esiti possibili dunque sono: </div><ul style="margin-top: 0cm;" type="disc"><li class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Se il gruppo 1 gioca A e il gruppo 2 gioca X entrambi vincono 300 punti;</li>
<li class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Se il gruppo 1 gioca A e il gruppo 2 gioca Y, il primo perde 600 punti, il secondo vince 600 punti;</li>
<li class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Se il gruppo 1 gioca B e il gruppo 2 gioca X, il primo vince 600 punti mentre il secondo ne perde 600;</li>
<li class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Se il gruppo 1 gioca B e il gruppo 2 gioca Y, entrambi perdono 300 punti.</li>
</ul><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Le 2 squadre hanno la possibilità di trattare mediante i rappresentanti alla fine della settima giocata (per un tempo di 5 min.). Dall’ottava alla decima giocata il valore dei punti raddoppia. Il ruolo del conduttore è quello di curare il rispetto dei tempi (8 min. per la prima giocata, 4 per le successive), raccogliere le giocate delle varie squadre, segnare i punti e comunicare i risultati, alla fine di ogni giocata ai rispettivi gruppi. Al termine del gioco il conduttore potrà attivare una discussione in plenaria con l’obiettivo di favorire fra i partecipanti una riflessione sulle strategie che ciascuna squadra ha messo in atto nel corso della partita. È ovvio che l’utilizzo di una strategia competitiva da parte di un gruppo, sulla base di una fantasia d’aggressione nei confronti dell’altro, corrisponde al un comportamento simmetrico dell’altro gruppo e avrà come risultato la sconfitta di entrambi. È molto frequente in questo gioco che uno o entrambi i gruppi trasformino l’obiettivo in una logica competitiva determinando inesorabilmente una <i>escalation </i>della disputa.</div>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-9102480360571804602011-07-30T15:13:00.000-07:002011-07-31T10:58:54.196-07:00Il controtransfert nella terapia familiare con adolescenti<h4 style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=6272875616073550639&postID=910248036057180460" name="_Toc119238593"><b><span style="font-family: "Bookman Old Style";">1.Alcune note introduttive</span></b></a><b><span style="font-family: "Bookman Old Style";"></span></b></span></h4><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">Questo lavoro ci ha appassionato molto, è stato teatro di un vivace confronto in cui abbiamo condiviso dubbi, emozioni e a volte anche dinamiche personali. </span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">Shapiro si chiedeva: “Perché le famiglie suscitano nei loro terapeuti emozioni tanto intense?”. Non vogliamo rispondere adesso e con una frase riduttiva a questo interrogativo ma speriamo di averlo fatto nel corso del testo.</span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">Per coloro che non seguono terapie familiari potranno comunque fare tesoro di questo lavoro nel vedere con un occhio diverso il “familiare” che c’è in ogni loro paziente individuale. </span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">Con questo lavoro ci proponiamo di approfondire ciò che caratterizza le reazioni controtransferali del/dei terapeuti nella terapia familiare ad orientamento psicodinamico. In questo senso, oltre alla descrizione dei fenomeni controtransferali, abbiamo ritenuto importante soffermarci sui loro possibili utilizzi nel corso della terapia, in linea peraltro con le attuali teorizzazioni presenti in letteratura. Alcune parti del nostro lavoro, in particolare, quelle relative ai modelli di funzionamento mentale della famiglia e all’identificazione proiettiva hanno, così, la precisa funzione di facilitare la comprensione dell’argomento centrale del nostro interesse. </span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";"> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><br />
</div><h4 style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=6272875616073550639&postID=910248036057180460" name="_Toc119238594"><b><span style="font-family: "Bookman Old Style";">2. Il controtransfert: aspetti generali</span></b></a><b><span style="font-family: "Bookman Old Style";"></span></b></span></h4><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">Il controtransfert può essere definito come le reazioni inconsce dell’analista alla persona dell’analizzato e più in particolare al suo transfert (Laplanche e Pontalis, 1967). Questo concetto che adesso ci sembra ovvio e che viene tanto utilizzato da psicoanalisti e non, in realtà non ha avuto una facile evoluzione bensì nella storia del pensiero psicoanalitico è andato incontro a varie concettualizzazioni. Inizialmente era considerato da Freud come un intralcio al trattamento in quanto, secondo l’autore, il paziente suscitava nell’analista sentimenti e atteggiamenti derivanti da problematiche non risolte dall’analista. Nel 1910 per la prima volta nel testo “Prospettive future della terapia psicoanalitica” l’autore scrive: “abbiamo acquisito la consapevolezza del controtransfert che insorge nel medico per l’influsso del paziente sui suoi sentimenti inconsci, e non siamo lungi dal pretendere che il medico debba riconoscere in se questo controtransfert e padroneggiarlo…abbiamo notato che ogni psicoanalista procede esattamente fin dove glielo consentono i suoi complessi e le sue resistenze”. In questo contesto il controtransfert è considerato principalmente come ostacolo che deve venire eliminato ed è definito solo in funzione del paziente. Viene, quindi, ritenuto come una risposta endopsichica che rende difficile cogliere gli aspetti inconsci del paziente (Giannakoulas e Fizzarotti Selvaggi, 2002).</span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">La nozione del controtransfert come interferenza alla comprensione e al progresso dell’analisi, rimarrà centrale nel pensiero di Freud che però nel 1912 in ”Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico” scrive anche che l’analista “deve rivolgere il proprio inconscio come un organo ricevente verso l’inconscio del malato che trasmette”. In questo articolo, Freud, ribadisce che le rimozioni dell’analista determinano ”macchie cieche” nella percezione analitica, difficoltà legate al passaggio delle percezioni inconsce alla coscienza. Si può constatare che da questi suoi due passaggi fondamentali, del 1910 e del 1912, nascono le due visioni contrapposte del controtransfert: come ostacolo e come mezzo fondamentale per una comprensione profonda del pensiero dell’altro (Giannakoulas e Fizzarotti Selvaggi, 2002).</span></span></div><div class="MsoBodyTextIndent3" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;">Alcuni autori tra cui Glover, Fliess e Reich (anni ’40-’50) (in Albarella e Donadio, 1998) condividono una definizione del controtransfert limitata e specifica e come Freud, sottolineano il carattere di impedimento del controtransfert. </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">Soltanto negli anni ’50 si verifica una riscoperta e una visione positiva del controtransfert e in pochi anni la letteratura analitica si arricchisce di importanti contribuiti. La Heimman nel 1950 ampliò il concetto di controtransfert per comprendere l’uso dei sentimenti dell’analista quale fonte di informazione sul paziente in virtù di questo il controstransfert si estende a tutti i sentimenti che l’analista sperimenta nei confronti del paziente. Il controtransfert può rappresentare non solo una reazione dell’analista nei confronti del paziente ma anche il modo con cui l’analista sperimenta direttamente dentro di se l’operare di parte della personalità del paziente. Le emozioni suscitate nell’analista, dall’impatto col paziente, sono spesso molto “più vicine al nocciolo del problema” di quanto non lo sia il suo ragionare. La risposta immediata emotiva dell’analista sarebbe perciò, un indicatore assai rapido e sensibile dei processi inconsci del paziente e la premessa per interpretazioni efficaci e concrete. </span></span></div><div class="MsoBodyTextIndent" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Winnicott (1949) nel suo lavoro con pazienti psicotici e con gravi disturbi della personalità, evidenziò una diversa forma del controtransfert intesa come una reazione naturale al comportamento irritante del paziente. Secondo l’autore, il lavoro con questo tipo di pazienti diventa impossibile qualora i sentimenti che l’analista prova non siano perfettamente riconosciuti e coscienti. La presenza di questi sentimenti non solo non viene considerata come un ostacolo all’analisi ma anzi come qualcosa di utile e in certi momenti indispensabile per il processo analitico. Inoltre, secondo Winnicott (1947) tali sentimenti di rifiuto e di odio dell’analista non solo devono essere riconosciuti per padroneggiarli ma comunicati al paziente per una maggiore presa di coscienza di se stesso e afferma che “in certe fasi di certe analisi, l’odio dell’analista è effettivamente richiesto dal paziente, e diventa necessario un odio che sia oggettivo. Se il paziente cerca un odio oggettivo e giustificato, bisogna che possa ottenerlo, altrimenti non potrà sentire che può ricevere un amore oggettivo” (Winnicott, 1947, p. 235)</span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">Kenberg (1965) definisce il controtransfert come la conscia, appropriata e completa reazione emotiva del terapeuta al paziente. </span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">Gabbard (1994) considera il controtransfert come strumento diagnostico e terapeutico, una “sorgente” fondamentale di informazioni per la comprensione del mondo interno del paziente.</span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">Interessante risulta la recente disamina critica del concetto di controtransfert proposta da Eagle (2000). L’autore distingue tra una versione <i>debole</i> ed una <i>forte</i> della definizione di controtransfert. Entrambe le versioni intendono proporre una critica all’idea dell’analista come schermo bianco, tuttavia, nella prima le associazioni, i pensieri, i sentimenti del terapeuta possono, in determinate circostanze, fornire importanti indizi su ciò che sta avvenendo nel paziente o nell’interazione tra paziente e terapeuta. La versione <i>forte</i> sottolinea, invece, come tali associazioni, pensieri e sentimenti rivelerebbero necessariamente i contenuti mentali inconsci del paziente. Tesi principale dell’autore è che “in modo piuttosto ironico, nella loro reazione contro il modello dello schermo bianco della situazione analitica e presumibilmente nella loro concettualizzazione della relazione terapeutica come processo interattivo bipersonale, molti teorici psicoanalitici contemporanei, proprio come temeva Gill (1994), hanno finito per produrre una versione nuova e più sottile dell’analista come schermo bianco e una versione nuova della psicologia unipersonale” (Eagle, 2000, p.28). Il rischio è che, considerando i sentimenti dell’analista come qualcosa che necessariamente è stato messo dentro dal paziente, si finisce per non riconoscere il contributo offerto dalla personalità dell’analista stesso (Gill, 1994). </span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">Bonaminio e Di Renzo (2003) sono infine interessati alla visione del controtransfert come lavoro svolto dall’<i>altro</i> (analista) per il paziente; citando in particolare Bollas (1987) parlano, infatti, di <i>uso evocativo o espressivo del controtransfert</i> intendendo il lavoro dell’analista intorno al paziente, ai suoi sentimenti, alle sue emozioni non ancora pensabili e rappresentabili<b> </b></span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><br />
</div><h4 style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=6272875616073550639&postID=910248036057180460" name="_Toc119238595"><b><span style="font-family: "Bookman Old Style";">3. La famiglia come apparato psichico gruppale</span></b></a><b><span style="font-family: "Bookman Old Style";"></span></b></span></h4><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><br />
</div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Zinner e Shapiro (1999, pg.66) considerano “la famiglia come un piccolo gruppo e, in modo più metaforico, come il cast di un dramma, i cui temi sono una sorta di combinazione dei compiti del “lavoro” adattivo e funzionale della famiglia con una serie di fantasie in genere inconsce, o di assunti nascosti, spesso concepiti come un “programma segreto””. </span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">In questa definizione appare rilevante, ai fini della nostra discussione, il riferimento ad una dimensione inconscia del funzionamento familiare, fatta di fantasie condivise, desideri e relative difese attraverso cui la famiglia, come “entità psichica unitaria” (Zinner, Shapiro, 1999), si confronta con ciò che sta ai propri confini. Il tema dei confini, peraltro, ci sembra un utile chiave di lettura non solo dei modi di funzionare della famiglia ma anche dei suoi rapporti con l’altro esterno, nello specifico, il terapeuta. Zinner e Shapiro (1999) utilizzano, infatti, il concetto di confine per spiegare le relazioni fra le parti di un sistema e del sistema con l’esterno, giungendo così a formulare specifici modelli di transazione fra confini. Con il termine delineazione, in particolare, gli autori (1999) fanno riferimento a quei comportamenti attraverso cui i componenti di una famiglia comunicano, in modo esplicito o implicito, le proprie percezioni e atteggiamenti, quindi la propria rappresentazione mentale su un membro della famiglia, a questa persona.</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">L’immagine dell’altro, oggetto della delineazione, sembra essere determinata in prevalenza dalla mobilitazione di specifici conflitti e difese nella persona del delineatore. Zinner e Shapiro (1999) sottolineano come queste delineazioni difensive sono spesso attive nel rapporto fra genitori e figli adolescenti. “Quando le delineazioni genitoriali risultano distorte, stereotipate, iperspecifiche, contraddittorie o in altro modo incongruenti con la gamma dei comportamenti manifestati dall’adolescente, traiamo l’inferenza che queste delineazioni siano al servizio di aspetti difensivi del funzionamento della personalità dei genitori” (Zinner e Shapiro, 1999, pag.47).</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Il bambino o l’adolescente oggetto delle delineazioni genitoriale può, in questo senso, assumere un ruolo complementare alle esigenze difensive dei genitori. Le delineazioni difensive rappresentano, infatti, determinanti dinamiche dell’attribuzione dei ruoli nel contesto familiare (Zinner e Shapiro, 1999).</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Il meccanismo predominante alla base delle delineazioni difensive è chiaramente l’identificazione proiettiva, attraverso cui i membri della famiglia scindono aspetti di sé rifiutati o prediletti proiettandoli su altri componenti familiari. La natura del materiale proiettato, nella relazione fra genitori e adolescente, secondo Zinner e Shapiro (1999) contiene in prevalenza elementi conflittuali della relazione oggettuale dei genitori con le loro famiglie di origine. “Queste proiezioni governano la percezione ed il comportamento reciproci dei membri della famiglia quando il gruppo familiare è dominato da fantasie inconsce” (Zinner e Shapiro, 1999, pag.91). Vista l’importanza, nell’ambito del nostro discorso, del concetto di identificazione proiettiva, questo verrà approfondito più avanti. In questa parte del lavoro ci interessa, invece, sottolineare come, secondo Zinner e Shapiro (1999), quando la famiglia si trova in situazioni conflittuali, di particolare angoscia e con un uso predominante delle delineazioni difensive, si possono osservare interessanti analogie con il comportamento del piccolo gruppo dominato dagli assunti di base.</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Secondo l’approccio gruppo-interpretativo alla terapia familiare elaborato da Shapiro, infatti, l’organizzazione familiare è caratterizzata da due livelli di funzionamento. “Il primo di questi livelli consiste nel comportamento appropriato a questioni e compiti evolutivi all’interno della famiglia, è regolato in primo luogo dal principio di realtà ed è mediato principalmente dal pensiero del processo secondario. Ad un altro livello, secondo una modalità che può interferire con il conseguimento di compiti evolutivi nei membri della famiglia, il comportamento è determinato da fantasie inconsce condivise e da assunti inconsci generati da esigenze istintuali e richieste difensive che costituiscono un “programma nascosto” per l’interazione familiare” (Zinner e Shapiro, 1999, pag.90). Tali fantasie condivise svolgono prevalentemente la funzione di mantenere l’equilibrio fra i membri della famiglia motivando ed organizzando comportamenti ripetitivi che sembrano operare contro il cambiamento, lo sviluppo e l’individuazione dei componenti del contesto familiare (Zinner e Shapiro, 1999).</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">L’attenzione agli aspetti inconsci condivisi del funzionamento mentale della famiglia è presente anche negli interessanti contributi degli autori di scuola francese (Ruffiot et al., 1983 ; Eiguer, 1983). Nella terapia familiare, come sottolinea Eiguer (1983, pag.66), infatti, si presta ascolto al “familiare”, inteso come mondo fantasmatico condiviso, “punto di intersezione in cui gli psichismi individuali si cancellano”. Questa perdita di limiti fra gli spazi psichici dei membri della famiglia, diventa una sorta di terreno mentale comune, definito dall’autore (1983), come spazio dell’inter-narcisismo. Nell’ambito di queste teorizzazioni sull’apparato psichico gruppale risulta di particolare interesse il concetto di sé familiare (Eiguer, 1983), che comprende gli aspetti dell’identità familiare, come sentimento di appartenenza, della storia comune, dello spazio abitabile, ma anche dell’ideale dell’io familiare quale istanza gruppale che si proietta nell’avvenire ed, infine, delle metaconoscenze inconsce o inconfessate che regolano i fenomeni interattivi entro il contesto familiare.</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Abbiamo proposto uno sguardo, seppure incompleto e parziale su alcuni modelli di funzionamento mentale inconscio della famiglia, quale utile introduzione al tema, centrale nel nostro discorso, del controtransfert. Sul terapeuta, infatti, come vedremo meglio più avanti, vengono trasferiti gli oggetti del mondo oggettuale condiviso dal gruppo familiare ed i corrispondenti legami, in termini di affetti, pensieri, relazioni immaginarie (Eiguer, 1983). Come il terapeuta entra in contatto con tali sentimenti e pensieri spontanei evocati dalla relazione con la famiglia e quale utilizzo ne fa durante la terapia riguarda quindi l’area di indagine del controtransfert. </span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><br />
</div><h5 style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=6272875616073550639&postID=910248036057180460" name="_Toc119238596"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">3.1 L’Identificazione Proiettiva</span></a><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;"></span></span></h5><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><br />
</div><div class="MsoBodyTextIndent" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Il concetto di identificazione proiettiva fin dalla sua introduzione da parte di M.Klein appare controverso e talvolta ambiguo. </span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">La Klein</span><span style="font-family: "Bookman Old Style";"> ha formulato il concetto di identificazione proiettiva nel 1946, considerandola un potente organizzatore della vita mentale nella posizione schizoparanoide che si traduce in fantasie in cui il soggetto introduce la propria persona totalmente o parzialmente all'interno dell'oggetto per danneggiarlo, possederlo e controllarlo (Laplanche e Pontalis, 1967). Dalla prima concettualizzazione kleiniana di questo primitivo meccanismo che costruisce la vita mentale del bambino lungo le linee di fantasie primordiali, istintive e corporee (Seligman, 1999), molti autori si sono occupati di questo concetto, arricchendolo, criticandolo o respingendolo.</span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">Una revisione del concetto di identificazione proiettiva è stata elaborata da Sandler (1987) che ha suddiviso il suo sviluppo in tre stadi. Nel primo stadio, che inizia con le formulazioni della Klein, il processo avviene unicamente nella fantasia ed è esclusivamente intrapsichico poiché non è interessato l’oggetto reale. La proiezione e l’identificazione, quindi, coinvolgono solo i processi di cambiamento nelle rappresentazioni mentali del Sè e dell’oggetto di una persona. Nel secondo stadio (legato alle teorizzazioni della Heimann) viene incluso un aspetto interpersonale: l’oggetto reale (ad esempio l’analista) si identifica con la parte proiettate del Sè o con la rappresentazione oggettuale modificata e in questo modo si crea una risposta di controtransfert. Il terzo stadio (ripreso da Bion e dal suo modello del contenitore) in cui l’intenalizzazione di parti di Sè o dell’oggetto interno avviene direttamente nell’oggetto esterno, quindi l’oggetto esterno (es. madre o analista) contengono l’esperienza emotiva intollerabile e la modificano in una forma più tollerabile e può poi essere reintroiettata (es. dal bambino o dal paziente).</span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">Kernberg (1988) distingue chiaramente l’identificazione proiettiva dalla proiezione: l’individuo mantiene un’empatia con gli aspetti proiettati e induce nell’oggetto una corrispondente esperienza intrapsichica, mentre nella proiezione si verifica il rifiuto di tutto ciò che è proiettato e non c’è intenzione di provocare tali sentimenti nell’oggetto. </span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">Per Kernberg il posto dell’identificazione proiettiva è colui che proietta, che si identifica tramimte empatia con l’oggetto entro cui ha proiettato aspetti non desiderati. In questo Kernberg si differenzia da Sandler che localizza il processo identificatorio nell’oggetto che è indotto in qualche modo ad identificarsi con gli aspetti scissi e proiettati di colui che proietta.</span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">Nella teorizzazione di Bion (1962) il concetto di identificazione proiettiva gioca un ruolo fondamentale in quanto assume il carattere di comunicazione normale inconscia fra il bambino e la madre e fra paziente e analista; egli quindi ha ipotizzato che “sin dall’inizio della vita il paziente ha con la realtà il contatto che gli basta in modo da suscitare nella madre la presenza di quelle sensazioni che egli non intende avere o che comunque desidera che la madre abbia”, parimente nella situazione analitica la fantasia di scindere parti di sé nell’analista permetterebbe al paziente di suscitare nel terapeuta reazioni emotive specifiche.</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Già in Bion, ma soprattutto in autori successivi (Ogden 1982, Ferro 1987), l’identificazione proiettiva è vista come una modalità primitiva di comunicazione inconscia non necessariamente infantile o psicotica, ma che fa parte di tutte le relazioni adulte e che opera anche dall’analista verso il paziente, così come dai genitori verso i figli. Per questo autore bisogna distinguere tra identificazione proiettiva evacuatrice e identificazione proiettiva di comunicazione dove quest’ultima implica il comunicare ciò che è insopportabile cercando l’aiuto nell’altro.</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Un’interpretazione recente di questo concetto (Ogden 1982, Tansey e Burke,1989), è quella secondo cui il paziente proietta un oggetto interno sull’analista; il paziente esercita a quel punto una pressione interpersonale sull’analista affinché si senta critico e forse agisca anche criticamente, a quel punto si conclude che l’analista ha introiettato un oggetto interno critico del paziente e vi si è identificato. Eagle (2000) porta avanti una critica davanti a questa concettualizzazione sostenendo che se attraverso la pressione interpersonale il paziente induce l’analista a sentirsi critico verso di lui e fin anche ad agire criticamente, questo non indica necessariamente che l’analista si sia identificato con l’oggetto interno del paziente. Per poter arrivare alla conclusione che il paziente sta proiettando qualcosa sull’analista non è sufficiente segnalare semplicemente i sentimenti di ostilità dell’analista stesso, questi possono verificarsi anche in assenza di qualsiasi proiezione “è necessario disporre di una buona quota di prove cliniche per poter inferire che in quel caso ha avuto luogo una proiezione” (Eagle, 2000, p.36).</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><br />
</div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><br />
</div><h5 style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=6272875616073550639&postID=910248036057180460" name="_Toc119238597"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">3.2 L’identificazione Proiettiva nelle famiglie degli adolescenti</span></a><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;"> </span></span></h5><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><br />
</div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Negli Stati Uniti l’identificazione proiettiva viene considerato da alcuni teorici (Sharff, Shapiro, ecc.) un concetto "ponte" tra la psicoanalisi classica e quella interpersonale, in quanto permette di tenere conto dell’importanza dell’interazione tra le persone nella genesi della psicopatologia, uscendo così da un'ottica puramente individuale o intrapsichica. </span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">In questo contesto risultano importanti i contributi di alcuni autori americani come J. Scharff, R.Shapiro, J.Zinner in quanto viene ripreso il concetto di identificazione proiettiva e come esso opera in particolare all’interno della famiglia dell’adolescente. Gli autori riprendendo il concetto di identificazione proiettiva hanno messo in evidenza, nella famiglia, il reciproco rapporto tra delineazioni, cioè comprensione del proprio mondo interno, e delimitazioni, comprensione dei confini tra sè e l’altro, dove nel secondo caso, cioè quello in cui prevalgono modalità esternalizzanti, emergono collusioni, con difficoltà nel processo di individuazione e differenziazione. In questo contesto l’ identificazione proiettiva corrisponde a “un’attività dell’Io che ha l’effetto di modificare la percezione dell’oggetto e, in modo reciproco alterare l’immagine del se. […] L’identificazione proiettiva per operare in modo efficace deve rispondere al fatto che la vera natura della relazione fra il se e la sua parte proiettata rimanga inconscia anche se l’individuo può percepire un legame mal definito o un’affinità nei confronti della persona che riceve le sue proiezioni” (Zinner, Shapiro, 1999, p. 70). All’interno della famiglia il genitore può sperimentare una gratificazione sostitutiva dei propri impulsi attraverso l’adolescente o può ripudiare e punire l’adolescente per l’espressione di quegli stessi impulsi.</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Gli autori, sopra citati, giungono alla conclusione che la natura del materiale proiettato nelle relazioni tra genitori ed adolescente contiene elementi fortemente conflittuali della relazione oggettuale dei genitori con le proprie famiglie di origine. La proiezione da parte dei genitori non svolge solo una funzione difensiva ma anche una funzione riparativa di portare in vita i propri oggetti perduti attraverso i figli. Tale <i>reenactment</i> delle prime relazioni oggettuali di un genitore nel contesto della famiglia in cui è egli stesso un genitore può prendere la forma di attribuzioni di ruolo molto fluide per cui un figlio può essere sia genitorializzato sia infantilizzato. Viene espressa dagli autori la convinzione che l’identificazione proiettiva sia operante sia nelle famiglie “sane” che in quelle “disturbate”. L’ identificazione proiettiva può dar vita ad una relazione connotata da qualità empatiche saltuari, oppure, al contrario, può produrre attribuzioni vincolanti nei quali i figli rimangono ancorati all’economia difensiva genitoriale “osserviamo frequentemente come i genitori esprimono delineazioni dei loro figli adolescenti paragonandoli a sè. A volte, la distinzione fra le percezioni che il genitore ha di se stesso e dell’adolescente diventa completamente confusa” (Zinner, Shapiro,1999, p.72)</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">L’ entità della collusione del figlio con un’identificazione proiettiva del genitore può essere dettata da un’opportunità di realizzare delle fantasie onnipotenti sostenute dal potere che il figlio detiene nel determinare l’esperienza di se del genitore, la tacita compiacenza genitoriale con le necessità difensive dell’adolescente “crediamo però che la motivazione più rilevante per la collusione dell’adolescente sia legata al suo timore di perdere l’oggetto, che potrebbe avverarsi se egli non agisse in favore dell’organizzazione difensiva dei genitori” (ibid., p. 71). In modo reciproco per l’adolescente l’identificazione proiettiva con i genitori consente l’utilizzazione del piccolo gruppo familiare per scopi difensivi “di fatto la sperimentazione con le fonti di gratificazione pulsionale, che è tipica dell’adolescenza, può richiedere la proiezione parzialmente rinnovata del Super io dell’adolescente sui genitori per alleviare l’inibizione dell’azione che potrebbe derivare dalla persistente interiorizzazione degli aspetti più severi del super Io dell’adolescente” (ibid., p. 73).</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">La famiglia è un gruppo, un’istituzione ed è anche un sistema interiorizzato di relazioni; attraverso l’identificazione proiettiva reciproca e l’interiorizzazione effettuata da ciascuno, di ognuno degli altri, la famiglia interiorizzata è presente in ogni componente (Nicolò Corigliano, 1999). Le identificazioni familiari inconsce si sviluppano nel tempo determinando disturbi gravi che possono portare a gravi patologie individuali. I disturbi di un membro della famiglia spesso possono derivare dal bisogno comune di mantenere l’unità del gruppo o di coppia: si stabilisce spesso una complicità gruppale che mira a conservare il sistema persecutore- perseguitato: ne risulta un’alienazione del se in cui tutti diventano prigionieri di ciò che hanno proiettato sull’altro, si parla quindi di identificazioni multiple e incrociate (Eiguer, Litovsky, 1983). Nella terapia familiare l’identificazione proiettiva ha, quindi, un ruolo fondamentale sia nel setting familiare sia nel trattamento in quanto rappresenta il maggior legame tra i concetti di ruolo e di processo inconscio, tra individuo e gruppo e tra individuo e famiglia: ed è proprio tale concetto che va sviluppato con le famiglie (Box, 1978). Tale concetto nella terapia familiare permette di comprendere i processi inconsci che agiscono tra i membri della famiglia e le dinamiche familiari attraverso l’esperienza reciproca dei terapeuti e dei membri della famiglia nel contesto terapeutico. I due terapeuti nell’interazione con la famiglia e nel controtransfert cercano di accogliere l’identificazione proiettiva, di ritagliare uno spazio dove comprendere ciò di cui la famiglia intende liberarsi, fornendo un adeguato contenimento. Si può avere a che fare con una comunicazione che la famiglia non sa esprimere in altro modo ma se l’identificazione proiettiva tende alla scarica o al controllo i tentativi per contenerla possono far scaturire odio e mettere in pericolo il processo terapeutico stesso. L’analizzare l’identificazione proiettiva può permettere l’espressione di ciò che è stato controllato attraverso l’attribuzione di ruoli all’interno della famiglia (Moustaki, 1985).</span></span></div><div class="MsoBodyText"><br />
</div><div class="MsoBodyText"><br />
</div><div class="MsoBodyText"><br />
</div><h4 style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><b><span style="font-family: "Bookman Old Style";"> </span></b></span></h4><h4><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=6272875616073550639&postID=910248036057180460" name="_Toc119238598"><b><span style="font-family: "Bookman Old Style";">4. Aspetti controtransferali nel lavoro con le famiglie</span></b></a><b><span style="font-family: "Bookman Old Style";"></span></b></span></h4><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><br />
</div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Nella terapia familiare si può considerare, in generale, il controtransfert come l’esperienza affettiva che il terapeuta ha nell’incontro con la famiglia. Esso, in altri termini, comprende la totalità delle risposte affettive, quali sentimenti, pensieri spontanei, dell’analista nei confronti del transfert del gruppo familiare. Come sottolinea Nicolò (1983) non è, infatti, possibile concepire il controtransfert al di fuori di una relazione di transfert. Transfert e controtransfert “costituiscono il ponte vivente fra il terapeuta e la famiglia, attraverso il quale gli assunti inconsci della famiglia, le identificazioni proiettive reciproche, le relazioni dolorose e le carenze nel fornire l’ <i>holding</i> l’uno all’altro possono venire sperimentati, compresi e restituiti alla famiglia in forma modificata” (Scharff, 1999, pg.219). </span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Spesso tuttavia, osserva Eiguer (1983), si parla di controtransfert senza menzionare il transfert anche perché, continua l’autore, non sempre i terapeuti, dal punto di vista teorico, dispongono di un corpo concettuale chiaro per pensare la famiglia come un’unità che sdoppia la sua problematica centrale su un oggetto esterno (il o i terapeuti). Secondo Eiguer (1983) quando in terapia familiare si ignora il transfert, questo si insinua sotto forme altamente idealizzate e “magiche” e, proprio perché se ne vieta l’analisi, si impedisce lo sblocco di questa idealizzazione del terapeuta.</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">D’altro canto anche l’uso del concetto di controtransfert in terapia familiare pone una serie di domande assai complesse e peculiari.</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Sia che venga considerato come un indizio di problemi non risolti nel terapeuta o, in un ottica più produttiva, come fonte di informazioni significative sulle difficoltà presenti nel sistema familiare (Shapiro, 1983), la recente letteratura è comunque d’accordo nel considerare il controtransfert un fenomeno a cui non ci si può sottrarre, neppure con una terapia strategica. Si può al massimo non riconoscerlo (Nicolò, 1983).</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">È interessante, peraltro, come Loriedo e Vella (1985), in un ottica relazionale-sistemica, utilizzino il termine di <i>coinvolgimento </i>del terapeuta per richiamare l’attenzione su quei fenomeni dell’esperienza clinica che nella terapia psicoanalitica verrebbero indicati come manifestazione del controtransfert.</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Pertanto, prima di affrontare più in dettaglio il tema di nostro interesse riteniamo utile accennare brevemente alla letteratura sul transfert in terapia familiare. Losso (2001), utilizzando le teorizzazione sulle reazioni transferenziali attive nei gruppi informali, ha individuato in terapia familiare:1) un <i>transfert gruppale</i> riguardante i legami di tutto il gruppo con il terapeuta; 2) i <i>transfert individuali</i> espressione dei legami di ognuno dei membri con il/i terapeuti; 3) i<i> transfert laterali</i> tra i membri del gruppo. Anche Balmer (2005) parla di un <i>reticolo di transfert</i> che si attiva nel lavoro terapeutico con la famiglia e di cui se ne possono analizzare, tuttavia, solo gli aspetti più importanti, ovvero il transfert verso il terapeuta (utile come modello di riflessione), accanto ai transfert carichi di emotività molto intensa (espressa o bloccata). </span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Scharff (1991) considera il transfert come derivante da due aspetti dell’ “entrare in relazione” che danno luogo rispettivamente ad un <i>transfert contestuale</i> e ad uno <i>focalizzato</i>. Il primo appare prevalente nelle fasi iniziali della terapia e si fonda sulle aspettative e i timori circa l’adeguatezza dell’ <i>holding</i> e della capacità del terapeuta di aiutare la famiglia. L’attenta considerazione di questo primo aspetto facilità, secondo Scharff (1991) lo sviluppo di un transfert focalizzato, in cui la famiglia sperimenta una modalità di <i>relazione centrata</i>, basata sulla proiezione delle relazioni oggettuali interne sul terapeuta. Secondo Scharff “il terapeuta può organizzare la comprensione della famiglia in modo più agevole e con maggiore utilità intorno alle conoscenze che derivano dall’analisi del transfert condiviso della famiglia” (1991, p.220).</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Per Eiguer, infine, “il transfert in terapia familiare è il comune denominatore dei fantasmi e degli affetti collegati a un oggetto del passato familiare e riferito (per spostamento e proiezione) al terapeuta” (1983, p.71). L’autore considera i transferts individuali come instabili e di poco interesse per un lavoro centrato sulla famiglia come unità di funzionamento. In questo senso, Eiguer (1983) esplicita la difficoltà di utilizzare un modello delle reazioni transferenziali del gruppo informale con il gruppo familiare in terapia. I legami fra i membri della famiglia, infatti, contrariamente a quelli del gruppo sono stabili già prima della terapia e le rappresentazioni inconsce reciproche sono già consolidate. Ecco perché in terapia familiare, secondo Eiguer “il transfert è essenzialmente quello <i>centrale</i> sul terapeuta” (1983, p.72). A sua volta questo transfert centrale presenta tre aspetti: 1) transfert sul terapeuta; 2) transfert sulla cornice (rappresentazione della cornice); 3) transfert sul processo (aspettative sul trattamento) (Eiguer, 1983). Solo con il procedere della terapia le famiglie giungono a comprendere che cornice e processo appartengono non al terapeuta ma alla relazione. Questo consente, secondo l’autore, di liberare, in una fase successiva, il transfert oggettualizzato sul terapeuta (Eiguer, 1983). </span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Su questo sfondo teorico, il controtransfert diventa per Eiguer (1983) l’estensione dei problemi che la famiglia non riesce a comunicare e che, grazie ad esso, possono essere affrontati. In terapia familiare, tuttavia, ciò che rende particolarmente complicato questo processo è il fatto che il terapeuta ha delle reazioni affettive non solo verso ciascun componente, ma anche nei confronti della famiglia nel suo insieme e delle relazioni che legano le persone fra loro (Shapiro, 1983).</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">“Il controtransfert in terapia familiare è non solo più complesso ma spesso anche più intenso che nelle altre forme di terapia. (…) A differenza di quello individuale, il terapista familiare è in genere più attivo e più coinvolto nelle interazioni con i vari membri della famiglia; di conseguenza le sue reazioni sono molto più difficili da nascondere” (Shapiro,1983, p.92).</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Eiguer (1983), a riguardo, specifica tre aree principali in cui si possono individuare le produzioni controtransferali del terapeuta: 1) nel campo del <i>pensiero</i>, disturbi dell’ideazione, ruminazioni eccessive o impressioni di diventare pazzo possono assalire il terapeuta alla fine della seduta; 2) nel campo dell’<i>affettività</i> rappresentano specifici indizi la perdita di stima o al contrario l’esaltazione megalomania circa la qualità del lavoro svolto; 3) nel campo dell’<i>azione</i>, infine, “la famiglia disturbata che difetta nell’elaborazione mentale e nella fantasmatizzazione cosciente produce gesti e atti con debole valore simbolico. Questo può spingere i terapeuti a rispondere in modo operatorio, direttivo, attivistico” (Eiguer, 1983, p.81).</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Proprio l’agire del terapeuta, secondo Nicolò (1983), se non è consapevole, può diventare una resistenza controtransferale. “Il terapeuta può reagire all’aggressività [della famiglia] con aggressività verbale o con un intervento terapeutico aggressivo, con il rifiuto interno della famiglia o di una parte di essa, con l’indurre un interruzione prematura delle sedute o della stessa terapia” (Nicolò, 1983, p.98). </span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">L’<i>induzione narcisistica</i>, descritta da Eiguer (1983; 1983), come meccanismo di difesa molto vicino all’identificazione proiettiva ma che presenta, rispetto a quest’ultima, una diretta e inevitabile ricaduta sul piano dell’azione e dei comportamenti, risulta utile per capire come e quanto il gruppo familiare cerchi di “fare agire” il proprio terapeuta. </span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Dietro ad una modificazione del progetto terapeutico, infatti, qualora non sia sufficientemente <i>pensata</i>, esplicitata e condivisa con la famiglia, si possono spesso individuare gli effetti, nel terapeuta, del suo lasciarsi influenzare da una induzione narcisistica. In questi casi, per esempio, si può non aver voglia di mantenere il rigore tecnico, dare consigli, proporre sedute supplementari o consultare altre fonti di informazioni inutili (Eiguer, 1983).</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Queste forme negative del controtransfert, tuttavia, non devono far dimenticare che “il controtransfert è anche il fattore emozionale stimolante che in altri momenti può rendere il compito del terapeuta gradevole, paziente, comprensivo, pieno di curiosità scientifica e di interesse per l’evoluzione del gruppo” (Eiguer, 1983, p.82).</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Peraltro, come ammonisce Shapiro (1983), anche i vissuti positivi se inappropriati possono danneggiare il lavoro terapeutico, determinando squilibri nella relazione fra il terapeuta ed i vari membri della famiglia. </span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Stierlin (1979), a riguardo, parla di <i>imparzialità interiormente partecipe</i> del terapeuta quale atteggiamento essenziale nel lavoro con le famiglie. L’autore, infatti, rileggendo la <i>multidirectional partiality</i> del terapeuta proposta da Boszormenyi-Nagy (1972), pone l’accento sulla correttezza basilare del terapeuta che, pur nel suo crescente coinvolgimento interiore con i singoli membri, cerca di dare a tutti i familiari la sensazione di essere compresi e stimati.</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Non a caso, Stierlin (1979) considerata la controtraslazione nella psicoterapia familiare come una deviazione dal comportamento terapeutico di “imparzialità partecipe”.</span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><br />
</div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;"> </span></span></div><h5 style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;"> </span></span></h5><h5 style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=6272875616073550639&postID=910248036057180460" name="_Toc119238599"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">4.1 Controtransfert e miti familiari</span></a><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;"> </span></span></h5><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">I miti possono essere intesi come fantasie inconsce gruppali transgenerazionali che fanno parte dell'universo simbolico familiare, riguardano in genere la storia familiare e si rimodellano, nel corso del tempo, pur lasciando un nucleo intatto all'origine che a volte resta segreto nel corso delle generazioni (Nicolò, 1996).</span></span></div><div class="MsoBodyTextIndent" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Alla sua costituzione e al suo permanere contribuiscono tutti i membri della famiglia, di generazione in generazione, organizzando così la continuità della cultura del gruppo familiare e perpetuando, nelle situazioni patologiche, un funzionamento traumatogeno per l'individuo.</span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">I miti familiari perciò, sia che si considerino una fantasia inconscia gruppale condivisa, o (come affermano gli autori sistemici) una serie di credenze solidamente integrate e condivise da tutti i membri della famiglia, che riguardano gli individui e le loro relazioni, descrivono i ruoli e le attribuzioni tra i membri della famiglia nelle loro interazioni reciproche.</span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">A volte questi miti richiedono grosse distorsioni della realtà, ma non sono mai negati da nessuna delle persone che vi sono implicate. </span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">Essi differiscono perciò dall'immagine che come gruppo la famiglia offre all'esterno, ma è invece una parte dell'immagine interna di esso a cui tutti contribuiscono e si sforzano di conservare.</span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">Il mito non racconta solamente qualcosa, ma piuttosto parla attraverso ciò che racconta. Il materiale narrativo che forma il mito è lo strumento attraverso il quale il mito comunica. </span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">La funzione del mito è quella di spiegare, coprendoli, gli aspetti conflittuali della storia del gruppo che hanno a che vedere con l’identità familiare. Stabilisce le condizioni di appartenenza alla famiglia, e instaura un sistema di valori che regolano la conoscenza – e la lettura – della realtà esterna ed interna (Nicolò, 1988). </span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">I miti servono pertanto al bisogno di orientarsi (offrono un’immagine più o meno coerente di “quello a cui la famiglia mira”), ai bisogni di relazioni umane (ancorando i componenti della famiglia a legami reciproci), come anche ai bisogni di giustizia interpersonali (attribuiscono colpe e peccati a determinati familiari).</span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">Losso (1990) evidenzia come il mito risulta da un’elaborazione secondaria di ricordi legati a situazioni traumatiche rimosse, denegate o dissociate, che caratterizzerà il mito secondo il meccanismo predominante. Il mito potrà, così, essere espressione di funzionamenti rigidi, narcisistici, dove predominano meccanismi di difesa “primitivi”, i miti “bizzarri”, generatori di patologie più gravi; e funzionamenti familiari in relazione a miti più flessibili, più vicini al versante nevrotico.</span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">Nella psicoanalisi con le famiglie, in cui vi è la presenza <i>reale</i> del gruppo familiare, vi è una mobilitazione delle strutture mitiche (della famiglia e dei terapeuti) che porta a creare un clima emotivo che riattiva i livelli più primitivi o più indifferenziati dei legami introiettati. I miti vengono ripetuti nel qui ed ora delle sedute, i transfert familiari tendono ad inglobare i terapeuti dentro il mito familiare e quindi anche nel funzionamento familiare strutturato da questo mito. La famiglia cerca cioè di invischiare i terapeuti nel mito familiare trasferendo su di essi le immagini corrispondenti ai personaggi della mitologia familiare, si parlerà allora di quello che Czertok et al. (1993) definiscono <i>transfert mitico</i>. La famiglia tenterà di spostare sui terapeuti gli stessi meccanismi che hanno contribuito ad “ammalarla”. Questo può portare i terapeuti a provare vissuti di impotenza, lentezza, confusione, sentimenti che la famiglia non riesce ad esprimere e tende ad evitare. L’analisi del controtransfert diventa in questo contesto di fondamentale importanza, un insieme di sensazioni e sentimenti vissuti dall’analista (o dagli analisti) nella cornice dell’intreccio dei miti della famiglia e di quello proprio. Processi questi che vengono chiamati da Czertok et al. (1993) <i>valenze collusive </i>e possono assumere due forme. Nella prima l’analista (o gli analisti) orienta i transfert intrafamiliari verso di lui agevolando la diminuzione di quei transfert. Nella seconda forma del processo di collusione la famiglia tende ad inglobare l’analista nel mito familiare facendogli assumere il posto del paziente designato (Pichon, Rivière, 1971). Questo processo può portare l’analista a schierarsi con un membro della famiglia o a identificarsi con un membro o con un sottogruppo, ciò può fungere da “segnale” da “avvertimento” che qualcosa sta accadendo, che ci si sta invischiando nel mito familiare. Se l’analista (o gli analisti) conserva la capacità di dissociarsi e di capire cosa sta accadendo, questo processo di comprensione del mito potrà essere utilissimo per una valutazione delle dinamiche messe in atto dalla famiglia e per iniziare un processo di riscatto del senso della storia familiare (Abadi, 1980b). </span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style";">Di fondamentale importanza risulta essere, nella psicoanalisi familiare, la coterapia in modo che se uno dei terapeuti rimane invischiato nei processi di cui abbiano parlato, l’altro può assumere le funzioni di Io osservatore, di “segnale”, di secondo sguardo, e “riscattare” il coterapeuta durante la seduta e anche dopo nella discussione del caso. </span></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><br />
</div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><br />
</div><h5 style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=6272875616073550639&postID=910248036057180460" name="_Toc119238600"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">4.2 Utilizzo e “destini” del controtransfert</span></a><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;"></span></span></h5><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><br />
</div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-size: small;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; line-height: 150%;">Prendendo spunto da alcuni interessanti contributi presenti nella letteratura (Searles, 1974; Shapiro, 1983; Nicolò, 1983; Box <i>et al</i>., 1985) vorremo in questa parte del nostro lavoro, affrontare i possibili usi ed effetti delle reazioni controtransferali del/dei terapeuti.</span></span></div>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-9214228345836913802011-06-18T15:27:00.000-07:002011-06-18T15:27:18.750-07:00I GRUPPI DI AUTO-AIUTO: CARATTERISTICHE ed EFFICACIA<!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> <w:Zoom>0</w:Zoom> <w:HyphenationZone>14</w:HyphenationZone> <w:PunctuationKerning/> <w:ValidateAgainstSchemas/> <w:SaveIfXMLInvalid>false</w:SaveIfXMLInvalid> <w:IgnoreMixedContent>false</w:IgnoreMixedContent> <w:AlwaysShowPlaceholderText>false</w:AlwaysShowPlaceholderText> <w:Compatibility> <w:BreakWrappedTables/> <w:SnapToGridInCell/> <w:WrapTextWithPunct/> <w:UseAsianBreakRules/> <w:DontGrowAutofit/> </w:Compatibility> <w:BrowserLevel>MicrosoftInternetExplorer4</w:BrowserLevel> </w:WordDocument> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 9]><xml> <w:LatentStyles DefLockedState="false" LatentStyleCount="156"> </w:LatentStyles> </xml><![endif]--><!--[if !mso]><img src="http://img2.blogblog.com/img/video_object.png" style="background-color: #b2b2b2; " class="BLOGGER-object-element tr_noresize tr_placeholder" id="ieooui" data-original-id="ieooui" /> <style>
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<br />
<br />
ASPETTI GENERALI <br />
<br />
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 1983, ha fatto rientrare sotto l’etichetta “autoaiuto”, tutte quelle misure che sono adottate da non professionisti per promuovere o recuperare la salute di una determinata comunità o gruppo sociale. Caplan (1974) ha suddiviso i gruppi di autoaiuto in base alle loro finalità definendo in questo modo tre tipi di gruppo: 1) persone che si trovano ad affrontare periodi di transizione nella loro vita, rapidi cambiamenti di ordine culturale o disorganizzazioni sociali; 2) persone che condividono un problema, una disabilità o qualche altra difficoltà (definiti anche “Insieme di Analoghi”) e che nel gruppo si scambiano reciproco sostegno; 3) persone che nei gruppi costituiscono una nuova comunità in cui possano coinvolgersi, pensiamo ad esempio a genitori senza coniuge. Da questo punto di vista Colaianni (1999, p. 30) definisce i gruppi d’autoaiuto come “gruppi per il cambiamento sociale” o anche come “Contesti d’apprendimento/cambiamento”. <br />
<br />
Per meglio comprendere il funzionamento dei gruppi di auto aiuto può essere utile definirne le caratteristiche principali (Katz e Bender, 1976): <br />
<br />
§ Il numero limitato di partecipanti consente di sviluppare relazioni e processi affettivi stretti fra i membri; <br />
<br />
§ Sono centrati su specifici problemi e sofferenze dalla cui condivisione discende la similarità delle storie di vita. Si tratta di una simmetria tra i membri che deriva da una situazione di disagio e da un bagaglio esperienziale simile. L’aiuto che viene scambiato consiste generalmente in attività intraprese dai membri proprio rispetto a questi problemi; <br />
<br />
§ Le origini di questi gruppi sono, di solito, spontanee anche se più recentemente molti di essi sono istituiti da organizzazioni quali i servizi sociali; <br />
<br />
§ Condividono obiettivi comuni ed emersi dal gruppo stesso più che determinati dall’esterno; <br />
<br />
§ La comunicazione è di tipo orizzontale, tutti possono partecipare in modo personale, allo scambio reciproco d’informazioni, racconti ed emozioni, rispettando gli altri e senza accentrare su sé stessi la discussione. <br />
<br />
§ Vi è un coinvolgimento ed una partecipazione personale dei membri. <br />
<br />
§ Aiutare se stessi e gli altri è la norma espressa dal gruppo. L’enfasi è posta sulla cooperazione e sulla mutualità tra i membri, sull’utilità della propria partecipazione e impegno a vantaggio dell’altro e del gruppo. Ed è proprio chi aiuta l’altro che maggiormente può beneficiare del sostegno, secondo il noto principio dell’Helper; <br />
<br />
§ E’ attraverso la sperimentazione di nuove modalità di comportamento, di modi di sentire e trasmettere i propri vissuti che diventa possibile elaborare, cognitivamente ed affettivamente, una nuova forma di conoscenza ed aumentare la stima di sé. La competenza è basata sull’esperienza concreta più che sulla formazione specialistica (Grosso, 1992). <br />
<br />
§ Potere e leadership sono condivisi alla pari e tendono a ruotare tra i vari membri del gruppo in base a contingenze, capacità, meriti e livello di esperienza di volta in volta raggiunti dai membri. <br />
<br />
§ La condivisione di certe condizioni o difficoltà oltre a definire il senso d’appartenenza al gruppo aldilà delle differenze di età, sesso, status socioeconomico ecc., ne determina la mutualità. <br />
<br />
§ Lo scopo è quello di procurare aiuto e sostegno ai membri del gruppo nell’affrontare i loro problemi e nel migliorare la loro efficienza psicologica. <br />
<br />
§ L’origine e l’approvazione devono derivare dagli stessi membri del gruppo. Nel caso il gruppo nasca per iniziativa di un professionista, esso deve poi continuare la propria attività in maniera indipendente. <br />
<br />
§ La fonte d’aiuto risiede negli sforzi, nelle capacità e nelle competenze dei membri in relazione tra loro come pari. <br />
<br />
§ Vi è un orientamento non competitivo ma cooperativo fra i membri <br />
<br />
Katz e Bender (1976) classificano i gruppi d’autoaiuto in base al loro focus principale: <br />
<br />
1. Gruppi focalizzati sull’autorealizzazione e sulla crescita personale, considerati gruppi terapeutici; <br />
<br />
2. Gruppi più centrati sulla difesa sociale, attraverso campagne di sensibilizzazione, confronto con le istituzioni, ecc.; <br />
<br />
3. Gruppi focalizzati sulla ricerca di stili di vita alternativi; <br />
<br />
4. Gruppi per emarginati e persone svantaggiate, come luogo sicuro; <br />
<br />
5. Gruppi misti, con due o più delle precedenti caratteristiche. <br />
<br />
<br />
<br />
Francescato (1995) propone una classificazione dei gruppi d’autoaiuto che tiene conto principalmente delle finalità perseguite dal gruppo e della sua composizione. <br />
<br />
1. Gruppi per l’eliminazione o il controllo di comportamenti problematici. <br />
<br />
I cui componenti lottano per uscire da una dipendenza, che sia da una sostanza (es. alcol, fumo, cibo), da un’altra persona (dipendenza affettiva) o da stili di vita pericolosi per se o per gli altri (gioco d’azzardo, violenza sui figli). Attraverso l’identificazione ed il modellamento con persone che sono più avanti nel percorso di cambiamento, i membri dei gruppi acquisiscono fiducia rispetto alla possibilità di poter mutare i propri comportamenti ed aumentano la propria autostima. <br />
<br />
2. Gruppi per handicappati o malati cronici. <br />
<br />
Si tratta di persone portatrici di problematiche fisiche o psichiche, spesso costrette a tenere sotto controllo la propria salute con diete particolari, terapie, limitazione dei comportamenti (es. infartuati, diabetici, schizofrenici). Il gruppo aiuta a raggiungere un buon livello di autoresponsabilizzazione, aumenta la percezione positiva di se come persone che possono fare qualcosa per stare meglio e che possono essere utili per se e per gli altri. <br />
<br />
3. Gruppi di parenti di persone con problemi gravi. <br />
<br />
Costituiscono questi gruppi persone i cui congiunti sono portatori di problematiche che rientrano nelle due precedenti categorie della classificazione. <br />
<br />
Parenti di alcolisti o tossicodipendenti, di pazienti psichiatrici, persone affette da tumore ecc., sono spesso soggette ad alti livelli di stress, tali da poter divenire minaccia per la loro stessa salute, fisica e psichica. Attraverso lo scambio d’informazioni, il supporto emotivo ed anche l’aiuto materiale ognuno riceve e dà sostegno sociale il che ha anche un effetto tampone rispetto alle conseguenze dello stress prolungato. <br />
<br />
4. Gruppi di persone in situazione di crisi. <br />
<br />
Composti da soggetti che attraversano un periodo di crisi legato ad un evento negativo come una separazione, un lutto od un trasferimento; ad un evento positivo che stravolge la loro vita, ad esempio un’adozione o la nascita di un figlio; un cambiamento che incide sulla propria identità, comunemente il pensionamento o la menopausa. Attraverso la condivisione di un’esperienza, grazie ai meccanismi di identificazione e aiuto reciproco si può uscire dalla situazione difficile competenti e rafforzati. <br />
<br />
<br />
<br />
QUALI DINAMICHE E PROCESSI SI INNESCANO NEI GRUPPI DI AUTOAIUTO? <br />
<br />
Generalmente una prima cosa che un membro comprende, quando entra a far parte di un gruppo d’autoaiuto, è che il suo problema non è poi così raro (“qualcuno sa come mi sento, non sono solo”) e ciò ha un suo primo effetto positivo nel superamento della sensazione d’isolamento. Francescato (1995) definisce questo fattore “universalità”. A chi ha vissuto uno stesso nostro problema o si trova nella nostra condizione, riconosciamo inoltre il diritto e la “competenza” di parlare in merito ad essa, la sua comprensione è più genuina e le sue parole risultano più efficaci e credibili. La “parità” tra i membri del gruppo supportata da processi comunicativi orizzontali e lo scioglimento di ruoli rigidi facilita il sostegno, la condivisione, il confronto ed il superamento di quei meccanismi di difesa che impediscono di affrontare i problemi. Liss (1996) chiama questo scambio fra pari “Collaborazione Reciproca”. <br />
<br />
Per Francescato (1995), la possibilità di incontrare nei gruppi persone che, pur con lo stesso problema, sono riuscite a superarlo o affrontarlo, è la base affinché avvenga ciò che ha definito “infusione di speranza” e possa svilupparsi quel senso di fiducia attraverso il quale il cambiamento diviene pensabile e possibile e con esso il processo di empowerment. Altro aspetto riguarda il noto “Principio dell’helper therapy”: nel gruppo d’autoaiuto, colui che si pone nel ruolo di chi presta aiuto è proprio colui che ne riceve maggior beneficio, così che l’aiuto offerto finisce per avere una doppia valenza, interna alla persona e relazionale. Questo avviene perché chi aiuta, oltre a sentirsi meno dipendente, sperimenta l’efficacia del proprio aiuto, la propria utilità sociale e ne riceve riconoscimento dagli altri partecipanti. Nei gruppi d’autoaiuto l’individuo passa da una situazione d’impotenza appresa (learned helplessness) a una di autoefficacia (selfefficacy) (Gartner e Reissman, 1984). L’annullamento della differenza tra chi cura/aiuta e chi è curato/aiutato innesca un meccanismo di sblocco della passività e di liberazione dal senso di impotenza e sfiducia in se stessi. E’ nel far pratica “d’interdipendenza” reciproca che avviene l’innalzamento dell’autostima: chi deve dipendere da altri mostra fierezza e soddisfazione nel sostenere qualcuno che può a sua volta dipendere da lui (Francescato, 1995). <br />
<br />
Nei gruppi d’autoaiuto, inoltre, avviene un tipo d’apprendimento che non è possibile fare altrove, basato sull’esperienza diretta, sul confronto sociale, sulla sperimentazione attiva di nuovi comportamenti, sia all’interno del gruppo che fuori. Nell’assumere il ruolo di colui che aiuta, ad esempio del non bevitore che aiuta chi beve, ogni membro assimila comportamenti e aspettative che sono connesse con il ruolo, appunto, del non bevitore (Gartner e Reissman, 1979). <br />
<br />
Il problema centrale e condiviso dal gruppo solitamente viene sottoposto secondo Robinson (1980, in Noventa et al., 1990), ad una ridefinizione, decostruzione e ristrutturazione cognitiva attraverso cui ogni partecipante apprende modalità nuove di gestione dello stesso e soluzioni pratiche più efficaci. Il gruppo di autoaiuto può essere un luogo di riduzione delle stigmatizzazione e dell’etichettamento a cui ciascun membro è soggetto nella realtà. In questo senso l’appartenenza al gruppo in quanto affermazione di un’identità anche di malattia (sono un alcolista) aiuta a ridurre lo stigma sociale e aumenta l’accettazione del soggetto (Katz, 1970). Secondo Maguire (1989) il sentimento di appartenenza al gruppo, dato dal senso di similarità aumenta la coesione, l’accettazione e il sostegno. <br />
<br />
Questo stato di forte aggregazione tende poi ad influenzare il modo di pensare ed i comportamenti dei membri, verso il conformismo. Da questo punto di vista i gruppi d’autoaiuto sono fortemente “persuasivi” (Antze, 1976), poichè attraverso il coinvolgimento dei membri, riescono a far assimilare ai partecipanti le idee del gruppo stesso. Nel momento in cui un membro del gruppo fornisce consigli e informazioni, in realtà non fa altro che rinforzare in sé le convinzioni maturate nel gruppo. <br />
<br />
I momenti e le opportunità di socializzazione divenendo uno dei fattori più significativi della nuova esperienza dei partecipanti (Noventa et al., 1990). Altro aspetto rilevante riguarda l’impatto emozionale che il gruppo ha nei confronti dei vari partecipanti in quanto contesto affettivo significativo. I gruppi sviluppano emozioni molto forti la cui condivisione a sua volta aumenta la coesione dei gruppi stessi. (Noventa et al. 1990). Studi sull’efficacia sono stati condotti per una grossa parte delle diverse tipologie di gruppo d’autoaiuto esistenti. La partecipazione a gruppi d’autoaiuto oltre a rendere più responsabili i membri rispetto alla propria salute, agisce rendendo i soggetti più capaci di comprendere la propria condizione e di aderire meglio ai protocolli terapeutici e riabilitativi (compliance terapeutica). Sembra inoltre che il sostegno ricevuto in gruppo si traduca in un effetto positivo sulla risposta immunitaria (Spiegel et al. 1981). <br />
<br />
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<br />
CIRCA L’EFFICACIA… <br />
<br />
A risultati simili sono arrivati studi condotti con il metodo sperimentale, su persone con melanoma maligno (Fawzy et al., 1990). Essere parte di un gruppo d’autoaiuto, per persone nelle prime fasi del cancro della pelle, oltre a migliorare l’umore e le capacità di “coping”, aumenterebbe le possibilità di sopravvivenza tre volte di più in un periodo di cinque anni. Spiegel (1993) suggerisce quindi che gli interventi psicosociali possono rallentare la progressione del disturbo. Anche per Silliman e colleghi (1993) in sinergia con altri fattori, la quantità di supporto sociale influenzerebbe l’efficacia del trattamento. <br />
<br />
In accordo con questi studi, Munsell, Brisson e Deschenes (1993, in McLean 1995), sostengono che il supporto sociale può essere associato con una più lunga vita in donne con cancro localizzato, mentre Gray et al. (1995) hanno evidenziato che la partecipazione a gruppi di self-help è estremamente utile nella lotta contro il cancro, sia a breve sia a lungo termine. <br />
<br />
Il sostegno fornito dai gruppi d’autoaiuto diviene un valido coadiuvante degli effetti delle cure mediche tradizionali anche in molte condizioni croniche. Hinrichsen e Revenson (1985) hanno condotto uno studio su cento adulti, portatori di scoliosi, sottoposti a cure mediche tradizionali. Coloro che ricevettero il supporto del gruppo riportarono una visione più positiva della vita, miglior soddisfazione per le cure mediche ricevute, riduzione dei sintomi psicosomatici, incremento del senso di padronanza, aumento dell’autostima e riduzione dei sentimenti di vergogna e alienazione. I gruppi di self-help si sono rivelati efficaci nel fornire supporto a donne affette da HIV (Metcalfe, Langstaff, Evans et al., 1998). Tale supporto sarebbe anche in grado di ridurre lo stress psicologico ed immunitario tra uomini con comportamento omosessuale diagnosticati come HIV positivi (Schneiderman et al., 1990). <br />
<br />
Gli studi che si sono concentrati su gruppi d’autoaiuto per persone dedite all’uso di droghe, legali o illegali, sono quelli in cui gli effetti sono stati maggiormente documentati. Uno studio sull’efficacia dei Club di Alcolisti in Trattamento, gruppi per famiglie con problemi alcolcorrelati molto diffusi in Italia che utilizzano la metodica dell’autoaiuto, ha evidenziato un tasso di mantenimento dello stile di vita sobrio della famiglia, nel 70% dei casi a tre anni dall’inizio della partecipazione al gruppo (Toniutti, 1997). Cornwall e Blood (1998) si sono dedicati alla verifica dell’efficacia di trattamenti in soggetti ricoverati, o in day-hospital, per l’abuso di stupefacenti. I trattamenti, che comprendevano la partecipazione a gruppi di self-help per 10 settimane, mostrarono la capacità di ridurre l’abuso di sostanze e di migliorare il livello complessivo di funzioni e comportamenti. <br />
<br />
Altri studi si sono dedicati al confronto dell’efficacia, nella lotta alla dipendenza da nicotina, di gruppi self-help (Jason, Gruder et al., 1987) rilevando risultati positivi. <br />
<br />
<br />
<br />
Gli studi che si sono dedicati alla verifica dell’efficacia dei gruppi di self-help nell’ambito dei problemi di salute mentale hanno evidenziato la loro forza nel migliorare alcuni parametri di benessere psichico, quali l’autostima e la fiducia in se stessi (Lieberman, Solow et al. 1979) e la capacità di far fronte alla propria malattia (Kurtz, 1988). I membri dei gruppi di self-help per la salute mentale risulterebbero meno preoccupati e più soddisfatti delle proprie condizioni di salute e di vita (Raiff, 1984). La maggior parte di queste indagini, inoltre, ha rilevato una riduzione sia nel numero sia nella durata dei ricoveri. I pazienti diverrebbero più capaci di utilizzare risorse non psichiatriche al di fuori dell’ospedale (Galanter, 1988). Molte ricerche hanno evidenziato l’utilità dei gruppi di self-help, per persone affette da diabete, nel senso di una riduzione dei sintomi psicologici connessi alla malattia, di una maggior conoscenza della stessa ed una maggior soddisfazione per la qualità della propria vita, a tutto questo si connetterebbe un miglior controllo della glicemia. <br />
<br />
Alcune ricerche hanno reso evidente il ruolo che i gruppi di self-help possono svolgere nell’ambito della prevenzione, in particolare nei confronti delle possibili conseguenze di eventi traumatici, come la perdita di un figlio o di un coniuge, incidenti o malattie acute. In persone sessantenni che hanno perso il coniuge, se membri di gruppi self-help per il lutto, sperimentavano meno depressione e angoscia di chi non ne faceva parte (Caserta e Lund, 1993). <br />
<br />
La partecipazione ad un gruppo d’autoaiuto per familiari di pazienti psichiatrici permette una riduzione del senso di oppressione vissuto dalla famiglia fornendo informazioni circa la malattia e le strategie di “coping” (Potasnick e Nelson, 1984).<div class="MsoBodyText" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-38236228675307180142011-06-12T14:22:00.000-07:002011-06-12T14:22:02.988-07:00Cos'è il BINGE EATING DISORDER (BED):<!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> <w:Zoom>0</w:Zoom> <w:HyphenationZone>14</w:HyphenationZone> <w:PunctuationKerning/> <w:ValidateAgainstSchemas/> <w:SaveIfXMLInvalid>false</w:SaveIfXMLInvalid> <w:IgnoreMixedContent>false</w:IgnoreMixedContent> <w:AlwaysShowPlaceholderText>false</w:AlwaysShowPlaceholderText> <w:Compatibility> <w:BreakWrappedTables/> <w:SnapToGridInCell/> <w:WrapTextWithPunct/> <w:UseAsianBreakRules/> <w:DontGrowAutofit/> </w:Compatibility> <w:BrowserLevel>MicrosoftInternetExplorer4</w:BrowserLevel> </w:WordDocument> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 9]><xml> <w:LatentStyles DefLockedState="false" LatentStyleCount="156"> </w:LatentStyles> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 10]> <style>
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<li class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">Gli episodi di abbuffata si associano a tre o più delle seguenti condizioni: </li>
<ul style="margin-top: 0cm;" type="disc"><li class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">Mangiare molto più rapidamente del normale;</li>
<li class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">Mangiare fino a sentirsi sgradevolmente sazi;</li>
<li class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">Mangiare ingenti quantitativi di cibo quando non si avverte la sensazione fisica della fame;</li>
<li class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">Mangiare da soli a causa dell’imbarazzo che deriva dall’abbondante quantitativo di cibo che viene ingerito;</li>
<li class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">Sentirsi disgustati da sé stessi, depressi e molto colpevoli dopo essersi abbandonati all’abbuffata.</li>
</ul><li class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">E’ presente un forte disagio riguardo all’abbuffata;</li>
<li class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">L’episodio di abbuffata si è verificato, in media, per almeno due volte alla settimana per 6 mesi;</li>
<li class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">L’episodio<span> </span>di abbuffata non si associa al regolare ricorso a condotte compensatorie inappropriate e non si presenta unicamente nel corso di bulimia nervosa o anoressia nervosa.</li>
</ol><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">Le abbuffate generalmente avvengono in solitudine e sono frequentemente associate ad un tono dell’umore depresso nel soggetto e da sentimenti di imbarazzo, vergogna e disgusto per il proprio comportamento. </div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">La casistica raccolta presso l’istituto Auxologico Italiano (Molinari, Riva, 2004) ha individuato una incidenza del BED nella popolazione di soggetti obesi in trattamento valutata intorno al 19%, mentre altri studi riportano valori fra il 20 e il 30% (Marcus, <i>et al.</i>, 1995). Ciò che interessa sottolineare è il fatto che la presenza del BED rende molto più complicata la condizione di obesità del soggetto sia a livello prognostico sia nell’ottica del trattamento terapeutico a causa della presenza di un significativo disturbo dell’umore generalmente di tipo depressivo o, meno frequentemente, di tipo ossessivo-compulsivo, oppure di un disturbo border-line di personalità. Gli obesi BED, in generale, mostrano rispetto ai non BED, maggiori livelli di depressione, di ostilità e di rabbia espressa correlata ad impulsività. Alcune ricerche (Molinari, Riva, 2004) orientate a stabilire l’influenza dei tratti di personalità sull’atteggiamento nei confronti del cibo in soggetti obesi hanno rilevato come la presenza di alti livelli d’ansia e di valori elevati nelle scale <i>depressione</i> e <i>devianza sociale </i>del Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI-2) (Butcher, 1990) fosse associata ad abitudini alimentari tendenzialmente disturbate e ad atteggiamenti bulimici nei confronti del cibo. </div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">La letteratura (Istituto Auxologico Italiano, 2006) riporta come i familiari di soggetti BED presentino con maggior frequenza un’obesità grave (BMI > 40) rispetto a familiari di soggetti non BED. Altro aspetto rilevante riguarda la frequente presenza nei soggetti <i>binge eating</i> di caratteristiche alessitimiche con incidenze che possono raggiungere anche valori intorno al 60% (Cochrane, <i>et al.</i>,1993). Questi soggetti in cui è frequentemente la presenza di una personalità borderline, mostrano un uso del pensiero prevalentemente operatorio ed una scarsa capacità di rappresentare simbolicamente le proprie emozioni e di comunicare i propri stati interiori entro i rapporti interpersonali. </div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">Appare evidente, dunque, come l’obesità, da un punto di vista psicopatologico, non possa essere considerata un fenomeno unitario (Bruch, 1973), visti i quadri clinici differenti che spesso concorrono a determinare nel soggetto un comportamento alimentare abnorme e disfunzionale. La possibilità di attivare opzioni terapeutiche mirate passa, pertanto, attraverso un’attenta diagnosi differenziale fondata sull’analisi delle caratteristiche di personalità della persona obesa e sulla capacità di distinguere gli aspetti psichiatrici che hanno avuto una parte nello sviluppo dell’eccesso ponderale da quelli che ne sono diventati la conseguenza. </div>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-20949781236141042832011-06-08T13:36:00.000-07:002011-06-08T13:36:56.430-07:00CORSO E-LEARNING: IL PROCESSO DI PROGETTAZIONE DI INTERVENTI INAMBITO ORGANIZZATIVO E SOCIALE . 10° EDIZIONE INIZIO 20 GIUGNO<table border="0" cellpadding="0" cellspacing="0"><tbody>
<tr><td width="449"><strong>PRESENTAZIONE</strong></td> <td width="121"><br />
</td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> Progettare significa pianificare la propria azione professionale entro diversi contesti organizzativi in conformità degli obiettivi operativi e degli scopi strategici che si intendono raggiungere a partire da vincoli, risorse, aspettative ed esigenze del sistema cliente, rendendo sempre verificabile l’itinerario metodologico proposto.<br />
La progettazione rappresenta una competenza professionale specifica dello psicologo relativa al saper “leggere” le realtà in cui è chiamato ad intervenire proponendo coerenti obiettivi di sviluppo.<br />
L’itinerario formativo-esperienziale proposto prevede la possibilità di individuare aree problematiche nei sistemi sociali di varia natura entro cui promuovere la propria azione professionale, la costruzione della committenza, le caratteristiche generali e le fasi della progettazione, il monitoraggio e la valutazione del progetto.<br />
</td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"> </td> </tr>
<tr> <td><a href="" name="obiettivi"></a><strong>OBIETTIVI FORMATIVI</strong></td> <td width="121"></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> Il corso ha come obiettivi:<br />
<blockquote> <strong><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></strong> offrire utili conoscenze teoriche e metodologiche sul processo di progettazione nel sociale;<br />
<strong><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></strong> proporre un utile supporto alla preparazione della prova pratica dell’esame di stato;<br />
<strong><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></strong> prospettare uno spazio di pensiero e riflessione comune e condivisa sui casi studio presentati dai docenti e sulle eventuali esperienze di tirocinio dei partecipanti.<br />
</blockquote></td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"> </td> </tr>
<tr> <td><a href="" name="destinatari"></a><strong>DESTINATARI</strong></td> <td width="121"></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> Il corso è rivolto a studenti e professionisti delle Scienze psicologiche e sociali, che intendono integrare e potenziare le proprie competenze teoriche e metodologiche nell’ambito degli interventi psicologico clinici e sociali.<br />
Il corso è altresì adatto ai dottori in Psicologia in procinto di affrontare la prova pratica dell'esame di stato.<br />
</td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"> </td> </tr>
<tr> <td><a href="" name="tutor"></a><strong>TUTOR</strong></td> <td></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> <strong>Dott. Carlo Foddis:</strong> Psicologo Specialista in Psicologia Clinica e Psicoterapeuta. Ha lavorato come consulente nelle aree della selezione del personale, progettazione e consulenza organizzativa per aziende di medio e piccoledimensioni. Coordina le attività dello Studio Professionale PROSPETTIVE PSICOSOCIALI.<br />
<strong>Dott.ssa Elena Roveglia:</strong> Psicologa Specialista in Psicologia Clinica e Psicoterapeuta, Psicologa di Comunità ed Esperta in processi formativi. Socia Associazione Attraversamenti.<br />
</td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"> </td> </tr>
<tr> <td><a href="" name="metodologia"></a><strong>METODOLOGIA DIDATTICA </strong></td> <td></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> Il corso viene erogato secondo una modalità di <strong>comunicazione asincrona</strong>, che non prevede la partecipazione simultanea dei partecipanti, caratteristica che lo rende <strong>ben gestibile in qualsiasi orario della giornata</strong>, anche per chi lavora e ha poco tempo disponibile.<br />
L’approccio utilizzato è basato sull’<strong>apprendimento collaborativo</strong> e prevede la partecipazione attiva di ciascun partecipante alle discussioni didattiche e il continuo confronto con gli altri colleghi.<br />
In particolare é previsto l’utilizzo di:<br />
<ul><li>Sessioni di <strong>studio individuale</strong> con il supporto di materiali didattici appositamente realizzati</li>
<li>Sessioni dedicate alla condivisione di informazioni attraverso il <strong>forum online</strong></li>
<li><strong>Esercitazioni</strong> ed analisi di <strong>case studies</strong></li>
</ul></td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"> </td> </tr>
<tr> <td><a href="" name="modalita"></a><strong>MODALITA DI PARTECIPAZIONE </strong></td> <td><br />
</td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> Per poter fruire del corso, bisogna avere a disposizione un <strong>PC con connessione ad Internet</strong> (non è necessario l’ADSL). <br />
Il primo giorno di corso, viene inviata a tutti gli iscritti un’ e-mail contenente il link all’aula virtuale di Obiettivo Psicologia, una semplice procedura di registrazione all’aula e una password per l’accesso.<br />
Nell’aula virtuale vi sono le <strong>dispense didattiche</strong>, il<strong> forum di discussione </strong>moderato dal Tutor e le <strong>esercitazioni </strong>da svolgere</td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"> </td> </tr>
<tr> <td><a href="" name="data"></a><strong>DATE E ORARI </strong></td> <td></td></tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"><td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><br />
</td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> Il corso inizia il giorno <strong>20 Giugno </strong><strong>2011</strong> e dura <strong>tre settimane</strong>.<br />
Durante le tre settimane di corso ciascun partecipante potrà <strong>accedere all’aula virtuale</strong><strong> in qualsiasi momento</strong>, 24 ore su 24, per leggere e rispondere alle discussioni, fare domande ai Tutor, scaricare i materiali didattici e partecipare alle attività proposte.<br />
I partecipanti potranno di conseguenza adattare il percorso ai propri tempi e spazi, in maniera estremamente flessibile e senza orari rigidi.<br />
I <strong>Tutor</strong> intervengono nei forum di discussione tutti i giorni eccetto i sabati e le domeniche.<br />
</td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"> </td> </tr>
<tr> <td><a href="" name="contenuti"></a><strong>CONTENUTI</strong></td> <td width="121"></td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> Il corso si articola in 2 moduli:<br />
<strong>MODULO 01</strong><br />
<blockquote> <strong><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></strong> Approfondisce le dimensioni che precedono la stesura di un progetto di intervento:<br />
<blockquote> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-grigio.gif" /> Come e perché nasce un progetto? A partire da quali aree problematiche? Con quali obiettivi di sviluppo? Entro quali contesti?;<br />
<img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-grigio.gif" /> Individuazione dei potenziali committenti. Chi pone la domanda e chi è il cliente dell’intervento? Costruzione della relazione con il cliente;<br />
<img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-grigio.gif" /> Individuazione delle risorse e valutazione della fattibilità dell’intervento.<br />
</blockquote><strong><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></strong> Esercitazioni, sotto forma di casi, centrate sull’analisi della domanda e dei bisogni del sistema committente nell’ambito di intervento psicologici in diversi contesti.<br />
</blockquote><strong>MODULO 02 </strong><br />
<blockquote> <strong><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></strong> Si basa sulla pianificazione di un impianto progettuale attraverso l’identificazione degli obiettivi che si vogliono perseguire con l’intervento, coerentemente con l’analisi del problema effettuata:<br />
<blockquote> <img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-grigio.gif" /> tappe della progettazione di un intervento (ideazione, attivazione, progettazione, realizzazione, valutazione);<br />
<img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-grigio.gif" /> stesura del progetto (premessa, finalità, obiettivi, target, metodologia e attività, budget);<br />
<img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-grigio.gif" /> valutazione della coerenza tra obiettivi individuati e metodologie applicate.<br />
</blockquote><strong><img align="absmiddle" alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/punto-elenco.png" /></strong> Esercitazioni, sotto forma di casi, centrate sulla stesura di progetti di intervento in diversi contesti.<br />
</blockquote></td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"> </td> </tr>
<tr> <td><a href="" name="attestato"></a><strong>ATTESTATO</strong></td> <td><br />
</td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> Al termine del percorso verrà inviato l’Attestato di Partecipazione, tramite posta prioritaria, ai partecipanti che avranno svolto e consegnato le esercitazioni previste dal corso entro i tempi di consegna indicati.<br />
</td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"> </td> </tr>
<tr> <td><a href="" name="iscrizione"></a><strong>ISCRIZIONE E AGEVOLAZIONI </strong></td> <td width="121"><br />
</td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> Il corso è a numero chiuso per un massimo di <strong>18 partecipanti</strong>.<br />
La quota di iscrizione è di <strong>135,00€</strong> (Iva inclusa).<br />
Gli abbonati a <a href="http://liberamente.opsonline.it/" target="_blank">Liberamente</a><strong> </strong>usufruiranno della quota ridotta di <strong>115.00 euro</strong><strong> (Iva inclusa)</strong>.<br />
La quota di iscrizione comprende le dispense didattiche e le esercitazioni, con feedback del tutor.<br />
Il pagamento può essere effettuato con bonifico bancario o conto corrente postale, in base ai dati indicati sul modulo d’iscrizione.<br />
E’ possibile richiedere il modulo di iscrizione in due modi:<br />
<ul><li>Inviando una mail all’indirizzo <a href="mailto:learncomm.fol@opsonline.it">learncomm.fol@opsonline.it</a>, specificando il <strong>titolo del corso</strong> ed allegando il proprio <strong>curriculum vitae</strong></li>
<li>Compilando il <strong>form online di richiesta modulo</strong></li>
</ul>Per <strong>perfezionare la propria iscrizione</strong> ad un corso è necessario compilare il modulo con i propri dati, firmarlo ed inviarlo assieme alla copia del versamento effettuato ai recapiti riportati sul modulo stesso.<br />
</td> </tr>
<tr> <td colspan="2" height="50"> </td> </tr>
<tr> <td><a href="" name="contatti"></a><strong>CONTATTI</strong></td> <td><br />
</td> </tr>
<tr bgcolor="#b7d13a"> <td bgcolor="#ff6600" colspan="2"><img alt="" src="http://www.obiettivopsicologia.it/img/sfondo5x5.gif" /></td> </tr>
<tr> <td colspan="2"> </td> </tr>
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</tbody></table>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-33128210140182857072011-06-07T13:55:00.000-07:002011-06-07T13:55:19.609-07:00L'ASMA INFANTILE: ULTERIORI APPROFONDIMENTI<!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> <w:Zoom>0</w:Zoom> <w:HyphenationZone>14</w:HyphenationZone> <w:PunctuationKerning/> <w:ValidateAgainstSchemas/> <w:SaveIfXMLInvalid>false</w:SaveIfXMLInvalid> <w:IgnoreMixedContent>false</w:IgnoreMixedContent> <w:AlwaysShowPlaceholderText>false</w:AlwaysShowPlaceholderText> <w:Compatibility> <w:BreakWrappedTables/> <w:SnapToGridInCell/> <w:WrapTextWithPunct/> <w:UseAsianBreakRules/> <w:DontGrowAutofit/> </w:Compatibility> <w:BrowserLevel>MicrosoftInternetExplorer4</w:BrowserLevel> </w:WordDocument> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 9]><xml> <w:LatentStyles DefLockedState="false" LatentStyleCount="156"> </w:LatentStyles> </xml><![endif]--><!--[if !mso]><img src="http://img2.blogblog.com/img/video_object.png" style="background-color: #b2b2b2; " class="BLOGGER-object-element tr_noresize tr_placeholder" id="ieooui" data-original-id="ieooui" /> <style>
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</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify; text-indent: 11.35pt;">L’asma bronchiale è una tra le malattie croniche più frequenti in età pediatrica. In Italia si stima che la percentuale di bambini affetti da asma sia compresa fra il 7 e il 9%, di cui tre su quattro sviluppano i primi sintomi respiratori entro i primi tre anni di vita (Ammaniti, 2001).</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify; text-indent: 11.35pt;">Il continuo aumento dei disturbi respiratori in età infantile che, in tempi recenti, si è registrato nel mondo occidentale, ha messo sotto accusa diversi fattori come smog, fumo e cambiamenti climatici (che alterano la durata della stagione dei pollini), accanto a più generali condizioni e stili di vita dei paesi industrializzati.</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify; text-indent: 11.35pt;">Peraltro, lo studio del complesso fenomeno della respirazione e delle sue possibili disregolazioni richiede l’attenta considerazione, oltre che delle condizioni generali dell’ambiente, di quelle specifiche dell’organismo. Queste ultime comprendono sia i processi neurofisiologici del respiro, regolati dai centri bulbo-ponto-mesencefalici, sia le funzioni cognitive, volontarie e simboliche dell’individuo, che possono esercitare un influenza sul ritmo, la frequenza e la profondità del respiro in relazione alle situazioni. </div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify; text-indent: 11.35pt;">La respirazione, infatti, è una funzione “mista” in quanto, fra le grandi funzioni vegetative, è l’unica ad avere un doppio sistema di controllo, autonomo e volontario (Franceschi Dusi, 1991).</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify; text-indent: 11.35pt;">Possiamo così definire l’asma come un forma disregolativa del tono broncomotore, caratterizzata da una reazione eccessiva a stimoli specifici ed aspecifici di varia natura, ai quali il sistema respiratorio risponde in modo “amplificato” con una iperreattività bronchiale (Franceschi Dusi, 1991).</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify; text-indent: 11.35pt;">L’utilità di questa definizione sta nel porre l’accento sul fatto che l’asma bronchiale è essenzialmente una <i>sindrome</i>, ovvero un complesso di sintomi e segni che riconosce molteplici eziologie (Rugarli, 1996).</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify; text-indent: 11.35pt;">Se in passato, infatti, è stata considerata una malattia puramente organica, oltre che nei suoi meccanismi anche nel suo determinismo, da tempo la componente psicologica dell’asma è ormai riconosciuta, ed anzi per un certo periodo è stata considerata il fattore eziologico predominante (Marcelli, 1997).</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify; text-indent: 11.35pt;">Attualmente si tende a considerare l’asma “una malattia complessa la cui interpretazione non è univoca, né dal punto di vista eziopatogenetico, in cui concorrono fattori organici, emotivi e ambientali, né per quanto riguarda i fattori psicodinamici implicati” (Ammaniti, 2001, p.329).</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify; text-indent: 11.35pt;">Studi recenti hanno dimostrato l’importanza dei processi allergici e di quelli infettivi all’origine del meccanismo di contrazione della muscolatura liscia bronchiale caratteristico delle crisi d’asma.</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify; text-indent: 11.35pt;">In età pediatrica, infatti, l’asma di tipo allergico è considerato il più comune e si innesca a contatto con un estrema varietà di allergeni, come polveri, animali domestici, cibi ecc.. Tuttavia, disturbi respiratori possono osservarsi anche al di fuori di ogni esposizione all’allergene e, viceversa, malgrado la presenza dell’allergene la crisi può non scatenarsi (Ammaniti, 2001).</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify; text-indent: 11.35pt;">Il ruolo svolto da circostanze e condizioni ben definite, come la presenza/assenza di un adulto significativo, nel determinare l’episodio asmatico mostra, infatti, quanto vari fattori emotivi e relazionali di tipo conflittuale siano implicati nell’innescare o favorire il manifestarsi della sintomatologia nei bambini. </div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify; text-indent: 11.35pt;">In questo senso, l’asma bronchiale viene comunemente considerata un disturbo psicosomatico (Gaddini, 1970; Parietti, 1981), e il suo frequente insorgere nei primi tre anni di vita è associato da vari autori a processi di attaccamento, sintonizzazione affettiva madre-bambino e costruzione del Sé<span> </span>difettosi (Ammaniti, 2001).</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify; text-indent: 11.35pt;"><span> </span>“Non si può quindi considerare come univoco il processo di scatenamento della crisi d’asma: numerosi fattori sembrano suscettibili di agire; d’altra parte una volta iniziato il processo, si assiste ad una specie di “via finale comune”, essendo la reazione identica qualunque sia la sua eziologia (ereditaria, allergica, infettiva, psicogena)” (Marcelli, 1997, p.372)<span> </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify; text-indent: 11.35pt;">Sul piano dell’evoluzione clinica, infine, l’asma infantile comparsa entro i primi tre anni di vita, tende a regredire completamente in una elevata percentuale di casi (oltre il 60%) con l’inizio della pubertà. Meno buona è la prognosi per l’asma insorto in età adulta che, particolarmente quando ha carattere continuo o subcontinuo, può persistere nel tempo e complicarsi, talora con infezioni bronchiali. È in questo gruppo di pazienti che si ravvisa la maggiore mortalità indotta dalla malattia (Rugarli, 1996).</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><i>2. QUADRO CLINICO E PROCESSI FISIOPATOLOGICI</i></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify; text-indent: 14.2pt;">La manifestazione clinica caratteristica della sindrome asmatica è la <i>dispnea</i> prevalentemente espiratoria, di intensità variabile e, generalmente, ad esordio improvviso. </div><div class="MsoBodyTextIndent">È comune, accanto ai sibili espiratori udibili, la presenza di una tosse scarsamente produttiva, con espettorazione di muco estremamente viscoso. In questi pazienti, la tosse rappresenta spesso un fenomeno riflesso conseguente alla stimolazione dei recettori irritativi bronchiali (Rugarli, 1996). </div><div class="MsoBodyTextIndent">L’esame obiettivo durante una crisi asmatica, rivela un soggetto visibilmente sofferente, con un caratteristico decubito ortopnoico o semiortopnoico e, nei casi più gravi, una sudorazione profusa e cianosi labiale e ungueale. </div><div class="MsoBodyTextIndent">Spesso, tuttavia, si resta colpiti dal contrasto fra l’intensità del disturbo e l’atteggiamento del bambino che può restare allegro e attivo e non manifestare, almeno apparentemente, alcuna forma di angoscia legata alla respirazione (Marcelli, 1997; Ammaniti, 2001). </div><div class="MsoBodyTextIndent">L’attacco asmatico si presenta, generalmente, in forma di <i>crisi</i> di durata estremamente variabile, da alcuni minuti a diverse ore, seguite da intervalli liberi da sintomatologia. Meno comunemente, invece, l’asma può avere un carattere subcontinuo, senza che si abbia fra una crisi e l’altra un completo ritorno ad una situazione di normalità. </div><div class="MsoBodyTextIndent">La condizione più grave, infine, è rappresentata dallo <i>stato di male asmatico</i>, in cui il paziente presenta per lunghi periodi, anche di giorni, intensi fenomeni broncospastici, spesso poco responsivi ai comuni presidi terapeutici. È in questa condizione che si può assistere, sia pure raramente, all’evoluzione più grave della malattia asmatica, che può esitare in una forma di insufficienza respiratoria fatale per il soggetto (Rugarli, 1996).</div><div class="MsoBodyTextIndent">L’elemento fisiopatologico dominante nell’asma è rappresentato dalla <i>ostruzione bronchiale</i>, conseguente allo spasmo della muscolatura liscia ed eventualmente all’edema della mucosa ed alla stratificazione di muco sulle pareti bronchiali. Da un punto di vista funzionale si realizza, dunque, una tipica <i>sindrome ostruttiva</i> con aumento della resistenza delle vie aeree (Rugarli, 1996).</div><div class="MsoBodyTextIndent"><span> </span>La regolazione del tono della muscolatura liscia bronchiale è il risultato di un equilibrio dinamico tra influenze di natura neuroendocrina, alcune delle quali tendono a produrre contrazione delle cellule muscolari lisce che fanno parte della parete bronchiale, mentre altre ne determinano il rilasciamento. In particolare, nell’individuo normale il mantenimento del tono broncomotore dipende dal rapporto antagonistico tra sistema parasimpatico da un lato e sistema simpatico, coadiuvato in misura minore da alcune classi di prostaglandine dall’altro. Il sistema parasimpatico in condizioni normali esercita la maggior influenza sul tono della muscolatura bronchiale, attraverso la contrazione delle miocellule bronchiolari mediata dalle fibre vagali e dai recettori irritativi.</div><div class="MsoBodyTextIndent"><span> </span>I recettori irritativi bronchiali, in particolare, sono dotati di scarsa specificità, potendo essere stimolati da vari fattori di natura esogena (particelle inalate, agenti chimici) o endogena (diversi mediatori chimici). Questa varietà di stimolazioni può determinare, in via riflessa, nei recettori irritativi, oltre al fenomeno del broncospasmo, anche iperventilazione, tosse ed aumento della funzione mucosecernente, in relazione alla durata ed intensità dello stimolo (Rugarli, 1996).</div><div class="MsoBodyTextIndent">Il sistema simpatico, come antagonista funzionale del sistema parasimpatico, è invece il principale responsabile del rilasciamento della muscolatura liscia bronchiale. Questa attività ortosimpatica è legata alla presenza di recettori adrenergici di tipo <span style="font-family: Symbol;"><span>b</span></span><span style="font-size: 6pt; line-height: 150%;">2</span> a livello delle cellule muscolari lisce. Anche alcune classi di prostaglandine, le PgE, inoltre, svolgono un importante funzione nel rilasciamento della muscolatura liscia bronchiale.</div><div class="MsoBodyTextIndent">La perturbazione di questi delicati sistemi o l’eccessivo prevalere dell’uno sugli altri, può determinare il substrato patologico necessario affinché si determini la broncocostrizione caratteristica dell’asma (Rugarli, 1996).</div><div class="MsoBodyTextIndent">Attualmente si ritiene che l’episodio asmatico si verifichi in risposta ad una varietà di stimoli fisici, chimici e biologici, e ad influenze di natura psicologica che, accanto a precise condizioni predisponenti, possono rendere le vie aeree iperreattive.</div><div class="MsoBodyTextIndent">I principali fattori predisponenti sono di tipo neurovegetativo ed infiammatorio, e possono reciprocamente influenzarsi.</div><div class="MsoBodyTextIndent">Uno squilibrio neurovegetativo nella regolazione del tono broncomotore, infatti, può tradursi in un esagerata funzione del sistema parasimpatico ad azione broncocostrittrice, dovuta ad una ridotta soglia di stimolazione da parte dei recettori irritativi bronchiali. Anche fattori di tipo infiammatorio, di frequente, possono determinare una iperreattività bronchiale a numerosi stimoli ambientali. </div><div class="MsoBodyTextIndent">Accanto a questi fattori predisponenti hanno un ruolo essenziale tutti quei fattori ambientali capaci di dare reazioni allergiche (polveri, pollini ecc.), ed infine, specifici fattori emotivi e relazionali che possono favorire ed aggravare il manifestarsi della sintomatologia nel bambino.</div><div align="left" class="MsoBodyTextIndent" style="text-align: left;">Le componenti psichiche, in particolare, sembrano determinanti soprattutto in quei casi dove i sintomi asmatici compaiono in seguito a traumi affettivi e che mostrano un andamento caratteristico che risente di acutizzazioni cicliche in condizioni stereotipate particolari, non direttamente collegate all’aspetto allergenico. <br />
<br />
</div><div class="MsoBodyTextIndent"><i>3. IL BAMBINO ASMATICO: ASPETTI PSICODINAMICI ED INTERPERSONALI</i><span> </span></div><div class="MsoBodyTextIndent" style="text-indent: 0cm;"><br />
</div><div class="MsoBodyTextIndent">Il bambino asmatico viene comunemente descritto in letteratura come apparentemente molto docile, accondiscendente e remissivo, piuttosto dipendente dai caregivers e facilmente ansioso. </div><div class="MsoBodyTextIndent">Nei bambini in cui l’asma compare nel secondo semestre di vita, inoltre, è frequente osservare una eccessiva socievolezza nei confronti degli estranei, nonostante siano in un periodo evolutivo in cui diffidenza e preoccupazione rappresentano reazioni normali a tutto ciò che non è familiare. Questo difetto nell’“angoscia dell’ottavo mese” (Spitz, 1965) è stato associato sia a condizioni di maternage difettose, insicure o discontinue, sia ad un ambiente familiare iperprotettivo e invadente (Marcelli, 1997; Ammaniti, 2001).</div><div class="MsoBodyTextIndent">Tali osservazioni hanno condotto vari autori a dare rilievo ad alcuni meccanismi psicodinamici essenziali nel rapporto fra il bambino asmatico ed il suo ambiente familiare.</div><div class="MsoBodyTextIndent">La crisi d’asma, infatti, esprimerebbe la profonda ambivalenza del bambino fra la ricerca di autonomia ed individuazione, e la paura di perdere l’amore della madre, con la quale desidera creare un rapporto d’oggetto “arcaico e fusionale” (Fenichel, 1964).</div><div class="MsoBodyTextIndent">In un periodo in cui le capacità verbali e cognitive sono ancora limitate, il corpo diventa allora il mezzo di espressione privilegiato attraverso cui il bambino rappresenta ed esteriorizza i suoi vissuti di angoscia e distacco, ed in cui il dolore emotivo può manifestarsi come “dolore nel corpo” (Ammaniti, 2001).</div><div class="MsoBodyTextIndent"><span> </span>Fenichel (1964) suggerisce l’idea cha l’asmatico durante le crisi, più che l’ossigeno, tenti di “introiettare la respirazione”, quasi a realizzare il desiderio di interrompere gli scambi che ha con l’esterno, vissuti come limitanti la propria autonomia e libertà. </div><div class="MsoBodyTextIndent">Kreisler <i>et al.</i> (1974) hanno parlato, invece, di “sovraccarico del rapporto duale” in cui, alla presenza eccessiva e “soffocante” della madre, il bambino risponde con i sintomi asmatici, ovvero la rappresentazione somatica della sua “fame d’aria”.</div><div class="MsoBodyTextIndent">L’eccessivo bisogno di dipendenza dalla madre vissuto in modo ambivalente, accanto all’utilizzo di modalità psichiche di tipo regressivo ed inibitorio, dovute alla presenza di problematiche riguardanti i processi di separazione/individuazione, sono allora gli elementi psicodinamici fondanti il quadro clinico dell’asma in età infantile.</div><div class="MsoBodyTextIndent"><span> </span>È interessante notare come lo stesso Freud, in “Frammenti di un analisi d’isteria: Dora” (1901), consideri l’asma di Dora, che insorge dopo la partenza del padre, come una sorta di “protesta narcisistica” elaborata attraverso meccanismi di difesa regressivi, espressione di un profondo desiderio di passività e dipendenza.</div><div class="MsoBodyTextIndent">Questo bisogno estremo di attaccamento e la continua ambivalenza fra autonomia/dipendenza, inoltre, sono spesso associati nel bambino asmatico ad una inibizione delle proprie emozioni e ad una profonda difficoltà nella gestione dell’aggressività, che non viene espressa ma occultata da un atteggiamento sempre accondiscendente e remissivo.</div><div class="MsoBodyTextIndent">In questo senso, Pinkus (1980) hanno parlato di un rigido controllo dell’affettività e dell’aggressività che confluiscono nella tendenza di questi bambini ad adattarsi in modo conformistico alle regole del proprio contesto sociale.</div><div class="MsoBodyTextIndent">La crisi d’asma allora, in un ambiente familiare iperprotettivo ed invadente, può avere per il bambino la funzione di scaricare la sua aggressività, seppure attraverso una sua “espressione” passiva e somatica, mentre in contesti più trascuranti ed insicuri, la crisi asmatica può trasformarsi in strumento di manipolazione del rapporto con i caregivers, al fine di attirarne l’attenzione ed assicurarsi i “benefici secondari” del disagio.</div><div class="MsoBodyTextIndent">Le ricerche più recenti hanno investigato, in particolare, le difficoltà nella regolazione delle emozioni nei bambini asmatici, accanto agli effetti negativi della gestione della malattia, in termini di maggiore stress psicosociale, ansia e bassa autostima.</div><div class="MsoBodyTextIndent">Penza-Clyve (2000) ha esaminato i pattern di gestione emozionale della malattia in 20 bambini con asma e 20 con diabete, dai 6 ai 14 anni, rispetto ad un campione di controllo di bambini sani.</div><div class="MsoBodyTextIndent">Dai risultati è emerso che i bambini asmatici e quelli diabetici mostrano un inibizione delle emozioni negative, quali rabbia, tristezza e aggressività, significativamente maggiore rispetto ai bambini non affetti da queste patologie. </div><div class="MsoBodyTextIndent">I due gruppi di bambini affetti rispettivamente da asma e diabete, inoltre, hanno maggiori difficoltà nella gestione emotiva delle proprie decisioni e comportamenti, accanto ad un utilizzo di strategie di regolazione delle emozioni spesso disfunzionale rispetto alle richieste ambientali. </div><div class="MsoBodyTextIndent">Le difficoltà nella regolazione delle proprie emozioni è stata evidenziata anche da una recente ricerca di Klinnert <i>et al</i>. (2000), su 81 bambini asmatici di 6 anni, da cui inoltre è emerso che la severità della sintomatologia asmatica era associata all’aumento delle difficoltà emotive e del livello di ansia dei bambini.</div><div class="MsoBodyTextIndent"><span lang="FR">Vila et al. </span>(2000) hanno invece studiato, in un campione di 82 bambini e adolescenti tra gli 8 e 15 anni con un asma moderata o grave, la frequenza di difficoltà psicologiche associate alla malattia. Oltre ad ansia generalizzata il gruppo di soggetti asmatici presentava in proporzione maggiore rispetto al gruppo di controllo, anche disturbi affettivi, bassa autostima e peggiori competenze sociali.</div><div class="MsoBodyTextIndent">Particolarmente interessante, infine, risulta la ricerca di Kong et al. (2001) che ha indagato la qualità della vita di 84 bambini cinesi tra i 4 e gli 11 anni con asma, rispetto ad un campione di controllo di bambini sani, bilanciato per sesso, età e livello di educazione.</div><div class="MsoBodyTextIndent">La maggior presenza nel campione dei bambini asmatici di comportamenti regressivi, ansia, depressione, problemi fisici, ritiro sociale e somatizzazioni, secondo gli autori, è associata nel vissuto dei bambini ad un livello di qualità della vita sensibilmente più basso rispetto ai coetanei sani.</div><div class="MsoBodyTextIndent" style="text-indent: 0cm;"><br />
</div><div class="MsoBodyTextIndent"><i>3.1 LA FAMIGLIA “ASMOGENA”</i></div><div class="MsoBodyTextIndent"><br />
</div><div class="MsoBodyTextIndent">I meccanismi psicodinamici cui si è fatto riferimento, ci consentono a questo punto di comprendere i possibili significati relazionali della sintomatologia asmatica, nei termini di una comunicazione “particolare”, che influenza ed organizza i rapporti entro la famiglia e nel contesto sociale.</div><div class="MsoBodyTextIndent">L’intensità, la gravità, la durata e l’evoluzione delle crisi asmatiche, ma anche la frequenza delle recidive, infatti, confrontano i caregivers con elevati livelli di stress protratto nel tempo, frustrazione, limitazioni ed angoscia che possono incidere notevolmente sulla serenità del clima familiare.</div><div class="MsoBodyTextIndent">Pinkus (1980) hanno proposto che le crisi asmatiche siano funzionali ad un gioco latentemente sado-masochista in cui il bambino, attraverso il ruolo di “vittima”, può esprimere la propria aggressività condizionando i comportamenti dei familiari e giocando sui sensi di colpa vissuti, spesso in modo inconscio, dai genitori.</div><div class="MsoBodyTextIndent">La madre del bambino asmatico viene spesso descritta come una persona “ipernormale” (Marcelli, 1997) ed eccessivamente conformista, che vive il rapporto con il figlio in maniera fredda e distaccata o troppo invischiata ed iperprotettiva. Non è raro che i soli scambi affettivi fra madre e bambino avvengano intorno alla malattia (Buetow <i>et al</i>., 2003).</div><div class="MsoBodyTextIndent">“L’ambiente familiare darebbe allora valore di comunicazione alla crisi d’asma allo stesso modo in cui lo si dà ai pianti abituali del bambino normale” (Marcelli, 1997, p.373).</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify; text-indent: 11.35pt;">Secondo vari autori, infatti, l’asma rappresenta la trasformazione somatica di una crisi di pianto inibita o repressa (Franceschi Dusi, 1991).</div><div class="MsoBodyTextIndent">Frequente in questi contesti familiari sarebbe la poca attenzione dei caregivers alle richieste del figlio ed alle sue istanze di crescita ed individuazione. I bambini asmatici, come emerso da una recente ricerca (Griffin <i>et al.</i>, 2002<i>)</i><span>,</span><i> </i>sono maggiormente coinvolti ed invischiati nelle conversazioni e nei conflitti fra i genitori, rispetto ai loro coetanei sani. </div><div class="MsoBodyTextIndent">Spesso, quindi, sono ambienti familiari che soffocano o inibiscono l’autonomia del bambino ed in cui il suo sintomo asmatico sembra voler dire, attraverso il corpo, “mi manca l’aria”, “tira una brutta aria”, “questa aria non fa per me” (Franceschi Dusi, 1991).</div><div class="MsoBodyTextIndent">Nel sintomo asmatico e nella relazione di cura che si stabilisce intorno ad esso, troverebbe allora un possibile sfogo sia l’ambivalenza emozionale del bambino fra autonomia e dipendenza, sia i sentimenti conflittuali dei caregivers, che comprendono sensi di colpa, rifiuto e controllo nei confronti del figlio.<span> </span></div><div class="MsoBodyText2" style="text-indent: 11.35pt;">La ricerca di Penza-Clyve (2000), a cui si è già fatto riferimento, ha rilevato che le madri dei bambini asmatici mostrano una minore espressione delle emozioni, rispetto alle madri dei diabetici e dei bambini sani, suggerendo che questi gruppi possono avere una differente motivazione nella gestione dell’espressione emotiva. In particolare, la limitata espressione delle emozioni nelle madri e nei bambini asmatici potrebbe essere dovuta al tentativo di prevenire i sintomi della malattia, evitando situazioni “cariche” emotivamente.</div><div class="MsoBodyTextIndent">Vari autori a riguardo hanno proposto “una possibile carenza materna nel promuovere nel bambino le funzioni psichiche di rappresentazione, la regolazione delle emozioni e lo sviluppo di un sé corporeo, come mezzo di relazione interpersonale e sociale (Ammaniti, 2001, p.332).</div><div class="MsoBodyTextIndent">Secondo Pasini (1982) la mancata integrazione ed individuazione corporea ed emozionale del bambino asmatico può essere funzionale ad una strategia tesa ad evitare il distacco da parte della madre, che vivrebbe la separazione in modo drammatizzato e depressivo.</div><div class="MsoBodyTextIndent">La qualità della relazione fra madre e figlio asmatico, come è stato rilevato da una recente ricerca (Bleil <i>et al</i>., 2000), influenza inoltre il possibile sviluppo di sintomi depressivi nel bambino. La relazione di attaccamento (sicura o insicura) più che la severità dell’asma, rappresenta infatti un fattore predittivo di eventuali disturbi affettivi nel bambino asmatico.</div><div class="MsoBodyTextIndent">L’ambiente familiare, peraltro, vista la sua profonda influenza su vari aspetti della malattia,<span> </span>può diventare, come vedremo più avanti, una risorsa essenziale nel trattamento del bambino asmatico.</div><div class="MsoBodyTextIndent"><br />
</div><div class="MsoBodyTextIndent"><i>4. PROPOSTE DI INTERVENTO </i></div><div class="MsoBodyTextIndent"><br />
</div><div class="MsoBodyTextIndent">Possiamo a questo punto delineare il <span style="line-height: 150%;">ruolo dello psicologo nel trattamento dell’asma in età pediatrica.</span> Se consideriamo, infatti, l’influenza che i fattori emotivi hanno nel favorire ed aggravare le crisi, gli effetti psicologici a lungo termine della gestione della malattia, come anche la bassa compliance che si registra nel trattamento, appare evidente l’<span style="line-height: 150%;">ampiezza delle possibilità di intervento psicologico nell’ambito della patologia asmatica.</span></div><div class="MsoBodyTextIndent"><span style="line-height: 150%;">È importante, peraltro, che lo psicologo definisca coerentemente un suo spazio di intervento in sinergia a quello del pediatra, nella gestione di una patologia così complessa quale l’asma infantile, che richiede </span>la partecipazione attiva<span style="line-height: 150%;"> </span>di più soggetti accanto al bambino affetto dalla malattia.</div><div class="MsoBodyTextIndent">Un intervento su più livelli, che coinvolge il bambino malato, il pediatra che prescrive la terapia, i genitori responsabili della corretta gestione terapeutica,<span> </span>e gli insegnanti nell’ambiente scolastico, infatti, richiede allo psicologo specifiche competenze cliniche ed organizzative, che comprendono:</div><div class="MsoBodyTextIndent" style="margin-left: 50.25pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Wingdings;"><span>§<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>la capacità di integrare gli aspetti emotivi con quelli tecnici e medici del trattamento;</div><div class="MsoBodyTextIndent" style="margin-left: 50.25pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Wingdings;"><span>§<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>offrire consulenza e supporto al bambino asmatico e alla famiglia;</div><div class="MsoBodyTextIndent" style="margin-left: 50.25pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Wingdings;"><span>§<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>coordinare e regolare le comunicazioni fra i vari livelli coinvolti (famiglia, scuola, contesto medico);</div><div class="MsoBodyTextIndent" style="margin-left: 50.25pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Wingdings;"><span>§<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span> </span>pianificare e programmare strategie di intervento che coinvolgano attivamente i vari soggetti vicini al bambino asmatico.</div><div class="MsoBodyTextIndent" style="text-indent: 0cm;"><br />
</div><div class="MsoBodyTextIndent">Convivere con un disturbo cronico produce un impatto emotivo in genere considerevole per il bambino e la sua famiglia, in termini di angoscia, frustrazione e sensi di colpa, che a lungo andare possono logorare le relazioni familiari (Gustafsson <i>et al.</i>, 2002). L’Asma del bambino, inoltre, produce effetti evidenti anche nel più ampio contesto sociale, con le limitazioni nelle abitudini di vita e nello sport, l’iperprotezione dei genitori, le frequenti difficoltà scolastiche, accanto ai vissuti di “diversità” rispetto ai coetanei.</div><div class="MsoBodyTextIndent"><span style="line-height: 150%;">Programmare un intervento sul bambino asmatico significa allora, per lo psicologo, aiutare il piccolo paziente ad elaborare il fardello emotivo e le difficoltà derivanti dalla gestione del disturbo cronico. È importante offrire al bambino la possibilità di pensare e raccontare le sue relazioni interpersonali e i vissuti associati all’asma. L’ obiettivo è quello di far sviluppare al bambino una più matura capacità di gestione cognitiva ed emotiva della sua malattia. </span></div><div class="MsoBodyTextIndent"><span style="line-height: 150%;">Ansia generalizzata, forte inibizione delle emozioni, in particolare dell’aggressività e somatizzazioni (Ortega <i>et al.</i>, 2002), peraltro, possono complicare il quadro clinico ed indurre lo psicologo a pianificare, in collaborazione con il pediatra, eventuali interventi terapeutici specifici in relazione al caso. La letteratura riporta, a riguardo, risultati positivi ottenuti attraverso tecniche cognitivo-comportamentali, terapie dinamiche e sistemico relazionali Panton <i>et al.</i>, 2000), come anche mediante metodi di rilassamento quali il training autogeno o il biofeedback (</span>Franceschi Dusi, 1991).<span style="line-height: 150%;"></span></div><div class="MsoBodyTextIndent"><span style="line-height: 150%;">Lo psicologo, inoltre, ha un ruolo essenziale, accanto al pediatra, nella fase di informazione e di educazione rivolta al bambino asmatico e alla sua famiglia, sulle caratteristiche della malattia e sui possibili rischi e benefici dell’intervento.</span></div><div class="MsoBodyText2" style="text-indent: 11.35pt;"><span style="line-height: 150%;">In campo medico, l’<i>educazione</i> del paziente viene </span>definita come un processo pianificato di apprendimento di informazioni e comportamenti, che consente all’individuo di prendere attivamente decisioni riguardanti problemi connessi con la propria salute. L’apporto specifico che la competenza psicologica può offrire in questa fase riguarda, in particolare, l’attenzione agli aspetti emotivi, motivazionali e relazionali del paziente e del suo contesto familiare.</div><div class="MsoBodyText2" style="text-indent: 11.35pt;">Uno degli aspetti più critici nel trattamento dell’asma è, infatti, la bassa compliance che si registra, con solo il 48% dei pazienti che seguono le prescrizioni mediche. In questi casi un efficace collaborazione fra pediatra e psicologo può favorire una ri-negoziazione di obiettivi e modalità di intervento che coinvolgano in maniera più attiva il bambino e la sua famiglia. In particolare, pediatra e psicologo devono stabilire un <i>patto di alleanza</i> con il bambino e i suoi genitori, che consideri i possibili conflitti ed ostacoli che possono portare al fallimento di prevenzione e terapia, <span style="line-height: 150%;">e ponga il paziente come protagonista attivo nella gestione della propria salute.</span></div><div class="MsoBodyText2" style="text-indent: 11.35pt;"><span style="line-height: 150%;">L’influenza che la conoscenza della malattia ha sul suo trattamento è stata rilevata da</span> Russell (2001). Dal suo studio è emersa una relazione statisticamente significativa tra la severità dell’asma e le strategie di gestione della malattia (r =.23, p < .05). Le “credenze sull’asma” dei bambini, inoltre, rappresentano la variabile con maggior potere predittivo riguardo la gestione della malattia (r = .55, p < .05). Questi risultati suggeriscono l’importanza che la conoscenza e le credenze dei bambini hanno sulla gestione dell’asma e sulla sua severità.<span> </span><span> </span><span style="line-height: 150%;"></span></div><div class="MsoBodyText2" style="text-indent: 11.35pt;"><span style="line-height: 150%;">Nel caso il paziente sia molto piccolo, con un asma insorto nel secondo semestre di vita, l’intervento dello psicologo sarà rivolto in particolare alla famiglia. Esplorare i possibili conflitti fra i coniugi, accogliere i loro vissuti relativi alla malattia del bambino ed attivare possibili risorse e strategie di coping per far fronte alla situazione, diventano in questo caso gli obiettivi essenziali (McQuaid <i>et al.</i>, 2002). </span></div><div class="MsoBodyText2" style="text-indent: 11.35pt;"><span style="line-height: 150%;">Numerose ricerche recenti, peraltro, hanno evidenziato come la famiglia del bambino asmatico rappresenti la risorsa essenziale nel trattamento.</span></div><div class="MsoBodyText2" style="text-indent: 11.35pt;"><span lang="FR">Johnson et al. </span>(2002), ad esempio, hanno rilevato una migliore prevenzione e trattamento dell’asma in famiglie addestrate all’utilizzo di precise strategie di gestione della malattia. Queste ultime comprendevano, in particolare, il monitoraggio dei picchi di flusso respiratorio del bambino accanto alla considerazione di quei fattori ambientali (conflitti familiari, scarso supporto ed espressione delle emozioni, demotivazione del paziente ecc.) che possono ostacolare la cura.</div><div class="MsoBodyText2" style="text-indent: 11.35pt;">L’importanza dei fattori psicosociali nella gestione dell’asma è stata rilevata anche da De Los Santos-Roig <i>et al.</i> (2002), che hanno proposto una metodologia fondata sulla conoscenza della malattia da parte del bambino e dei genitori, sul controllo delle emozioni attraverso tecniche di rilassamento e respirazione ed, infine, sull’acquisizione di comportamenti atti a prevenire le crisi d’asma. Dall’intervento è risultata una diminuzione nella frequenza e nell’intensità degli attacchi ed un miglioramento dei picchi del flusso espiratorio, accanto ad una più consapevole ed accurata conoscenza della malattia.</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify; text-indent: 11.35pt;"><span style="line-height: 150%;">Vorremmo, infine, segnalare due recenti studi (</span>Fiese, Wamboldt, 2000; Markson, Fiese, 2000) che hanno esaminato<span style="color: red;"> </span>l’importanza delle routine e dei rituali familiari nella gestione dell’asma nei bambini. Secondo gli autori<span style="color: red;"> </span>le routine familiari giocano, infatti, un ruolo importante nel minimizzare il peso della gestione dell’asma, sono associate a più bassi livelli di ansia nel bambino, possono proteggere i membri della famiglia dallo stress associato con la malattia cronica e andrebbero, pertanto, incluse entro un piano di gestione del disagio.<span style="line-height: 150%;"></span></div><div class="MsoBodyTextIndent">Nell’ambito di un intervento sull’asma che coinvolge più livelli merita certamente di essere incluso anche il gruppo dei pari con un problema simile. Il bambino asmatico, infatti, può trovare, nel rapporto con coetanei affetti dallo stesso disturbo, un importante fonte di sostegno, di esplorazione e condivisione di vissuti, scambio di informazioni e consigli, identificazione e responsabilizzazione nei confronti della propria e dell’altrui cura.</div><div class="MsoBodyTextIndent">Il gruppo dei pari può essere allora un contesto adatto a progettare nuove strategie di adattamento, con l’aiuto degli altri, ma anche un momento di gioco in cui imparare nuove abitudini e conoscere meglio la malattia.</div><div class="MsoBodyTextIndent">Si è cercato di delineare, seppure a grandi linee, i possibili spazi, obiettivi e referenti dell’intervento psicologico nella patologia asmatica. Si tratta per altro di riconoscere queste opportunità e valorizzarle, in modo da creare un rapporto più stabile e legittimato fra domanda del contesto sociale ed offerta di competenze psicologiche. Nell’area della patologia in età infantile, diventa allora essenziale per lo psicologo definire più coerenti modelli di collaborazione con altre figure professionali, in particolare con il pediatra, come presupposto per un lavoro integrato su più livelli della malattia.<span style="line-height: 150%;"></span></div><h1 style="line-height: 150%; margin-right: 11.35pt; text-indent: 11.35pt;"><a href="" name="_Toc55044981"><span style="font-family: "Times New Roman";">Bibliografia</span></a><span style="font-family: "Times New Roman";"></span></h1><div class="MsoBodyTextIndent">- Ammaniti M. (2001), <i>Manuale di psicopatologia dell’infanzia</i>, Raffaello Cortina, Milano.</div><div class="MsoBodyTextIndent"><span lang="EN-GB">- Bleil M. E., Ramesh S., Miller B. D., Wood B. L. (2000), <i>The influence of parent-child relatedness on depressive symptoms in children with asthma: Tests of moderator and mediator models.</i> In «Journal of Pediatric Psychology». Vol 25(7), pp. 481-491.</span></div><div class="MsoBodyTextIndent"><span lang="EN-GB">- Buetow S., Adair V., Coster G., Hight M., Gribben B., Mitchell E. (2003), <i>Care for moderate to severe asthma in children: What do infrequently attending mothers disagree with and why?.</i> In «Family Practice». Vol 20(2), pp. 155-161.</span></div><div class="MsoBodyTextIndent"><span lang="EN-GB">- De Los Santos-Roig M., Carretero-Dios H., Buela-Casal G. (2002), <i>Psychological intervention in a case of allergic asthma/Intervencion psicologica en un caso de asma alergica.</i> </span>In «Analise Psicologica». <span lang="EN-GB">Vol 20(1), pp. 131-147.</span></div><div class="MsoBodyTextIndent">- Fenichel O. (1964), Trad. Ital., <i>Trattato di psicanalisi delle nevrosi e delle psicosi</i>, Astrolabio, Roma, 1969.</div><div class="MsoBodyTextIndent"><span lang="EN-GB">- Fiese, Barbara H; Wamboldt, Frederick S<span> </span>(2000), <i>Family routines, rituals, and asthma management: A proposal for family-based strategies to increase treatment adherence</i>. In «Families, Systems & Health». </span>Vol 18(4), pp. 405-418.</div><div class="MsoBodyTextIndent">- Franceschi Dusi F. (1991), <i>Scelgo il respiro</i>, Edizioni LINT, Trieste.</div><div class="MsoBodyTextIndent"><span lang="DE">- Freud S. (1901), Trad. </span>Ital., <i>Il caso di Dora</i>. In S. Freud Opere, Boringhieri, Torino, 1976.<span> </span></div><div class="MsoBodyTextIndent">- Gaddini R. (1970), <i>Disturbi psicosomatici dell’apparato respiratorio</i>. In<span> </span>Gaddini R. (1970), <i>Medicina psicosomatica in prediatria</i>, pp. 55-59, Minerva Medica, Torino.</div><div class="MsoBodyTextIndent"><span lang="EN-GB">- Griffin W. A., Parrella J., Krainz S., Northey S. (2002),<span> </span><i>Behavioral differences in families with and without a child with asthma: Testing the Psychosomatic Family Midel. </i>In «Journal of Social & Clinical Psychology». Vol 21(3), pp. 226-255.</span></div><div class="MsoBodyTextIndent"><span lang="EN-GB">- Gustafsson D., Olofsson N., Andersson F., Lindberg B., Schollin J. (2002),<span> </span><i>Effect of asthma in childhood on psycho-social problems in the family</i>. In «Journal of Psychosomatic Research». Vol 53(6), pp. 1071-1075.</span></div><div class="MsoBodyTextIndent"><span lang="EN-GB">- Johnson<span> </span>J.L., Curci K.M., Hupcey J. E. (2002),<i><span> </span>Self-management in childhood asthma: Teaching parents the nonpharmacological approaches to manage asthma</i>. In «Clinical Excellence for Nurse Practitioners». Vol 6(4), pp. 33-44.</span></div><div class="MsoBodyTextIndent"><span lang="EN-GB">- Klinnert M.D., McQuaid E.L., McCormick D., Adinoff A.D., Bryant N.E. (2000), <i>A multimethod assessment of behavioral and emotional adjustment in children with asthma</i>. In «Journal of Pediatric Psychology». Vol 25(1), pp. 35-46.</span></div><div class="MsoBodyTextIndent"><span lang="EN-GB">- Kong Y., Hu Y., Sun M. (2001), <i>Behavioral problems and quality of life in children with asthma</i>. In «Chinese Journal of Clinical Psychology». Vol 9(3), pp. 216-219.</span></div><div class="MsoBodyTextIndent" style="text-indent: 0cm;"><span> </span>- Kreisler L., Fain M., Soulè M. (1974) <i>Il bambino e il suo corpo</i>. <span lang="EN-GB">Tr. it. Astrolabio, Roma, 1976.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span> </span>- Marcelli D, (1997) <i>Psicopatologia del bambino</i>, Masson, Milano.</div><div class="MsoBodyTextIndent"><span lang="EN-GB">- Markson S., Fiese B. H. (2000), <i>Family rituals as a protective factor for children with asthma.</i> In «Journal of Pediatric Psychology». Vol 25(7), pp. 471-479.</span></div><div class="MsoBodyTextIndent"><span lang="EN-GB">- McQuaid E.L., Howard K., Kopel S. J., Rosenblum K., Bibace R.(2002), <i>Developmental concepts of asthma: Reasoning about illness and strategies for prevention.</i> In «Journal of Applied Developmental Psychology». Vol 23(2), pp. 179-194.</span></div><div class="MsoBodyTextIndent"><span lang="EN-GB">- Ortega A., Huertas S. E., Canino G., Ramirez R., Rubio-Stipec M.(2002), <i>Childhood asthma, chronic illness, and psychiatric disorders.</i> In «Journal of Nervous & Mental Disease. Vol 190(5), pp. 275-281</span></div><div class="MsoBodyTextIndent"><span lang="EN-GB">- Panton J., Barley E.A. (2000), <i>Family therapy for asthma in children.</i> In Cochrane Review. In «The Cochrane Library, numero 2. </span>Oxford: Update Software. </div><div class="MsoBodyTextIndent">- Parietti P. (1981), <i>Asma come malattia psicosomatica o rapporto con il paziente asmatico?.</i> In Atti dell’8° Congr. Naz. SIMP, op. cit., 705-717, 1981.</div><div class="MsoBodyTextIndent" style="margin-left: 11.35pt; text-indent: 0cm;">- Pasini W. (1982) <i>Il corpo in psicoterapia</i>, Cortina, Milano.</div><div class="MsoBodyTextIndent"><span lang="EN-GB">- Penza-Clyve S. M. (2000), <i>Patterns of emotion regulation coping in children with asthma and diabetes.</i> In Dissertation Abstracts International: Section B: The Sciences & Engineering. Vol 60(11-B), pp. 5786.</span></div><div class="MsoBodyTextIndent" style="text-indent: 0cm;"><span> </span>- Pinkus L. (1980) <i>L’asma bronchiale: un conflitto di identità?</i> In Medicina Psicosomatica, 25, 1, 3-8.</div><div class="MsoBodyTextIndent" style="text-indent: 0cm;"><span> </span>- Rugarli C. (1996),<span> </span><i>Manuale di medicina interna sistemica</i>, Masson, Milano.</div><div class="MsoBodyTextIndent" style="text-indent: 0cm;"><span lang="EN-GB"><span> </span>- Russell L.M. (2001), <i>The effects of family functioning, child behaviors, and asthma beliefs on asthma management in children and adolescents.</i> In Dissertation Abstracts International Section A: Humanities & Social Sciences. Vol 61(8-A), pp. 3076.</span></div><div class="MsoBodyTextIndent">-<span> </span>Spitz R.A. (1965), <i>Il primo anno di vita del bambino</i>. Tr.it. Armando, Roma, 1973.</div><div class="MsoBodyTextIndent" style="text-indent: 0cm;"><span> </span><span lang="EN-GB">- Vila G., Nollet-Clemencon C., De Blic J., Mouren-Simeoni M.C., Scheinmann P. (2000), <i>Prevalence of DSM IV anxiety and affective disorders in a pediatric population of asthmatic children and adolescents.</i> In «Journal of Affective Disorders». </span>Vol 58(3), pp. 223-231.</div><h1 style="line-height: 150%; text-align: justify; text-indent: 14.2pt;"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; line-height: 150%;"> </span></h1><h1 style="line-height: 150%; text-align: justify; text-indent: 14.2pt;"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; line-height: 150%;"> </span></h1><h1 style="line-height: 150%; text-align: justify; text-indent: 14.2pt;"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt; line-height: 150%;"> </span></h1><div class="MsoBodyTextIndent"><br />
</div>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-57240436079164707722011-06-06T13:17:00.001-07:002011-06-06T13:17:56.224-07:00“PENSARE IL PROPRIO FUTURO” UN PROGETTO DI INTERVENTO RIVOLTO ALLE CLASSI TERZE DELLA SCUOLA MEDIA STATALE<!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> <w:Zoom>0</w:Zoom> <w:HyphenationZone>14</w:HyphenationZone> <w:PunctuationKerning/> <w:ValidateAgainstSchemas/> <w:SaveIfXMLInvalid>false</w:SaveIfXMLInvalid> <w:IgnoreMixedContent>false</w:IgnoreMixedContent> <w:AlwaysShowPlaceholderText>false</w:AlwaysShowPlaceholderText> <w:Compatibility> <w:BreakWrappedTables/> <w:SnapToGridInCell/> <w:WrapTextWithPunct/> <w:UseAsianBreakRules/> <w:DontGrowAutofit/> </w:Compatibility> <w:BrowserLevel>MicrosoftInternetExplorer4</w:BrowserLevel> </w:WordDocument> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 9]><xml> <w:LatentStyles DefLockedState="false" LatentStyleCount="156"> </w:LatentStyles> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 10]> <style>
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</style> <![endif]--> <div align="center" class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: center;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><b><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Introduzione.</span></b></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><b><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Orientare</span></b><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;"> significa “produrre conoscenza”, porre il ragazzo in grado di prendere coscienza di sé e della realtà che lo circonda, per effettuare scelte consapevoli, autonome, efficaci e congruenti con il proprio contesto. Nella prospettiva che vi proponiamo l’orientamento rappresenta un’<i>azione con finalità maturativa</i> che faciliti la capacità di auto-orientarsi, a partire da vincoli e risorse della situazione attuale. Con tale processo intendiamo favorire la maturazione e lo sviluppo delle competenze necessarie al ragazzo per acquisire autonomia nel definire obiettivi personali e professionali realistici, elaborando un progetto di vita a lui più congeniale.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Una simile finalità maturativa si declina, nello specifico, attraverso una serie di obiettivi quali:</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-left: 39.75pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><i><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Individuare le competenze possedute</span></i><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;"> e quelle che possono essere acquisite o incrementate, laddove per competenze intendiamo non solo quelle tecniche ma anche di tipo relazionale e trasversale;</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-left: 39.75pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><i><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Tradurre il pensiero in comportamento</span></i><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">, sperimentandosi nella costruzione di<span> </span>progetti personali realistici e continuamente verificabili, basati sullo sviluppo delle proprie capacità e abilità;</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-left: 39.75pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><i><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Rendere pensabile il proprio futuro</span></i><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">, ovvero accompagnare i ragazzi nel difficile compito di individuare dei percorsi consapevoli, di elaborare strategie, compiere scelte, valutare alternative.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;"><span> </span>Il nostro interesse si muove, dunque, verso l’esplorazione e la comprensione delle rappresentazioni e delle strategie che il ragazzo formula e modifica nel tempo per attribuire significati all’ambiente esterno ed al proprio ruolo.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">È facile osservare, infatti, quanto i ragazzi siano spesso concentrati sul presente, mostrandosi “impacciati”, o con qualche difficoltà, rispetto alla possibilità di <i>pensarsi realisticamente nel futuro</i>. In questo senso, l’orientamento si arricchisce di concetti quali soggettività, attivazione, trasformazione e progettualità, capaci di tener conto di fattori non solo individuali ma anche di ordine sociale e situazionale.<span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Il <i>focus </i>di tale processo, pertanto, è sulla relazione fra mondo interno del ragazzo, le sue aspettative e desideri, e mondo esterno, la sua realtà contestuale.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><i><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">La scuola può rappresentare il luogo entro cui è possibile ancorare le fantasie alla realtà</span></i><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">. Il lavoro di orientamento si propone, quindi, di dare senso all’esperienza scolastica, superando i limiti della riuscita fine a se stessa, per stabilire legami fra opportunità del contesto e attitudini e aspirazioni dei ragazzi.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Le ragioni metodologiche che suggeriscono l’utilizzo del gruppo-classe come referente e promotore di un percorso all’orientamento sono molteplici. In primo luogo, la classe rappresenta un contesto condiviso e familiare ai ragazzi che può sollecitare la conoscenza, la riflessione, l’attivazione e la maturazione delle risorse personali. L’omogeneità del gruppo, in termini di età, esperienze e problematiche favorisce in ciascuno la consapevolezza di non essere solo di fronte alle incertezze del proprio percorso evolutivo. Nel gruppo, inoltre, se si realizza un contesto non valutativo e adeguatamente protetto, i ragazzi hanno non solo l’opportunità di accrescere la conoscenza di sé in relazione al proprio ambiente, ma anche un’occasione di appropriazione di nuove modalità di relazione con la realtà, innescando la premessa per possibili cambiamenti.<span> </span></span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">In quest’ottica, la dimensione di gruppo consente un progressivo spostamento dell’unità di analisi dal <i>singolo</i> alla <i>relazione</i> che l’individuo stabilisce con il suo ambiente di riferimento. Non si tratta, dunque, di valutare i singoli ragazzi attraverso l’impiego di strumenti psicometrici (test o questionari psico-attitudinali) quanto di attivare un processo di riflessione e orientamento alla scelta che trovi nel gruppo la principale risorsa esperienziale. Il lavoro in gruppo consente ai ragazzi di “porsi delle domande”, attivando un percorso di indagine e ricerca su loro stessi e sulle proprie potenzialità, piuttosto che aspettare passivamente le risposte e le valutazioni offerte dall’esperto, spesso poco aderenti alla realtà.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Questa funzione di <i>accompagnamento alla scelta</i> svolta con i ragazzi, attraverso un percorso di motivazione e scoperta delle proprie capacità, più in generale consente di attivare un’azione preventiva rispetto ad eventuali situazioni di disagio e <i>dispersione scolastica</i> futura.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Da questo punto di vista un intervento sull’orientamento in uscita dalla scuola media statale dovrebbe proporsi di raggiunge alcuni obiettivi specifici, tesi da un lato a conoscere ed esplorare le forze in gioco presenti nel contesto istituzionale e sociale di riferimento dei ragazzi, dall’altro a promuovere la capacità del soggetto di autodeterminarsi quale attore del suo progetto di vita.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Si può pensare così ad un percorso articolato in vari passaggi:</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Riconoscersi la possibilità di desiderare, avere aspirazioni, sogni e ambizioni, da poter condividere con il gruppo-classe;</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Sviluppare competenze di analisi e <i>descrizione del sé</i>, costruendo spazi di riflessione sulle capacità e le risorse personali possedute da ciascuno e sulle aree di interesse, attuali e future;</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Incrementare quel bagaglio di strumenti relativo all’elaborazione di scelte, alle capacità decisionali e di problem solving, rafforzando il senso di fiducia e di<i> autoefficacia</i> personale dei ragazzi rispetto alle proprie possibilità realizzative;</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Saper leggere e decodificare limiti e opportunità del contesto di appartenenza in relazione a se stessi, alle proprie aspettative, attitudini e conoscenze;</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><i><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Pensare al proprio futuro, </span></i><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">ovvero riuscire ad individuare degli obiettivi che non siano solo desiderabili, ma anche realizzabili entro la progettazione di un percorso personale coerente;</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Sollecitare lo sviluppo di alcune competenze trasversali: la capacità di comunicare più efficacemente con gli altri; di lavorare in gruppo per affrontare problemi e produrre risultati collettivi; di individuare risorse e raccogliere informazioni utili.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">In questo senso, intendiamo muoverci su un doppio livello di lavoro, da un lato la centralità della persona, delle sue abilità e aspirazioni, dall’altro le modalità di relazione con il suo contesto, in termini di ricerca di opportunità e considerazione dei vincoli.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><b><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Metodologia dell’intervento.</span></b></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Si può pensare ad una metodologia di tipo <i>interattivo</i>, con lo scopo di rendere i partecipanti dei soggetti-attivi del processo conoscitivo che avviene nel lavoro di gruppo. Le attività proposte riguarderanno, come già specificato, un doppio livello processuale, da un lato teso all’esplorazione delle attitudini e potenzialità dei ragazzi e, dall’altro, ad un ancoraggio di queste al contesto socio-culturale di riferimento.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">La scoperta delle potenzialità e dei desideri dei ragazzi avverrà attraverso strumenti esperienziali, come ad esempio: </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Un lavoro di ricerca e di sperimentazione sui diversi <b>tipi di intelligenza </b>(verbale, logico-matematica, sociale, musicale, spaziale, ecc.) finalizzato ad individuare i punti di forza e le potenzialità di ciascun ragazzo, attraverso giochi di ruolo e tecniche creative;</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">La definizione e rappresentazione per immagini, attraverso dei <b>collage</b> personali, delle proprie competenze, capacità e desideri, finalizzato ad attivare una riflessione condivisa in cui ogni ragazzo possa confrontare gli aspetti di utopia (sogni “troppo grandi”) e stemperare i propri vissuti d’impotenza (sogni “troppo piccoli”), come importante crocevia per la costruzione di un progetto professionale;</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Il <b>sogno lavorativo, </b>che consente di valorizzare la dimensione emotiva, proiettandosi nel futuro ed esprimendo alcuni desideri ed aspettative lavorative, che verranno poi confrontate con i risultati del lavoro di collage.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">La seconda parte del lavoro, relativa all’esplorazione delle risorse e dei vincoli del proprio contesto di riferimento avverrà attraverso:</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-left: 39.75pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Il reperimento di informazioni e conoscenze relative all’ambiente di appartenenza, attraverso un lavoro di ricerca (su internet, riviste, ecc.) operato dai ragazzi organizzati in piccoli gruppi;</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-left: 39.75pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">La costruzione e la raccolta di interviste a persone-chiave (studenti, lavoratori) reperiti all’interno della rete di conoscenze informali dei ragazzi, orientate a conoscere gli aspetti salienti di certi profili professionali o formativi futuri a partire dall’esperienza di coloro che hanno già “percorso quelle strade”; </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-left: 39.75pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Un confronto in plenaria con un esperto di una agenzia di orientamento, che presenterà alle classi le attività e le funzioni svolte da questi servizi.</span></div>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-1365872883871978442011-06-02T14:08:00.000-07:002011-06-02T14:17:53.080-07:00PSICOLOGIA DELLE EMERGENZE: GLI EVENTI TRAUMATICI IN ETA' INFANTILE<div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;"><b>IL DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS NELL’INFANZIA</b></div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;"><br />
</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;"><i>1. ASPETTI GENERALI</i></div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">È noto, già dal secolo scorso, come eventi traumatici particolarmente intensi, inaspettati e stressanti, possano determinare nelle persone coinvolte, una complessa costellazione di sintomi psichici, correlati neuro-vegetativi e manifestazioni comportamentali associate.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Vari termini quali <i>psiconevrosi da spavento</i>, <i>nevrosi psichica da trauma</i>, <i>shock nervoso</i>, <i>sindrome dei sopravvissuti</i> o <i>psiconevrosi emozionale acuta</i>,<i> </i>sono stati utilizzati, nel passato, per identificare le particolari reazioni ansiose e depressive conseguenti ad incidenti, disastri naturali, guerre, persecuzioni, deportazioni, aggressioni, crimini violenti o molestie (Sgarro, 1997).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Lo stesso Freud nel suo scritto del 1920 “<i>Al di là del principio del piacere</i>” si è soffermato sulle <i>nevrosi traumatiche</i> di individui che avevano subito gravi shock durante le loro esperienze di guerra. La tendenza di questi pazienti a rievocare nei loro sogni queste situazioni traumatiche, veniva considerata come un tentativo dell’Io di dominare una situazione da cui originariamente era stato sopraffatto. </div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Solo in tempi recenti è stato introdotto, nel DSM III (American Psychiatric Association, 1980), il termine <i>Post Traumatic Stress Disorders (PTSD)</i> come entità diagnostica distinta, che va così a sostituire la categoria non-specifica delle “Gravi reazioni allo stress” presente nelle edizioni precedenti del Manuale.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Sul riconoscimento, benché tardivo, del PTSD hanno influito sia le forti pressioni esercitate sull’American Psychiatric Association dai reduci della guerra del Vietnam, che chiedevano riconosciuti i gravi ed invalidanti effetti derivati dal trauma del conflitto, sia anche, una maggiore comprensione e ad una più diffusa sensibilità rivolta alle conseguenze spesso devastanti di incidenti e violenze di vario genere su adulti e bambini (Gabbard, 1995).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Il Disturbo Post Traumatico da Stress rappresenta comunque tuttora una entità diagnostica piuttosto controversa, tanto che non sono pochi coloro che ritengono sia solo un misto di ansia e depressione (Gabbard, 1995). La sua inclusione nella categoria dei Disturbi d’Ansia del DSM III, per la presenza di idee intrusive ed ansiogene, ipervigilanza e comportamenti fobici e di evitamento, è stata peraltro molto discussa, visto che l’ansia è solo un elemento dell’intera costellazione di sintomi.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Nel DSM IV (American Psychiatric Association, 1994), rispetto alle precedenti edizioni, vengono modificate le caratteristiche degli stressor, non più eventi eccezionali al di fuori dell’ambito dell’esperienza umana abituale, ma soprattutto si raggiunge un diffuso consenso sull’importanza che le reazioni soggettive degli individui coinvolti, più che la gravità degli stressor, hanno nel determinare il PTSD.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">L’aspetto più critico di queste formulazioni riguarda, tuttavia, la difficoltà di definire chiari criteri diagnostici relativi al PTSD in età infantile, che evidenzia tutte le lacune e i ritardi di una ricerca che ha spesso trascurato il peso dei fattori di sviluppo sull’elaborazione e la risposta dei bambini agli eventi traumatici.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Malgrado l’alta frequenza dei PTSD nell’infanzia (Fletcher, 1996), infatti, l’attenzione iniziale rivolta ai traumi di guerra ed in generale alle modalità di reazione degli adulti agli stressor, ha fatto sì che solo nel DSM III-R (American Psychiatric Association, 1987), venisse riconosciuta la possibilità che il PTSD nei bambini potesse avere caratteristiche cliniche diverse rispetto agli adulti.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Peraltro, evidenze cliniche (Scheeringa et al.,1995) hanno dimostrato la difficoltà di applicare questi criteri diagnostici del PTSD a soggetti al di sotto dei quarantotto mesi.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;"><br />
</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;"><i>2. IL QUADRO CLINICO</i></div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Per soddisfare i criteri del PTSD posti dal DSM IV (American Psychiatric Association, 1994), la persona deve anzitutto essere stata esposta ad un evento traumatico tale da soverchiare le capacità individuali di farvi fronte, ed implicare una seria minaccia di morte o di gravi lesioni per se stesso o per altri.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">La definizione dell’evento traumatico include il ruolo essenziale giocato dalle reazioni soggettive della persona coinvolta nel determinare o meno lo sviluppo del PTSD. Negli adulti, a riguardo, si parla di intensa paura, sentimenti di impotenza o di orrore, mentre nel caso dei bambini, viste le loro limitate capacità verbali e conoscenze di base, spesso può essere assai difficile definire come viene percepito soggettivamente l’evento traumatico. Si preferisce, pertanto, in età infantile, parlare di comportamento disorganizzato o agitato in risposta allo stressor (American Psychiatric Association, 1994).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">I sintomi del PTSD vengono distinti in tre raggruppamenti principali. Il primo comprende sintomi relativi alla “risperimentazione dell’evento traumatico”, attraverso ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi, incubi, o sensazioni di rivivere il trauma (allucinazioni e fleshback) (American Psychiatric Association, 1994). Nei bambini l’evento traumatico può riemergere nei giochi ripetitivi post-traumatici, in cui vengono espressi temi o aspetti riguardanti l’episodio, o essere rivissuto in incubi ripetuti, nell’angoscia che segue alla richiesta di ricordare o in episodi dissociativi in cui il trauma viene riprodotto senza alcuna intenzionalità (National Center For Clinical Infant Programs, 1994).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Il secondo gruppo di sintomi si riferisce invece, alle “modalità di evitamento e appiattimento delle risposte” messe in atto come difesa all’esperienza traumatica. In particolare, negli adulti ci riferiamo agli sforzi per evitare pensieri e sensazioni associate al trauma, all’incapacità di ricordare aspetti importanti dell’esperienza, a sentimenti di distacco dagli altri, ridotta affettività e sfiducia nel futuro (American Psychiatric Association, 1994). Nei bambini, oltre al ritiro sociale e ad una gamma limitata di affetti, si può riscontrare una perdita temporanea di competenze già acquisite (linguaggio, controllo degli sfinteri) e una riduzione delle capacità di gioco (National Center For Clinical Infant Programs, 1994).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">“Nei bambini, il senso di diminuzione delle prospettive future può essere evidenziato dalla convinzione che la vita sarà troppo breve per diventare adulti. Vi può essere anche una “tendenza divinatoria”, cioè la convinzione di avere la capacità di prevedere eventi futuri infausti” (Sgarro, 1997, p.36).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;"> Risulta assai difficile tuttavia valutare le modalità di evitamento messe in atto dai bambini, al di là della semplice descrizione dei loro comportamenti, non solo per le limitate capacità verbali di cui dispongono, ma anche per l’incertezza riguardo al modo in cui elaborano e comprendono l’esperienza traumatica a partire dalle specifiche competenze cognitive, affettive e relazionali proprie del livello evolutivo raggiunto (Salmon, Bryant, 2001). </div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">L’ultimo gruppo di sintomi riconosciuto dal DSM IV (American Psychiatric Association, 1994) riguarda, infine, le risposte di iperattivazione, non presenti prima del trauma, quali insonnia, irritabilità, ipervigilanza, difficoltà a concentrarsi e risposte di allarme esagerate. I bambini possono anche esibire vari sintomi fisici, come mal di testa o mal di stomaco.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">La Classificazione diagnostica: 0-3 (National Center For Clinical Infant Programs, 1994) riporta, inoltre, un gruppo di sintomi relativi a paure e ad aggressività, manifestate dai bambini in seguito a traumi. In particolare si tratta di forme di aggressività rivolta a pari, adulti o animali, paura del buio, ansia di separazione e comportamenti dannosi ed autolesivi.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Col termine di Disturbo Acuto da Stress (ASD) (American Psychiatric Association, 1994) sono, invece, descritte le reazioni che si manifestano entro un mese dall’esposizione all’evento traumatico e, rispetto al PTSD, si pone una maggior enfasi sui sintomi dissociativi, quali distacco affettivo, derealizzazione, depersonalizzazione e amnesia dissociativa. Secondo vari autori, l’ASD può fornire criteri utili ad identificare nella fase acuta a seguito del trauma, individui che successivamente svilupperanno un Disturbo post Traumatico da Stress. Tuttavia, nessuno studio ha investigato in maniera sistematica le possibili relazioni fra ASD e PTSD nell’infanzia. Come suggeriscono Salmon e Bryant (2001), prima che l’ASD possa essere applicato all’infanzia per predire lo sviluppo del PTSD, è necessario condurre estese ricerche su bambini a differenti livelli di sviluppo e su popolazioni con differenti traumi. </div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;"><br />
</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;"><i>2.1 INCIDENZA DEL PTSD NELL’INFANZIA</i></div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">La letteratura riporta dati piuttosto variabili sull’incidenza del Disturbo Post Traumatico da Stress nell’infanzia, a seconda dei fattori inclusi nelle ricerche, della severità e della cronicità degli stressor, della prossimità del bambino al trauma, del suo impatto soggettivo, e del tempo trascorso dall’evento (Salmon, Bryant, 2001). La gran parte di questi studi sono stati condotti a seguito di disastri naturali, guerre, aggressioni criminali, abusi sessuali e incidenti.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Le percentuali di PTSD nell’infanzia a seguito di disastri naturali sono in genere inferiori rispetto ad altri tipi di eventi traumatici, con una stima approssimativamente del 5% (Shannon et al. 1994).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Molto più alte, dal 27 al 33 %, sono invece le stime del PTSD rilevate nell’infanzia a seguito di crimini violenti e di esperienze relative a periodi di guerre o stravolgimenti socio-politici (Saigh, 1991; Schwarz, Kowalski, 1991).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Un studio (Kinzie et al., 1986) sui bambini sopravvissuti ai campi di concentramento in Cambogia ha rilevato che circa il 48% di loro soddisfava i criteri del PTSD a distanza di 4 anni dagli eventi traumatici.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Più recentemente, i conflitti nella ex Jugoslavia e quelli, tuttora in corso, nell’area del Medio Oriente, hanno confrontato gli studiosi (Baker, Shalhoub-Kevorkian, 1999; Thabet, Vostanis 2000; Thabet, Abed, Vostanis, 2002) con la gravità degli effetti a lungo termine di tali situazioni sulle giovani popolazioni interessate.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Il PTSD, inoltre, è stato riscontrato nella quasi totalità dei bambini esposti all’aggressione sessuale della loro madre o all’uccisione di un genitore (Pynoos, Nader, 1989).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Per quanto concerne, invece, le percentuali di PTSD a seguito di abuso sessuale sono molto variabili, dal 22% (Ammaniti, 2001) al 48% dei bambini (McLeer, Deblinger et al., 1988).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">L’incidenza del PTSD nell’infanzia, a seguito di traumi fisici acuti, come incidenti automobilistici, infine, è stata stimata intorno al 23% (Aaron et al., 1999). Da alcuni studi, che si sono occupati del PTSD a seguito di lesioni cerebrali di origine traumatica, è emerso inoltre che bambini con una più grave lesione cerebrale mostravano sintomi PTSD più severi rispetto a coloro che presentavano una moderata o nessuna lesione cerebrale. Peraltro, i meccanismi implicati in questo fenomeno non sono ancora noti (Levi et al., 1999). </div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">La maggior prevalenza di Disturbi Post Traumatici da Stress nell’infanzia rispetto all’età adulta è stata evidenziata da Fletcher (1996) nella sua meta-analisi condotta su 34 ricerche che includevano 2697 bambini con varie esperienze traumatiche. È emerso che il 36% di loro, rispetto al 24% degli adulti della popolazione valutata, soddisfava i criteri per il PTSD. L’incidenza del PTSD, inoltre, non differisce marcatamente nei vari livelli di sviluppo, interessando il 39% dei bambini fino ai 7 anni, il 33% dei bambini in età scolare e il 27% di quelli oltre i 12 anni (Fletcher, 1996).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">La meta-analisi di Fletcher (1996), infine, indica che l’incidenza di specifici sintomi di PTSD nella tarda infanzia e nella prima adolescenza, è comparabile alle osservazioni sulla popolazione adulta, in particolare per quanto riguarda i ricordi intrusivi, gli incubi, la diminuzione degli interessi, l’evitamento e l’iperarousal. </div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Discorso a parte va invece fatto per la prima infanzia, visti i rapidi ed irregolari cambiamenti in varie aree funzionali, cui và incontro il bambino, che rendono assai più incerta la valutazione delle caratteristiche con cui si manifesta il PTSD.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Alcuni studi su bambini in età prescolare suggeriscono, infatti, una minore presenza in questi, di sintomi cognitivi legati alla risperimentazione del trauma, e un minore evitamento di situazioni o discorsi legati all’evento (Salmon, Bryant, 2001). </div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Peraltro, visto che gran parte dei criteri diagnostici del PTSD richiedono la descrizione verbale di stati affettivi e ricordi, risulta evidente la difficoltà di una accurata valutazione del PTSD nei bambini in età prescolare.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Non a caso, Scheeringa et al. (1995), esprimono cautela nell’utilizzare criteri diagnostici quali l’evitamento o le lacune mestiche, proponendo invece di fondare la valutazione dei bambini in età prescolare, prevalentemente, su sintomi comportamentali, come il gioco ripetitivo, l’ansia da separazione, gli incubi e l’aggressività.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;"><br />
</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;"><i>3. PROCESSI DI ELABORAZIONE DELL’EVENTO TRAUMATICO</i></div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Investigare le modalità con cui i bambini, nella prima infanzia, reagiscono ad eventi traumatici implica l’attenta considerazione di quei fattori di sviluppo che regolano i processi di elaborazione e comprensione dell’esperienza. </div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Salmon e Bryant (2001), a partire da un attenta disamina della vasta letteratura sull’argomento, propongono un interessante modello teorico in cui, l’attenzione ai processi di elaborazione dell’informazione, si affianca alla considerazione degli aspetti emotivi e dei fattori sociali implicati nelle risposte dei bambini ad eventi traumatici.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">La fase di codifica è il primo stadio del processo di elaborazione dell’informazione, in cui l’individuo valuta e attribuisce senso all’evento in cui è coinvolto. Eventi traumatici inaspettati possono creare, nei bambini, una netta discrepanza fra schemi cognitivi pre-esistenti e nuove informazioni legate al trauma, tanto da rendere inadeguato il sistema di aspettative che, in precedenza, regolava la conoscenza e le inferenze sull’ambiente circostante. </div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Elementi essenziali nel processo di codifica dell’informazione sono, quindi, le conoscenze di base possedute dal bambino, in termini di schemi cognitivi ed affettivi di interpretazione del proprio contesto, e le sue capacità linguistiche di rappresentare e condividere l’esperienza vissuta.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Le conoscenze di base del bambino, precedenti all’evento traumatico, hanno un impatto significativo sulla comprensione dell’evento e su una sua rappresentazione mnestica più o meno dettagliata e coerente. Peraltro, situazioni completamente estranee e al di fuori della comune esperienza del bambino, come possono essere gli eventi traumatici, richiedono, per poter essere comprese, del necessario supporto cognitivo ed emotivo fornito da adulti significativi.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;"><span lang="FR">Kazak <i>et al.</i> </span>(1997) nel loro studio sul PTSD in bambini sopravvissuti al cancro, hanno proposto che, nella prima infanzia, la limitata capacità di percepire la gravità della minaccia posta dalla malattia, possa rappresentare un fattore protettivo dall’impatto del trauma. Questa limitata conoscenza sulla potenziale minaccia dell’evento traumatico, tuttavia, può anche rendere il bambino più vulnerabile a interpretazioni distorte dell’esperienza, aumentandone l’angoscia.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Il livello di sviluppo del linguaggio e delle capacità di ragionamento consente al bambino di rappresentare verbalmente l’evento e di comunicare agli altri la sua esperienza, in maniera via via più elaborata e complessa. La possibilità di parlare con gli adulti significativi è una risorsa essenziale nella gestione ed elaborazione dell’evento traumatico, visto che aiuta il bambino a valutare, interpretare e reintegrare in memoria l’esperienza; a correggere equivoci e distorsioni nei ricordi; a contenere, gestire e regolare le forti emozioni sperimentate; e ad affinare nuove strategie di coping per far fronte al trauma.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Peraltro, sono spesso gli adulti che, per varie ragioni, evitano di parlare con il bambino della sua esperienza traumatica. Sono genitori che, ad esempio, ne sottovalutano le possibili ripercussioni, o pensano così di proteggere il figlio da ulteriori turbamenti. Altri adulti possono essere riluttanti ad avviare un confronto per via della propria angoscia o dei sensi di colpa legati all’evento. In questi casi, spesso sono i bambini che, collusivamente, evitano di raccontare l’esperienza. </div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Vari eventi traumatici vissuti dai bambini, come violenze e abusi o gravi malattie (Kazak <i>et al.</i>,1997) possono, inoltre, determinare nei genitori sintomi di PTSD, che interferiscono con la capacita del caregiver di offrire supporto affettivo e spesso motivano il suo evitamento dei ricordi.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">La capacità degli adulti significativi di affrontare argomenti spiacevoli, che implicano il dover gestire emozioni negative, o le strategie di coping che questi rinforzano nei loro figli, sono fattori che dipendono in gran parte dalle risorse personali dei caregivers, dalle esperienze passate e da come loro stessi hanno elaborato il trauma che ha interessato i figli. </div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Diversi fattori sociali, quali la coesione familiare, il supporto materno e la capacità del gruppo familiare di cercare e accettare aiuto, hanno mostrato di essere forti predittori di un esito positivo a seguito di un evento traumatico. Bambini esposti a crimini violenti e con bassi livelli di supporto sociale, infatti, mostrano anche livelli più alti di PTSD (Kliewer, Lepore <i>et al</i>., 1998).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">In altri termini, è nella relazione con gli adulti significativi che il bambino sviluppa importanti competenze cognitive ed affettive, quali la capacità di regolare le proprie emozioni, di comprendere i pensieri e gli stati affettivi propri ed altrui, o l’abilità di richiamare specifiche informazioni dalla memoria e rappresentarle narrativamente, che gli consentono di elaborare e gestire in modo più consapevole l’esperienza traumatica.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Il bambino, nell’interazione con il caregiver, elabora modelli mentali sempre più complessi, relativi a se stesso, agli altri e all’ambiente (Ammaniti, 2001), e sviluppa la capacità di regolare le proprie emozioni e di rendere significativo e prevedibile il comportamento altrui (Fonagy, Target, 2001).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Si assiste così ad un rapido progresso delle capacità di riflettere sui propri processi mentali e sui legami fra pensieri ed emozioni, che consente a bambini già intorno ai 5/6 anni, di affinare e padroneggiare sempre meglio varie strategie cognitive ed affettive, per far fronte ad eventi traumatici.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Un adeguato livello di sviluppo in aree funzionali come il linguaggio, la regolazione affettiva e cognitiva e i processi di coping, accanto ad un contesto familiare e sociale favorevole, rappresentano allora fattori essenziali, per il bambino, nella gestione ed elaborazione dell’esperienza traumatica.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Peraltro, non è ancora chiaro se l’immaturità, caratteristica della prima infanzia, in alcune di queste aree funzionali, possa rappresentare un fattore protettivo nei confronti di un evento traumatico (Kazak <i>et al.</i>,1997; Salmon, Bryant, 2001 ).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;"><br />
</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;"><i>4. ASPETTI PSICODINAMICI ED EVOLUZIONE CLINICA DEL PTSD</i></div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Non tutte le persone esposte ad un grave evento traumatico vanno incontro ad un DSPT. La reazione soggettiva dell’individuo e la qualità del supporto sociale di cui dispone, sono fattori determinanti nell’insorgenza del disturbo.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">In questo senso, la gravità di uno specifico stress và accuratamente distinta dal suo impatto sull’individuo. L’ambiente, infatti, può offrire sostegno e proteggere il bambino dagli effetti del trauma, come anche aumentarne il disagio (Ammaniti, 2001).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Come già accennato, l’insorgenza e il decorso del PTSD nell’infanzia sono ampiamente influenzati da fattori individuali, sociali e da variabili legate alla situazione traumatica. I primi sono rappresentati, principalmente, dall’età del bambino, dalle competenze cognitive ed affettive di cui dispone, e da eventuali difficoltà di sviluppo precedenti al trauma. I fattori sociali fanno riferimento al grado di coesione, di funzionalità e di sostegno offerto al bambino dal contesto familiare e dalle risorse della comunità. Le caratteristiche della situazione traumatica, infine, riguardano il livello di esposizione al trauma, la durata e la gravità dell’esperienza, le persone implicate e le eventuali perdite significative in relazione all’evento.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">I dati, presenti in letteratura, sull’evoluzione clinica del PTSD insorto nei primi anni di vita, mostrano che accanto ad una remissione completa dei sintomi, in un periodo variabile fra alcuni mesi ed un anno, sono frequenti anche reazioni al trauma più prolungate nel tempo e spesso dagli esiti più severi.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">In bambini esposti ad eventi traumatici si possono così osservare, anche a distanza di tempo, varie difficoltà nello sviluppo del Sé, come bassa autostima, alterazioni nell’immagine corporea e scarsa efficacia personale. Sono frequenti, inoltre, difficoltà nella regolazione affettiva, con risposte meno flessibili ed adeguate agli eventi ambientali e crisi esplosive di rabbia, spesso accanto a relazioni interpersonali difficili con genitori e coetanei (Ammaniti, 2001).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Si può manifestare, inoltre, una varietà di sintomi che non soddisfa, in senso stretto, i criteri del PTSD, come somatizzazioni, alterazioni dell’immagine corporea, depressione protratta, disturbi dissociativi e comportamenti fobici ed ossessivi (Gabbard, 1994; Sgarro, 1997).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;"><span lang="FR">Zlotnic <i>et al. </i></span>(2001) hanno evidenziato alti livelli di disturbi psicosomatici ed alessitimia in soggetti che durante l’infanzia hanno subito gravi maltrattamenti ed abusi. È probabile che l’incapacità di identificare o verbalizzare i propri stati affettivi rappresenti, in questi soggetti, una difesa dal timore di poter risperimentare le intense e spiacevoli emozioni legate al trauma (Gabbard, 1994).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Per quanto concerne il rapporto fra PTSD nell’infanzia e depressione, si è osservato che lo sviluppo delle abilità di ragionamento astratto accanto ad una maggiore consapevolezza circa le conseguenze di possibili minacce, aumenta nei bambini con PTSD la possibilità di pensieri catastrofici e di un senso di angoscia, sconforto e sfiducia nel futuro (Salmon, Bryant, 2001).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Runyon et al.(2002), inoltre, investigando l’incidenza di sintomi depressivi in bambini con PTSD vittime di abusi, hanno rilevato come fattore di rischio il sesso femminile.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">L’ampia letteratura su pazienti con disturbo borderline di personalità, inoltre, fornisce possibili evidenze a conferma del ruolo che le esperienze traumatiche nella prima infanzia, hanno nel determinare disturbi di personalità. Circa un terzo dei pazienti borderline soddisfa i criteri per il PTSD (Gabbard, 1994; Ammaniti, 2001). “Le esperienze traumatiche dell’infanzia possono contribuire alle difese che causano una distorsione dell’immagine, come la scissione, il diniego, l’identificazione proiettiva” (Gabbard, 1994, p.439).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Fonagy e Target (2001), nell’ambito della teoria sulla <i>funzione riflessiva</i>, avanzano l’ipotesi che i soggetti borderline siano state vittime di abusi e maltrattamenti durante l’infanzia, e che “vi abbiano fatto fronte rifiutando di concepire il contenuto della mente delle loro figure di riferimento, ed evitando efficacemente di pensare al desiderio del genitore di far loro del male. Essi procedono in modo difensivo ostacolando i loro processi metacognitivi di monitoraggio in tutte le relazioni intime successive. Inconsciamente, ma deliberatamente, limitano la loro capacità di rappresentare sentimenti e pensieri in se stessi e negli altri. (...) Tale inibizione può produrre sostanziali benefici per il soggetto, in quanto gli permette di eludere un dolore psichico intollerabile. (…) Molti dei sintomi dei soggetti con disturbo borderline di personalità possono essere compresi in termini di strategie difensive per disattivare la capacità di mentalizzazione o metacognitiva” (Fonagy, Target, 2001, p.91).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">In questo senso, si può ipotizzare che il disturbo borderline di personalità rappresenti una forma complessa di PTSD (Ammaniti, 2001).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Profonde alterazioni a seguito di eventi traumatici sono state individuate anche a livello del sistema biologico di risposta allo stress, che include l’asse ipotalamico-pituitario-adrenocorticale e il sistema simpatico-surrenale. Stimolazioni eccessive e prolungate o stress di alta intensità possono determinare, infatti, cambiamenti neuro-ormonali e sinaptici che inducono alterazioni nelle funzioni di controllo legate all’aggressività e al ciclo sonno-veglia, sintomi reattivi, irritabilità o stati cronici disforico-ansiosi (Sgarro, 1997). Anche il sistema limbico, in particolare l’ippocampo e l’amigdala, appare connesso con le risposte allo stress. Bambini con PTSD, a seguito di severi maltrattamenti, presentano alterazioni stabili, con livelli più elevati di cortisolo nelle urine, di catecolamine e dopamine anche diversi anni dopo le esperienze traumatiche (Van Itallie, 2002).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Nello studio sull’evoluzione e gli effetti a lungo termine del PTSD, infine, sono particolarmente interessanti le varie ricerche condotte su bambini che hanno vissuto esperienze traumatiche in zone di guerra.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Un recente studio longitudinale (Thabet, Vostanis, 2000) ha investigato le conseguenze del conflitto israelo-palestinese su 234 bambini della Striscia di Gaza, fra i 7 e i 12 anni. Il follow-up a distanza di un anno, durante il periodo di pace, ha evidenziato una diminuzione nella percentuale di bambini con moderati o gravi sintomi PTSD dal 40,6% al 10%, senza alcun intervento terapeutico. Questi risultati mostrano che le reazioni al PTSD tendono a diminuire in assenza di ulteriori stress. Una rilevante percentuale di soggetti continua, tuttavia, a presentare disturbi emotivi e di comportamento, come paure ricorrenti, perdita di piacere, pensieri ed immagini ricorrenti, evitamento di certe situazioni sociali, disturbi psicosomatici, comportamenti aggressivi, sensi di colpa e mancanza di prospettive future, probabilmente dovuti a vari stress sociali post-conflitto come, per esempio, il vivere in campi profughi.. </div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Peraltro, queste modalità di risposta ai traumi di guerra durante l’infanzia sono molto simili nelle varie culture, come individuato in una ricerca su 2976 bambini della ex Jugoslavia, fra gli 8 e i 14 anni (Smith <i>et al.</i>, 2003).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">I bambini che vivono in zone di guerra, inoltre, mostrano spesso forme di stress acuto per vari tipi di eventi traumatici che, in genere, non vengono esplorati dalle ricerche. <span lang="FR">Thabet <i>et al.</i> </span>(2002), ad esempio, hanno osservato una percentuale maggiore di sintomi PTSD in bambini palestinesi a cui era stata bombardata o demolita la propria abitazione, rispetto ad altri tipi di eventi traumatici legati a violenze politiche.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Un ampia fonte di informazioni sugli effetti a lungo termine del PTSD occorso durante l’infanzia deriva, infine, dalle ricerche su individui sopravvissuti all’Olocausto e alle persecuzioni naziste che, a distanza di oltre sessant’anni, mostrano livelli d’ansia, di rabbia-ostilità, somatizzazioni e depressione significativamente più elevati dei gruppi di controllo (Amir, Lev-Wiesel, 2003).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;"><br />
</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;"><i>5. STRATEGIE DI INTERVENTO</i></div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">La valutazione del PTSD nella prima infanzia implica, anzitutto, l’attenta considerazione del livello di sviluppo cognitivo ed emotivo raggiunto dal bambino, affinché si eviti di confondere l’immaturità in alcune aree funzionali con le reazioni ad eventi traumatici.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">È importante per il clinico capire il vissuto soggettivo del bambino e come questo ricorda e racconta l’esperienza traumatica. Il disegno rappresenta una tecnica assai utile a questo scopo. Si è osservato (Salmon, Bryant, 2001) che bambini dai 3 ai 9 anni, a cui viene data la possibilità di disegnare un evento emotivamente coinvolgente mentre lo raccontano, forniscono molti più dettagli rispetto all’eventuale richiesta della sola esposizione verbale.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">In altri termini, disegnare mentre si racconta consente di superare la stretta associazione fra capacità linguistiche del bambino e quantità di informazioni riportate.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Anche l’uso di giocattoli e bambole sono metodi molto utilizzati per facilitare il racconto dell’evento passato, in particolare in caso di abusi e maltrattamenti.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">In generale, il trattamento del PTSD nella prima infanzia ha come obiettivi l’esplorazione del trauma, fornire al bambino competenze nella gestione dello stress, identificare e correggere attribuzioni scorrette e distorsioni dell’evento, e coinvolgere attivamente il gruppo familiare (Salmon, Bryant, 2001).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">I vari modelli di intervento, da quello psicoanalitico al cognitivo-comportamentale, devono mostrare la massima cautela nell’utilizzare con i bambini, in particolare nella prima infanzia, tecniche e strategie consolidate nel trattamento dei pazienti adulti.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">L’utilizzo dell’<i>esposizione prolungata </i>(P.E.) per il controllo dell’ansia (Sgarro, 1997), o la <i>ristrutturazione cognitiva</i> per modificare convinzioni ed assunti irrazionali, ad esempio, richiede un’accurata e precedente valutazione delle competenze metacognitive del bambino e dalla sua capacità di regolare le emozioni.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Discorso analogo va fatto nell’utilizzo di tecniche espressive, psicodinamicamente orientate, che richiedono una buona capacità dell’Io di bambini più grandi ,di gestire l’ansia e gli affetti negativi derivanti dal racconto dell’esperienza passata. </div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Assimilare ed integrare le informazioni relative all’esperienza traumatica richiede nel bambino una complessa ri-organizzazione degli schemi mentali e dei modelli rappresentazionali pre-esistenti, attraverso adeguate strategie di “adattamento” al trauma, di coping e revisione di pensieri e percezioni distorte.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Bambini con una storia di abusi e maltrattamenti prolungati, inoltre, possono mostrare un inibizione della <i>funzione riflessiva </i>(Fonagy, Target, 2001), ovvero della capacità di “leggere” la mente altrui e di cogliere sentimenti, pensieri ed intenzioni che diano significato ai comportamenti. </div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">“Il transfert focalizza il paziente sullo stato mentale dell’analista che prova ad immaginare le sue credenze e i suoi desideri. L’esperienza ripetuta di trovare se stesso nella mente del terapeuta, non solo favorisce la rappresentazione di sé, ma rimuove anche la paura di guardare, propria del paziente” (Fonagy, Target, 2001, p.385).</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Il clinico deve assicurarsi, nel trattamento dei traumi nella prima infanzia, che il bambino comprenda e condivida gli obiettivi e le tecniche di intervento, modificandone la complessità in relazione alle esigenze del caso. </div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">L’intervento deve, inoltre, tener conto degli effetti a lungo termine del trauma, che possono essere osservati solo in stadi di sviluppo successivi e che, spesso richiedono la programmazione di trattamenti “su misura”e nel tempo.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">Coinvolgere il gruppo familiare, infine, rappresenta un obiettivo essenziale della terapia, viste le difficoltà che molte giovani vittime di eventi traumatici hanno nel valutare e raccontare le loro esperienze. È importante, allora, aiutare gli adulti significativi ad offrire adeguato supporto ai loro figli dopo il trauma. Questo implica lo sviluppo nei genitori, di una serie di capacità, come un accurata interpretazione del comportamento del bambino; capire quando poter iniziare la conversazione o essere preparati nel caso sia il bambino ad avviare il racconto; aiutarlo a definire e gestire le sue emozioni.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">I parenti, inoltre, hanno un importante ruolo nel favorire l’utilizzo di appropriate strategie di coping da parte del bambino. Varie evidenze, infine, suggeriscono che i genitori sono molto spesso più angosciati dei loro figli coinvolti in eventi traumatici, e potrebbero beneficiare di un sostegno psicologico per affrontare tale situazione.</div><div class="MsoBodyText" style="color: white; line-height: 150%;">In generale, includere il gruppo familiare nell’intervento rappresenta un importante fattore positivo sull’outcome dei PTSD nell’infanzia.</div><h2 style="color: white;"><span lang="EN-GB">Bibliografia</span></h2><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB">- Aaron J., Zaglul H., Emery R. (1999), <i>Posttraumatic stress in children following acute physical injury</i>, Journal of Pediatric Psychology, 24, pp. 335-343</span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB">- American Psychiatric Association (1980), <i>DSM III</i>, A.P.A., Washington, ed. </span>Ital., Masson, Milano 1983 </div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB">- American Psychiatric Association (1987), <i>DSM III-R</i>, A.P.A., Washington, ed. </span>Ital., Masson, Milano 1988 </div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB">- American Psychiatric Association (1994), <i>DSM IV</i>, A.P.A., Washington, ed. </span>Ital., Masson, Milano 1996</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB"> </span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB">- Amir M., Lev-Wiesel R. (2003),<i> Time does not heal all wounds: Quality of life and psychological distress of people who survived the holocaust as children 55 years later</i>, Journal of Traumatic Stress. Vol. 16(3), Jun 2003, pp. 295-299</span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;">- Ammaniti M., (a cura di) (2001), <i>Manuale di psicopatologia dell’infanzia</i>, Cortina Editore, Milano</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB">- Baker A., Shalhoub-Kevorkian N. (1999), <i>Effects of political and military traumas on children: the Palestinian case</i>, Clinical Psychology Review, vol 19, n°8, pp. 935-950</span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB">- Fletcher K.E. (1996), <i>Childhood posttraumatic stress disorder</i>, in Mash E.J., Barkley R., <i>Child psychopathology</i>, pp.242-246, New York, Guilford Press</span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;">- Fonagy P., Terget M. (2001), <i>Attaccamento e funzione riflessiva</i>, Cortina editore, Milano</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;">- Freud S. (1920) <i>Al di là del principio del piacere</i>, in <i>Opere di Freud</i>, vol.9, Boringhieri, Torino, 1977</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;">- Gabbard G. O. (1995), <i>Psichiatria psicodinamica. Nuova edizione basata sul DSM IV</i>, Cortina Editore, Milano</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB">- Kazak A.E., Barakat L.P., Meeske K., Christiakis D., Meadows A.T., Casey R., Penati R., Struber M., (1997), <i>Posttraumatic stress, family functioning, and social support in survivors of childhood cancer and their mothers and fathers</i>, Journal of Consulting and Clinical Psychology, 65, pp. 120-129</span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB">- Kinzie D., Sack W.H., Angell R.H., Manson S., Rath B. (1986), <i>The psychiatric effects of massive trauma on Cambodian children</i>, Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, 22, pp.157-164</span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB">- Kliewer W., Lepore S.J., Oskin D., Johnson P.D. (1998), <i>The role of social and cognitive processes in children’s adjustment to community violence</i>, Journal of Consulting and Clinical Psychology, 66, pp. 199-209</span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB">- Levi R.B., Drotar D., Yeates K.O., Taylor H.G. (1999), <i>Posttraumatic stress symptoms in children following orthopaedic or traumatic brain injury</i>, Journal of Clinical Child Psychopatology, 28, pp. 232-243</span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB">- Livingston R. (1987), <i>Sexually and physical abused children</i>, Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, 26, pp. 413-415</span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB">- McLeer S.V., Deblinger E., Atkins M.S., Foa E.B., Ralphe D.L. (1988), <i>Posttraumatic stress disorder in sexually abused children</i>, Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, 27, pp. 650-654</span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;">- National Center for Clinical Infant Programs (1994), <i>Classificazione diagnostica: 0-3. Classificazione diagnostica della salute mentale e dei disturbi di sviluppo nell’infanzia</i>. <span lang="EN-GB">Tr. it. Masson, Milano</span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB">- Pynoos R.S., Nader K. (1989), <i>Children who witness the sexual assaults of their mothers</i>, Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, 27, pp.567-572</span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB">- Runyon M.K., Faust J., Orvaschel H. (2002), <i>Differential symptom pattern of post-traumatic stress disorder (PTSD) in maltreated children whit and without concurrent depression</i>, Child Abuse and Neglect, 26, pp. 39-53</span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;">- Saigh P.A. (1999), <i>On the developmental of posttraumatic stress disorder pursuant to different models of traumatization</i>, Behaviour Research and Therapy, 29, pp. 213-216 </div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB">- Salmon K., Bryant R.A. (2002), <i>Posttraumatic stress disorder in children. The influence of developmental factors</i>, Clinical Psychology Review, 22, pp. 163-188</span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;">- Scheeringa M.S., Zeanah C.H., Drell M.J., Larrien J.A, (1995), <i>Two approaches to the diagnosis of post-traumatic stress disorder in infancy and early childhood</i>, Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, 34, pp.191-200<span lang="EN-GB" style="background: none repeat scroll 0% 0% aqua;"> </span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB" style="background: none repeat scroll 0% 0% aqua;"> </span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB">- Schwarz E.D., Kowalski J.M. (1991), <i>Posttraumatic stress disorder after a school shooting: effects of symptom threshold selection and diagnosis by DSM III, DSM III-R, or proposed DSM IV</i>, American Journal of Psychiatry, 148, pp.592-597</span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;">- Sgarro M. (1997), <i>Post Traumatic Stress Disorder</i>, Edizioni Kappa, Roma</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;">- Shannon M.P., Lonigan C.J., Finch A.J., Taylor C.M. (1994), <i>Children exposed to disaster: Epidemiology of posttraumatic stress symptoms and symptom profiles</i>, Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, 33, pp.80-93</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB">- Smith P., Perrin S., Dyregrov A., Yule W. (2003), <i>Principal components analysis of the impact of event scale with children in war</i>, Personality and Individual Differences, 34, pp. 315-322</span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB">- Thabet A.A., Abed Y., Vostanis P. (2002), <i>Emotional problems in Palestinian children living in a war zone: a cross selectional study</i>, The Lancet, vol 359, pp. 1801-1804</span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB">- Thabet A.A., Vostanis P. (2000), <i>Post traumatic stress disorder reactions in children of war: a longitudinal study</i>, Child Abuse and Neglect, 24, n°2, pp. 291-298</span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><span lang="EN-GB">- Van Itallie T.B. (2002), <i>Stress: A risk factor for serious illness</i>, Metabolism, vol 51, n°6, Suppl.1, pp. 40-45</span></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span lang="EN-GB" style="color: white;">- Zlotnick C., Mattia, J. I., Zimmerman M. (2001), <i>The relationship between posttraumatic stress disorder, childhood trauma and alexithymia in an</i></span><i style="color: white;"> </i><i style="color: white;">outpatient sample</i><span lang="EN-GB" style="color: white;">, Journal of Traumatic Stress. Vol 14(1), Jan 2001, pp. 177-188.</span><span lang="EN-GB"></span></div>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-38368236049378565052011-05-31T15:12:00.000-07:002011-05-31T15:15:17.098-07:00PERCHE' RICHIEDERE UNA CONSULENZA PSICOLOGICA:<div align="center" class="Stile20">Il nostro progetto di lavoro è orientato ad offrire un sistema di consulenze psicologiche e psicoterapie altamente qualificate e a costi ridotti. Il cliente è il centro dei nostri interessie attorno al quale pensiamo una vasta gamma di servizi psicologici che risultino <b>FLESSIBILI </b>per tempi e obiettivi, sempre <b>SOSTENIBILI </b>nei costi e soprattutto <b>VICINI </b>alle esigenze dei nostri interlocutori. Più in particolare possiamo dire che la <b>consulenza psicologica</b> è un lavoro metodologico che coinvolge lo psicologo e il suo o i suoi clienti, fondato sull'ascolto, sul pensiero e sulla comprensione condivisa, attraverso il dialogo, dei motivi dell'incontro. Per il cliente rappresenta un percorso di progressiva indagine e scoperta rivolto a sè stesso e ai modi in cui partecipa a contesti e relazioni significative della propria esistenza. La "materia prima" di questo processo produttivo è il racconto libero che il cliente fa di episodi, situazioni, idee, sentimenti, pensieri<br />
e sogni che ritiene di voler condividere con lo psicologo durante il tempo dell'incontro. Narrare noi stessi, infatti, è un modo per seguire e rappresentare il nostro percorso di vita, capire le scelte fatte, individuare associazioni e nessi fra le cose, emozionarci per ciò che ci accade ed elaborare esperienze spiacevoli.</div><div align="center" class="Stile20">Pensare alla possibilità di intraprendere un lavoro psicologico diviene una scelta indicata in varie situazioni, ne vorremmo citare alcune: </div><div align="center" class="Stile20"><br />
</div><div align="center" class="Stile20"><span class="Stile23"><img height="15" src="Immagini/segna.jpg" width="15" /> Q</span>uando la persona avverte un senso di disorientamento, una crisi di decisionalità ed una carenza di strumenti per affrontare in maniera adeguata una serie di scelte presenti che possono riguardare il proprio futuro personale, familiare, formativo o professionale. Pensiamo, così, a chi è indeciso su quale percorso formativo intraprendere o, da troppo tempo, bloccato in maniera improduttiva in <br />
studi che percepisce inutili; pensiamo a chi vorrebbe entrare nel mondo del lavoro, cambiare settore d'impiego, capire quali capacità e abilità possiede e come renderle spendibili sul mercato; pensiamo a chi è confuso rispetto alla propria vita privata, alla scelta del partner, alla costruzione di legami più solidi e formali, all'autonomia dal nucleo familiare.</div><div align="center" class="Stile20"><br />
</div><div align="center" class="Stile20"><span class="Stile23"></span></div><div align="center" class="Stile20"><span class="Stile23"></span></div><div align="center" class="Stile20"><span class="Stile23"><img height="15" src="Immagini/segna.jpg" width="15" /> Q</span>uando l'esistenza della persona è fortemente limitata dalla presenza di sintomi particolari come ansia, depressione, attacchi di panico, preoccupazioni sul proprio stato di salute, paure persistenti rispetto a oggetti o situazioni specifiche, presenza di azioni o rituali ossessivi, capaci di inibire, annullare o condizionare significativamente la normale gestione delle attività quatidiane, segnando profondamente la qualità della vità e le possibilità affettive, sociali e professionali dell'interessato.</div><div align="center" class="Stile20"><br />
</div><div align="center" class="Stile20"><span class="Stile23"><img height="15" src="Immagini/segna.jpg" width="15" /> Q</span>uando le difficoltà della persona riguardano prevalentemente la sfera delle sue relazioni interpersonali significative con conflitti prolungati entro il contesto familiare, professionale, di coppia o amicale. Pensiamo ai contrasti o all'incomunicabilità nel rapporto fra un genitore e il proprio figlio, specie se adoloscente; alle tensioni persistenti, in ambito lavorativo, nel rapporto con colleghi o superiori (situazioni di stress, mobbing, burnout); a disaccordi e controversie con il partner, entro rapporti di coppia spesso caratterizzati da distacco, svalutazione o indisponibilità dell'altro. </div><div align="center" class="Stile20"><br />
</div><div align="center" class="Stile20"><span class="Stile23"><img height="15" src="Immagini/segna.jpg" width="15" /> Q</span>uale supporto per aiutare la persona ad affrontare le crisi che accompagnano e caratterizzano specifiche fasi di vita come l'adolescenza, una gravidanza e la successiva genitorialità, la menopausa o il pensionamento, ma anche di fronte ad eventi meno prevedibili, improvvisi e particolarmente critici e stressanti come il lutto per la perdita di un proprio caro, un incidente, una malattia, una separazione, il licenziamento dal posto di lavoro.</div><div align="center" class="Stile20"><br />
</div><div align="center" class="Stile20"><span class="Stile23"><img height="15" src="Immagini/segna.jpg" width="15" /> Q</span>uando le difficoltà della persona hanno a che fare con la perdita delle sue capacità regolative e di autocontrollo rispetto a particolari aree del proprio comportamento e della percezione di sè, ad esempio, relativamente alla sfera alimentare, all'abuso di sostanze (fumo, alcool, droghe), alla dipendenza dal gioco o da altre attività come lo shopping o lo sport compulsivi.</div><div align="center" class="Stile20"><br />
</div><div align="center" class="Stile20">Il nostro <b>progetto terapeutico</b> solitamente prevede una fase conoscitiva iniziale, della durata di 3/4 incontri, utile allo psicologo e al suo cliente per esprimere, definire e comprendere le ragioni che hanno motivato la richiesta dei colloqui e valutare la possibilità di avviare un lavoro clinico comune a partire da obiettivi, tempi e modalità concordate fra le parti. Questa prima fase iniziale di consulenza può dare avvio ad iniziative metodologiche di vario tipo, in relazione alle esigenze del cliente ed alla specificità della <br />
sua domanda, che comprendono: 1) <b>Consulenza psicologico-clinica individuale, di coppia o familiare</b>; <br />
2) <b>Psicoterapie brevi o senza limite temporale definito</b>; 3) <b>Psicoterapie di gruppo</b>; 4) <b>Consulenza di <br />
orientamento formativo o lavorativo</b>.</div><div align="center" class="Stile20"><br />
</div><div align="center" class="Stile20"><br />
Il <b>TARIFFARIO</b> delle nostre prestazioni professionali prevede la possibilità di accedere ai servizi psicologici offerti, anche a persone con limitata disponibilità economica, con prezzi da concordare in relazione alle specifiche esigenze del cliente.<br />
<br />
PER MAGGIORI INFORMAZIONI CONTATTARE IL N. <b>06 7014826 </b>O INVIARE UNA MAIL A: <a href="mailto:consulenza@prospettivepsicosociali.org">consulenza@prospettivepsicosociali.org</a><br />
<br />
<br />
<br />
</div><div align="center" class="Stile20"></div><div align="center" class="Stile20"></div><div align="center" class="Stile20"></div><div align="center" class="Stile20"></div><div align="center" class="Stile20"></div><div align="center" class="Stile20"><br />
</div>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-76141677441919277812011-05-31T00:41:00.000-07:002011-05-31T00:41:29.572-07:00L’INCUBO FRA CREDENZE E TEORIE<!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> <w:Zoom>0</w:Zoom> <w:HyphenationZone>14</w:HyphenationZone> <w:PunctuationKerning/> <w:ValidateAgainstSchemas/> <w:SaveIfXMLInvalid>false</w:SaveIfXMLInvalid> <w:IgnoreMixedContent>false</w:IgnoreMixedContent> <w:AlwaysShowPlaceholderText>false</w:AlwaysShowPlaceholderText> <w:Compatibility> <w:BreakWrappedTables/> <w:SnapToGridInCell/> <w:WrapTextWithPunct/> <w:UseAsianBreakRules/> <w:DontGrowAutofit/> </w:Compatibility> <w:BrowserLevel>MicrosoftInternetExplorer4</w:BrowserLevel> </w:WordDocument> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 9]><xml> <w:LatentStyles DefLockedState="false" LatentStyleCount="156"> </w:LatentStyles> </xml><![endif]--><!--[if !mso]><img src="http://img2.blogblog.com/img/video_object.png" style="background-color: #b2b2b2; " class="BLOGGER-object-element tr_noresize tr_placeholder" id="ieooui" data-original-id="ieooui" /> <style>
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<div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Per cominciare daremo una definizione del fenomeno psichico di nostro interesse, soffermandoci, in particolare, sull’origine del termine, sul ruolo delle superstizioni e delle credenze popolari e su alcune teorie cliniche relative alle sue possibili cause.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Il termine incubo indica un sogno angoscioso particolarmente intenso, in cui lo stato di terror panico si accompagna ad evidenti reazioni fisiologiche quali la palpitazione, la traspirazione ed un peso al petto che determina un allarmante senso di soffocamento. È caratteristica, inoltre, la trasformazione di emozioni e paure in particolari animali, creature sub-umane o in altri mostri che determinano il risveglio della persona in preda al terrore.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">L’incubo è in genere considerato come una varietà del sogno d’angoscia, caratterizzato semplicemente da maggiore intensità, tuttavia gran parte degli autori (Marcelli, 1997; Hartmann, 1984; Kellerman, 1987) ne sottolineano l’ambiguità del termine, dato che comprende anche i terrori notturni o <i>pavor nocturnus</i>, di cui il dormiente non ricorda niente al risveglio, e gli incubi post-traumatici.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Ciò che caratterizza, infatti, i veri incubi o sogni d’angoscia intensi è il fatto di essere lunghi, spaventosi, vividi e verosimili, tanto da apparire reali anche dopo il risveglio, e questo li rende profondamente diversi dai terrori notturni di cui non rimane alcuna traccia in memoria.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Fisher (Kellerman, 1987), in particolare, monitorando i cicli del sonno di numerosi soggetti, ha osservato che i terrori notturni<span> </span>sopraggiungono durante il IV stadio di sonno lento, in una fase non-REM, e sono caratterizzati dall’irrompere improvviso di una profonda angoscia, da pianti e vocalizzazioni, da uno stato di confusione allucinata e da alterazioni della frequenza respiratoria e circolatoria, seguite da amnesia.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">L’EEG ha dimostrato che si tratta di un risveglio dissociato, con attivazione neurovegetativa da una parte e la corteccia che resta in sonno lento profondo dall’altra, dovuto probabilmente ad un angoscia estrema e non elaborabile che affligge l’apparato psichico (Marcelli, 1997). </div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">La gran parte delle esperienze di incubo ricordate e raccontate dal soggetto, quindi, non riguardano i terrori notturni, ma sogni d’angoscia particolarmente intensi caratteristici delle fasi di sonno REM.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;"><span> </span>È chiaro, dunque, che la denominazione di Incubo abbraccia<span> </span>fenomeni molto diversi fra loro riguardo a caratteristiche cliniche e cause, rivelando così quella mancanza di sufficiente specificità necessaria in un discorso scientifico.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Per quanto concerne invece l’origine del termine, questa ci riporta alle credenze popolari che in tutte le epoche hanno attribuito l’incubo alla presenza di esseri soprannaturali.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">L’<i>Efialte</i> greco, l’<i>Incubus</i> latino e medioevale, il <i>Mara</i> dei paesi nordici, i <i>Follets</i> francesi, indicano tutti un demone libidinoso che sedendosi sul petto delle vittime, ne blocca il respiro e i movimenti e le aggredisce sessualmente.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Numerosi, peraltro, sono stati anche i tentativi di spiegare il fenomeno in modo più razionale e scientifico, chiamando in causa, per esempio, disturbi gastrici, alterazioni del sistema circolatorio o respiratorio, e individuando spesso come fattore scatenante persino la posizione supina del dormiente.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">“Fu Freud il primo a dimostrare l’intimo nesso esistente tra il terrore intrapsichico e gli impulsi sessuali rimossi” (Jones, 1959, pg.315).</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">“Mentre del sogno infantile si può dire che è l’aperto appagamento di un desiderio ammesso, e del comune sogno deformato che è l’appagamento camuffato di un desiderio rimosso, al sogno d’angoscia si adatta soltanto la formula che è l’aperto appagamento di un desiderio rimosso” (Freud, 1915, pg.196).</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">In quest’ultimo caso, infatti, il desiderio è talmente impetuoso da sopraffare le forze della censura e, nello stesso tempo, è assolutamente inaccettabile, creando, così, le condizioni per un intenso conflitto mentale che può essere risolto soltanto rinunciando allo stato di sonno e generando angoscia.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Su queste basi Jones (1959) ha avanzato l’ipotesi che l’angoscia e il terrore sono nell’incubo così intensi poiché hanno origine nella zona della massima “rimozione”, ossia, quella che riguarda le tendenze incestuose della vita sessuale.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">In altri termini, l’incubo, secondo il modello psicoanalitico, “è essenzialmente dovuto a un intenso conflitto mentale che si accentra su una componente rimossa dell’istinto psico-sessuale, fondamentalmente legata all’incesto, e che può essere provocato da qualsiasi stimolo periferico che serve a scatenare la massa dei sentimenti rimossi” (Jones, 1959, pg.52).</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">A ben vedere, questa teoria si fonda, quindi, su una sintesi creativa di idee, credenze ed ipotesi che circolavano, in quel periodo, nei vari ambienti scientifici e non.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;"><span> </span>Il pensiero psicoanalitico, infatti, da una parte ha colto l’importanza che le credenze popolari attribuivano all’elemento sessuale dell’incubo, pur considerando le superstizioni una proiezione nel mondo esterno di desideri inconsci, dall’altra ha integrato, ridimensionandole, le teorie mediche sul ruolo che gli stimoli periferici di natura organica svolgono nello scatenare l’incubo.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;"><span> </span>A conferma di questa teoria, inoltre, alcuni autori hanno richiamato l’attenzione su tre elementi: il carattere sessuale che le varie tradizioni folcloristiche hanno sempre attribuito al demone dell’incubo; i profondi legami che il termine ha con quello di “Incubazione”, procedura diffusa nell’antica Grecia, a Roma e in altre parti del mondo, che consisteva nell’unione di un essere umano con una divinità, durante il sonno e all’interno di un tempio; ed infine la comparsa caratteristica degli incubi, nel bambino, a partire dalla fase edipica. </div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Il sogno d’angoscia più conosciuto nella storia della psicoanalisi è, probabilmente, quello raccontato nel “caso dell’uomo dei lupi” (Freud, 1914) che evidenzia un meccanismo particolare nella rappresentazione onirica delle paure, ossia l’associazione fra esseri umani e animali, presente, tra l’altro, anche nel “caso del piccolo Hans”.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Jones (1959) ha osservato come nel sogno le emozioni inconsciamente rappresentate da un animale derivano sempre da pensieri, desideri rimossi e terrori che riguardano un essere umano, in particolare un genitore.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">“La presenza di un animale in un sogno denota sempre l’influenza di un complesso incestuoso” (Jones, 1959, pg.228).<span> </span></div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Questa trasformazione, caratteristica di sogni e miti, da una forma umana in una forma animale indicherebbe, secondo una lettura acontestuale e simbolica dell’evento psichico, un conflitto fra le forze contrastanti del desiderio e dell’inibizione, soprattutto quando il passaggio è da un estremo di attrazione e bellezza ad uno di repulsione e bruttezza.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">L’oggetto visto nell’incubo, pertanto, incute paura e repulsione, semplicemente, perché rappresenta un desiderio inconscio inaccettabile a cui non è permesso di manifestarsi nella sua vera forma.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Anche i sogni di punizione, con contenuti sadici e masochistici, peraltro, vengono considerati come realizzazioni di desideri che, tuttavia, non riguardano impulsi istintuali, ma impulsi critici, censori e punitivi derivanti dal Super-Io.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Interessanti risultano anche le posizioni di alcuni teorici delle relazioni oggettuali (Fairbairn, Klein, Guntrip), i quali sostengono che i soggetti sofferenti da incubi cronici tendono spesso a rivelarsi fallimenti della <i>posizione depressiva</i>, che trovano l’ambivalenza, la perdita, il senso di colpa e il dolore intollerabili.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Nell’incubo il soggetto regredisce dalla paura di perdere o distruggere gli oggetti da cui dipende, ad un terrore più basilare in cui tutto diventa persecutorio e l’Io è minacciato di annichilimento (Kavaler, 1987).</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">È il mondo pre-edipico che emerge vividamente nell’incubo, in cui la preoccupazione, l’empatia, il senso di colpa e il prendersi cura degli altri sono temporaneamente perduti, per lasciare spazio alle angosce schizo-paranoidi di persecuzione, soffocamento, intrappolamento e disintegrazione dovute agli oggetti cattivi.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Spesso queste ansie schizoidi sono rappresentate con incubi di vuoto, di isolamento o di oceani scuri che minacciano di annichilire e annullare l’Io.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;"><span> </span>Questo punto di vista, dunque, considera l’incubo una via d’accesso importante nello studio degli aspetti più profondi dello sviluppo delle relazioni oggettuali.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">“<i>The return to the paranoid-schizoid position, within the nightmare, can be used therapeutically to get back to the deepest fears of self-annihilation <b>– </b>fears that can continually undermine depressive-position processes of love, integration, reparation, and differentiation</i>” [La regressione alla posizione schizo-paranoide, nell’incubo, può essere usata terapeuticamente per ritornare alle più profonde paure di annichilimento dell’Io <b>– </b>paure che possono continuamente minare i processi della posizione depressiva dell’amore, integrazione, riparazione, e differenziazione] (Kavaler, 1987, pg.39).</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Una teoria diversa è, invece, quella proposta da Hadfield (1968), che considera i sogni come la riproduzione di problemi insoluti.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Nell’incubo, in particolare, di fronte alla mancanza di possibili soluzioni al problema, si crea un conflitto psichico di dimensioni talmente allarmanti e terrificanti da determinare il risveglio angosciato della persona.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">L’autore distingue tre principali tipi di incubi. </div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Il primo tipo è di origine traumatica e deriva da esperienze oggettive vissute durante l’infanzia o l’età adulta.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">In questo caso l’incubo è la riproduzione di esperienze traumatiche passate alle quali l’individuo non aveva saputo rispondere in modo adeguato.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Fanno parte di questa categoria gli incubi dei reduci di guerra e di individui che hanno vissuto particolari violenze, catastrofi o altri tipi di stress intensi, quali la perdita di una persona cara, malattie, operazioni chirurgiche, a volte anche licenziamenti o trasferimenti non voluti.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Questi sogni rappresentano un indicatore del “Disturbo post-traumatico da stress” (DSM IV).</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Alcuni autori (Kellerman, 1987) comprendono in questa categoria anche tutta una serie di sogni che avvengono durante il trattamento psicoanalitico, nei quali riemerge il ricordo di eventi traumatici rimossi accaduti durante l’infanzia.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Il secondo tipo è rappresentato da incubi che derivano dal timore che la persona ha dei propri impulsi, sia sessuali che aggressivi.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">I sensi di colpa e, nel bambino, lo sviluppo di una coscienza morale determinano, infatti, la proiezione, la personificazione e l’oggettivazione di emozioni sessuali, collera o paura in quella svariata moltitudine di mostri che popolano gli incubi.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Anche il terrore di disastri impellenti, malattie, o le sensazioni di soffocamento e abbandono che caratterizzano molti sogni d’angoscia sono, secondo l’autore, di natura morale, quale temuta conseguenza e punizione per i desideri proibiti.<span> </span></div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Il terzo tipo, infine, deriva dall’oggettivazione di sensazioni organiche disordinate.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Ragni e granchi, per esempio, “sono la rappresentazione dei nostri disturbi addominali oggettivati e proiettati sotto queste forme” (Hadfield, 1968, pg.250).</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Emozioni molto intense spesso di natura sessuale, infatti, si accompagnano a particolari processi fisiologici che vengono rappresentati nel sogno attraverso queste creature. I granchi allora, secondo l’autore, deriverebbero dalla contrazione dei muscoli addominali dovuta ad eccitamento sessuale, mentre i ragni, con le loro numerose zampe, descriverebbero quelle sensazioni che a seguito dell’orgasmo si propagano ed estendono a tutto il corpo.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">“Gli incubi si presentano così perché queste creature sono le rappresentazioni più adatte per queste sensazioni organiche, altrimenti impossibili a descriversi; e l’universalità di queste immagini dipende dall’universalità dei mutamenti fisiologici che danno luogo a queste rappresentazioni mentali” (Hadfield, 1968, pg.256).</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Ricerche più recenti (Hartmann, 1984; Kellerman, 1987), peraltro, hanno confutato alcune spiegazioni biologiche dell’incubo, che indicavano come fattore eziologico la deprivazione d’ossigeno o disturbi gastrici, rivolgendo invece l’attenzione ad alterazioni dei livelli di neurotrasmettitori quali la dopamina e acetilcolina.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Per concludere vorrei accennare brevemente alla teoria di Hartmann (1984), in cui il soddisfacimento di un desiderio non viene considerato un elemento centrale nel determinarsi dell’incubo.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">L’autore, infatti, ha individuato nei limiti o confini più o meno netti che le persone hanno fra il sogno e la veglia, la fantasia e la realtà o il razionale e l’irrazionale, un fattore importante da cui dipende la frequenza e l’entità degli incubi.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">“<i>I suggested that artists, on the one hand, and schizophrenics, on the other, have thin boundaries and that persons with frequent nightmares can be characterized as persons having unusually thin boundaries in a number of senses</i>” [Ho suggerito che gli artisti, da una parte, e gli schizofrenici, dall’altra, abbiano restrizioni esigue e che le persone con frequenti incubi possono essere considerate come persone che hanno straordinariamente<span> </span>pochi limiti in un grande numero di sensi] (Hartmann, 1984, pg.136). In particolare, i tipi di confini più o meno definiti cui l’autore fa riferimento, riguardano non solo quelli fra l’Io e l’Es, o la realtà e il sogno, ma comprendono anche confini come quelli interpersonali, di identità sessuale, o legati all’immagine corporea.</div><div class="MsoBodyText" style="text-indent: 22.7pt;">Le teorie proposte hanno un valore soprattutto storico, culturale e antropologico, ma spesso nel tentativo di offrire una spiegazione generale ed a-contestuale del fenomeno psichico “incubo” tendono a tralasciare il significato più specifico che questo acquista per il sognatore e il valore che il racconto di un incubo ha all’interno di una relazione ed a partire da eventi, cornici, situazioni, obiettivi ed interlocutori particolari.<span> </span>La rappresentazione simbolica, sotto forma di racconto, di un qualsiasi evento psichico, infatti, nasce sempre all’interno di uno specifico contesto relazionale che, a partire dalle sue regole ed obiettivi, ne influenza profondamente la narrazione. Pensiamo, in particolare, a ciò che avviene nel colloquio clinico, dove un’infinità di emozioni, fantasie e ricordi si trasformano in una infinità di storie co-prodotte dalla coppia terapeutica in seduta. Il colloquio clinico diventa allora la cornice entro cui particolari emozioni, ricordi, fantasie, sogni o incubi si trasformano in racconti pensati e condivisi nella relazione tra lo psicologo ed il cliente. Da questo punto di vista, i mostri, le creature terrificanti o le situazioni angosciose che popolano i racconti entro il colloquio rappresentano emozioni temute dalla persona che acquistano “corpo” e rappresentabilità, nella loro forma paurosa, in modo tale da poter essere pensate, condivise, scambiate e decostruite all’interno della relazione terapeutica con lo psicologo. </div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><b><span style="font-size: 14pt;">Riferimenti bibliografici</span></b></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">-</span><b><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Bruner J.</span></b><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">, (1991): <i>La costruzione narrativa della <<realtà>></i>, in </span><b><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Ammaniti, Stern</span></b><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;"> (a cura di) <i>Rappresentazioni e narrazioni</i>, Laterza, Bari</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">-<b>Ginzburg C</b>.,(1986): <i>Miti, emblemi e spie. Morfologia e storia</i>, Einaudi, Torino</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">-<b>Hadfield A.</b>, (1968): <i>Sogni e incubi in psicologia</i>, Giunti, Firenze</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">-<b>Harré R., Secord P.F.</b>, (1972): <i>The explanation of social behaviour</i>,<span> </span>Basil Blackwell, Oxford (tr. It. <i>La spiegazione del comportamento sociale</i>, Il Mulino, Bologna, 1974)</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">-<b>Hartmann E</b>., (1984): <i>The nightmare. </i></span><i><span lang="EN-GB" style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">The Psychology and Biology of Terrifying Dreams</span></i><span lang="EN-GB" style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">, Basic Books, New York</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">-<b>Jodelet D</b>.(a cura di), (1989): <i>Le rappresentazioni sociali</i>, Liguori, Napoli</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">-<b>Jones E.</b>, (1959): <i>Psicoanalisi dell’incubo</i>, Newton, Roma, tr. it. 1978</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span lang="EN-GB" style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">-<b>Kavaler S</b>., (1987): <i>Nightmares and Object Relations Theory</i>, in <b>Kellerman H.</b><i> The nightmare. Psychological and biological foundations</i>, Columbia University Press, New York </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><b><span lang="EN-GB" style="font-size: 14pt; line-height: 150%;"><span> </span></span></b><span lang="EN-GB" style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">-<b>Kellerman H.</b>, (1987): <i>The nightmare. Psychological and biological foundations</i>, Columbia University Press, New York</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">-<b>Koch Candela M. C.</b>, (1998): <i>Nel tempio nel bosco. Mito e fiaba nella conversazione terapeutica</i>, Cortina, Milano</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">-<b>Marcelli D.</b>, (1997): <i>Psicopatologia del bambino</i>, Masson, Milano</span></div>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-80922101410737077972011-05-30T06:29:00.000-07:002011-05-30T06:29:03.306-07:00LA GESTIONE DELL’ANSIA E DELLO STRESS AL LAVORO<!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> <w:Zoom>0</w:Zoom> <w:HyphenationZone>14</w:HyphenationZone> <w:PunctuationKerning/> <w:ValidateAgainstSchemas/> <w:SaveIfXMLInvalid>false</w:SaveIfXMLInvalid> <w:IgnoreMixedContent>false</w:IgnoreMixedContent> <w:AlwaysShowPlaceholderText>false</w:AlwaysShowPlaceholderText> <w:Compatibility> <w:BreakWrappedTables/> <w:SnapToGridInCell/> <w:WrapTextWithPunct/> <w:UseAsianBreakRules/> <w:DontGrowAutofit/> </w:Compatibility> <w:BrowserLevel>MicrosoftInternetExplorer4</w:BrowserLevel> </w:WordDocument> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 9]><xml> <w:LatentStyles DefLockedState="false" LatentStyleCount="156"> </w:LatentStyles> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 10]> <style>
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<div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><b>“<i>Non è la grande cosa che ti fa andare al </i></b></div><div class="MsoNormal"><b><i>manicomio…</i></b></div><div class="MsoNormal"><b><i>No, è la serie continua di piccoli accidenti</i></b></div><div class="MsoNormal"><b><i>che ti fa andare al manicomio.</i></b></div><div class="MsoNormal"><b><i>Non la morte del tuo amore, </i></b></div><div class="MsoNormal"><b><i>ma il laccio della scarpa che ti si spezza</i></b></div><div class="MsoNormal"><b><i>proprio all’ultimo momento”.</i></b></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><b><span> </span>C. Bukowski</b></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><b>La parola <i><span>“Stress”</span></i> è spesso usata, quasi indifferentemente per indicare:</b></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><b><span style="font-family: Symbol;"><span>§</span></span> Sia lo <span>STIMOLO</span> (l’evento critico ambientale);</b></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><b><span style="font-family: Symbol;"><span>§</span></span>Sia la <span>RISPOSTA </span>(la reazione psico-fisiologica del soggetto sottoposto allo stimolo).</b></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal">La terminologia scientifica, per maggior chiarezza, distingue invece fra:</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><b><i><span> </span>STRESSOR</i></b> <span> </span>l’agente stressante</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span> </span><b><i>STRESS <span> </span></i></b>la reazione psico- fisiologica dell’individuo </div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal">Hans Selye (1936) studiando le risposte fisiologiche di animali da laboratorio, a seguito della somministrazione nel loro organismo di vari tipi di agenti nocivi, emerse un dato sorprendente…<span> </span></div><div class="MsoNormal">…la tendenza di queste cavie a manifestare un insieme assai <b>omogeneo</b> di reazioni e cambiamenti morfologici e patologici, <span> </span><b>indipendentemente</b> dal tipo di noxa utilizzato!</div><div class="MsoNormal">Questi agenti stressanti,</div><div class="MsoNormal"><span> </span>per quanto<b> differenti,</b></div><div class="MsoNormal">avevano un aspetto in comune:</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;"><b>Rappresentavano una NOVITA’ a cui l’organismo era chiamato ad adattarsi</b>…</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal">Lo <b>Stress</b> o <b>SINDROME GENERALE </b>di <b>ADATTAMENTO </b>(<b>SGA</b>) è allora la condizione <b><i>aspecifica</i></b> e sempre uguale in cui si trova l’organismo quando deve adattarsi a <b><i>qualsiasi</i></b> richiesta (demand) proveniente dall’ambiente e con carattere di novità!</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><b><i><span style="font-family: Symbol;"><span>¨</span></span>Reazione aspecifica </i></b>visto che le modificazioni psico-fisiologiche dell’organismo sono simili e </div><div class="MsoNormal">prescindono dalla natura dello <b><i>stressor</i></b> che le ha provocate.</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><b><i><span style="font-family: Symbol;"><span>¨</span></span>A qualsiasi richiesta </i></b>indica che <b><i>stressor</i></b> molto diversi sono in grado di attivare una medesima</div><div class="MsoNormal">reazione dell’organismo.</div><div class="MsoNormal">Sono allora la DURATA e l’INTENSITA’ dello stimolo che denotano le sue potenzialità stressogene.</div><div class="MsoNormal"><span> </span><span> </span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal">La reazione di Stress o <b><i>SGA </i></b>si articola in tre fasi:</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><ol start="1" style="margin-top: 0cm;" type="1"><li class="MsoNormal"><b><i>Reazione di allarme </i></b>che<b><i> </i></b>comprende la fase di shock rispetto allo stressor e un secondo momento reattivo di controshock;</li>
</ol><div class="MsoNormal"><br />
</div><ol start="2" style="margin-top: 0cm;" type="1"><li class="MsoNormal"><b><i>Fase di resistenza </i></b>in cui l’organismo tenta di ristabilire l’equilibrio ed un nuovo adattamento;</li>
</ol><div class="MsoNormal"><br />
</div><ol start="3" style="margin-top: 0cm;" type="1"><li class="MsoNormal"><span>Esaurimento<b><i> </i></b></span>se lo sforzo adattivo non da risultati o intervengono nuovi stressor, l’individuo può non essere più in grado di reagire.<span> </span></li>
</ol><div class="MsoNormal">Lo STRESS è pertanto una reazione psico-fisiologica</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 180pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><b><i>ADATTIVA</i></b></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 180pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><b><i>CARATTERISTICA DELLA VITA</i></b></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 180pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><b><i>INEVITABILE</i></b></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal">Tuttavia assume un significato patogenetico</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><b><i>Quando è prodotta in modo troppo intenso;</i></b></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><b><i>Per lunghi periodi di tempo;</i></b></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><b><i>Non si accompagna a risposte efficaci.</i></b></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal">Un buon modello di studio dello stress negli individui deve infatti considerare alcuni fattori:</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>La presenza di <b><u>stressor psicologici</u></b> e <b><u>sociali</u></b> oltre che fisici e biologici;</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>Il <b><u>diverso significato</u></b> che uno stressor ha nelle varie persone.</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal">Nell’uomo la gamma complessa di funzioni:</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><b><i>Simbolico-emozionali</i></b> </div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><b><i><span> </span>Cognitive superiori</i></b> (di astrazione ed elaborazione di stimoli e informazioni);</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><b><i><span> </span>Affettivo-relazionali </i></b>;</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal">Rendono il rapporto fra <b>stressor</b> e <b>SGA</b> meno scontato e prevedibile… </div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal">La CRISI è la condizione di disorganizzazione psicologica conseguente a:</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 72pt; text-indent: -18pt;"><span>1)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Stress particolarmente acuti e inaspettati;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 72pt; text-indent: -18pt;"><span>2)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Stress meno intensi ma frequenti e ripetuti.</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><i>Il termine “Crisi” deriva etimologicamente dal greco “Krinein”: decidere, giudicare. </i>Indica un occasione di <b><u>scelta</u></b> in una situazione nuova, di transizione per il soggetto…</div><div class="MsoNormal">che può tradursi:</div><ol start="1" style="margin-top: 0cm;" type="1"><li class="MsoNormal">nel ripristino della situazione precedente;</li>
</ol><div class="MsoNormal"><br />
</div><ol start="2" style="margin-top: 0cm;" type="1"><li class="MsoNormal"><span> </span>in un miglior adattamento con l’acquisizione di equilibri più avanzati;</li>
</ol><div class="MsoNormal"><br />
</div><ol start="3" style="margin-top: 0cm;" type="1"><li class="MsoNormal"><span> </span>in una reazione disfunzionale persistente.</li>
</ol><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal">EUSTRESS indica una condizione in cui l’energia e l’attività del soggetto ben direzionate e<span> </span>vi è sintonia fra obiettivi/scopi individuali e richieste ambientali.</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal">DISTRESS indica una discrepanza fra progetti/azioni del soggetto e risorse/richieste ambientali.</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal">Che rapporto hanno allora <span> </span>lo <b><i>stress</i></b> e le condizioni di <b><i>crisi</i></b> con l’<b><i>ansia</i></b>?</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal">L’<b><i>ansia</i></b> è espressione di uno stato di disequilibrio omeostatico (Bilancia Vegetativa) prolungato, prodotto da una sorta di conflitto–indecisione che si collocherebbe nell’area compresa fra il <i>riconoscimento dello stimolo</i> e la <i>programmazione della risposta. </i><span>Il vissuto soggettivo negativo presente nell’ansia serve infatti a sollecitare una risposta che riduca il livello di arousal-attivazione dell’organismo. </span></div><div class="MsoNormal"><span>Una sorta di <b>CRISI </b>di<b> DECISIONALITA’ </b>nel complesso rapporto fra l’individuo<span> </span>ed il contesto<b><span> </span></b>sociale di appartenenza. </span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal">Diamo allora un occhiata ai processi di adattamento dell’individuo nelle organizzazioni lavorative:</div><div class="MsoNormal"><span>Le potenziali fonti di<span> </span>stress lavorativo nelle organizzazioni sono</span>…</div><ol start="1" style="margin-top: 0cm;" type="1"><li class="MsoNormal"><b>Fonti intrinseche al lavoro:</b></li>
</ol><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span>Condizioni fisiche (rumorosità, vibrazioni, illuminazione);</span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span>Eccesso/carenza di lavoro;</span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span>Pressione temporale (tempi incalzanti/morti);</span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><ol start="2" style="margin-top: 0cm;" type="1"><li class="MsoNormal"><b>Ruolo nell’organizzazione:</b></li>
</ol><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>Stress da ambiguità del ruolo (poca chiarezza su obiettivi, potere, responsabilità e scopi del compito);</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span> </span>Stress da conflitto di ruolo (richieste organizzative incompatibili con il ruolo);</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span> </span>Stress da responsabilità del ruolo (nei confronti di cose o persone).</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><ol start="3" style="margin-top: 0cm;" type="1"><li class="MsoNormal"><b>Sviluppo di carriera: </b></li>
</ol><div class="MsoNormal" style="margin-left: 18pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>Mancanza di sicurezza del lavoro;</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>Sovra-promozioni (con conseguente timore e senso di inadeguatezza);</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>Retrocessione (con frustrazione, insoddisfazione, demotivazione);</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>Ambizioni deluse.</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><ol start="4" style="margin-top: 0cm;" type="1"><li class="MsoNormal"><b>Relazioni al lavoro:</b></li>
</ol><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>Difficoltà relazionali con capi, subordinati o colleghi </div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>Difficoltà a delegare responsabilità, convenire su obiettivi.</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><ol start="5" style="margin-top: 0cm;" type="1"><li class="MsoNormal"><b>Cultura e clima organizzativo:</b></li>
</ol><div class="MsoNormal" style="margin-left: 18pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>Coinvolgimento o meno nei processi decisionali;</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>Senso di appartenenza ed investimento aziendale;</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>Cultura adempitiva dell’organizzazione.</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><b><span> </span>EFFETTI:</b></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><b>Individuali:</b></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>Malattie coronariche;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>Umore depresso e insoddisfazione;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>Scarse aspirazioni professionali</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><b>Organizzativi:</b></div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>Assenteismo;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>Alto avvicendamento;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>Conflitti interni;</div><div class="MsoNormal" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: "Comic Sans MS";"><span>•<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span>Scarso controllo qualità. </div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><br />
</div>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-63449091187698835942011-05-27T13:05:00.000-07:002011-05-27T13:05:08.615-07:00IL PENSIERO NARRATIVO<!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> <w:Zoom>0</w:Zoom> <w:HyphenationZone>14</w:HyphenationZone> <w:PunctuationKerning/> <w:ValidateAgainstSchemas/> <w:SaveIfXMLInvalid>false</w:SaveIfXMLInvalid> <w:IgnoreMixedContent>false</w:IgnoreMixedContent> <w:AlwaysShowPlaceholderText>false</w:AlwaysShowPlaceholderText> <w:Compatibility> <w:BreakWrappedTables/> <w:SnapToGridInCell/> <w:WrapTextWithPunct/> <w:UseAsianBreakRules/> <w:DontGrowAutofit/> </w:Compatibility> <w:BrowserLevel>MicrosoftInternetExplorer4</w:BrowserLevel> </w:WordDocument> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 9]><xml> <w:LatentStyles DefLockedState="false" LatentStyleCount="156"> </w:LatentStyles> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 10]> <style>
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</style> <![endif]--> <div class="MsoNormal"><b>1. ASPETTI GENERALI</b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">Gli individui organizzano la loro esperienza, il ricordo degli avvenimenti, la conoscenza della propria cultura e attribuiscono significato ai comportamenti sociali prevalentemente attraverso racconti, storie, miti, ragioni per fare e per non fare… in generale sotto forma di <i>narrazioni</i>.</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">Narrare vuol dire creare storie che consentono di attribuire e trasmettere significati circa gli eventi umani.</div><div class="MsoBodyText"><b>La narrazione è uno strumento essenziale attraverso cui l’individuo può conoscere, organizzare e rendere comunicabile la sua esperienza personale all’interno di una relazione</b>. È, in altri termini, un nodo vitale fra il <b><i>dentro/psichico</i></b> ed il <b><i>fuori/ambiente</i></b>, che consente all’individuo di definire e dare senso alle proprie e alle altrui esperienze, vissuti emotivi, intenzioni.</div><div class="MsoBodyText">La narrazione pone, pertanto, in relazione il mondo canonico e consensuale della cultura con quello privato e idiosincratico delle credenze, dei desideri, delle fantasie dei singoli attori.</div><div class="MsoBodyText"><br />
</div><div class="MsoBodyText">I <b>racconti</b> organizzano e rappresentano la realtà secondo principi e procedure specifiche e diverse rispetto a quelle che caratterizzano la conoscenza di tipo logico-scientifica, in particolare, mantenendo aperto il significato del discorso, lasciando ampio spazio alle possibilità interpretative dell’interlocutore e offrendo un criterio di lettura fondato sulla verosimiglianza più che sulla verificabilità.<span> </span></div><div class="MsoBodyText">Nello specifico, la <i>costruzione narrativa della</i> <i>realtà</i> si fonda su 10 caratteristiche del racconto:</div><div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span>1)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b>Diacronicità narrativa: </b>Il racconto è un esposizione di eventi che ricorrono nel tempo ed ha per sua natura una durata;</div><div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span>2)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b>Particolarità: </b>Ci si riferisce a fatti ed avvenimenti particolari;</div><div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span>3)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b>Necessario riferimento a stati intenzionali:</b> L’oggetto del racconto sono persone che operano in determinate situazioni secondo specifici desideri, piani ed intenzioni;</div><div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span>4)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b>Componibilità ermeneutica: </b>Gli eventi del racconto non sono semplicemente selezionati e collocati in un certo ordine, ma devono essere fatti vivere come “funzioni” della struttura narrativa nel suo complesso;</div><div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span>5)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b>Canonicità e violazione:</b> Una storia, perché valga la pena di essere raccontata, dovrà avere come oggetto il modo in cui un copione canonico implicito è stato violato;</div><div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span>6)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b>Referenzialità: </b>Il <b><i>senso</i></b> di un racconto, preso nella sua interezza, può alterare la <b><i>referenzialità</i></b> delle singole parti che lo compongono nella misura in cui queste diventano funzioni dell’insieme;</div><div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span>7)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b>Appartenenza ad un genere:</b> I generi letterari forniscono a scrittore e lettore schemi ampi e convenzionali, capaci di limitare il compito ermeneutico di dare senso agli accadimenti;</div><div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span>8)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b>Normatività: </b>La storia fonda<b> </b>la sua raccontabilità<b> </b>sulla violazione di una aspettativa convenzionale;</div><div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span>9)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b>Sensibilità al contesto e negoziabilità:</b> È la dipendenza della narrazione dal contesto in cui nasce a farne uno strumento di negoziazione culturale fondamentale;</div><div class="MsoBodyText" style="margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span>10)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b>L’accumulazione narrativa:</b> La creazione di una cultura si basa sulla capacità “locale” di accumulare storie di avvenimenti passati entro una struttura diacronica che ne consenta la continuità con il presente.<span> </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">Possiamo, allora, considerare il racconto anche come <i>un modo di utilizzare il linguaggio</i> in cui metafore, metonimie e sineddoche consentono un ampliamento dell’orizzonte delle possibilità e di esplorazione dell’intero ventaglio dei legami tra l’eccezionale e l’ordinario.</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><b>2. COME NASCE UN RACCONTO: </b></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><b>I MECCANISMI DI TRASFORMAZIONE NARRATIVA</b></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">Le trasformazioni narrative sono processi di elaborazione simbolica di eventi psichici, attraverso cui un emozione, un ricordo, un sogno diventano racconto, una rappresentazione comunicabile e condivisibile di un esperienza personale entro una relazione.</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">La rappresentazione di un evento psichico prende vita sempre all’interno di un contesto comunicativo che definisce il “come” della narrazione, ovvero le regole che presiedono alla messa in scena del racconto.</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">Accanto al concetto di <i>narrazione</i>, dunque, l’altro elemento centrale nel discorso è quello di <i>contesto</i>, inteso come principio ordinatore che orienta e da forma ai racconti dei due narratori.</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">Non esiste , infatti, una narrazione al di fuori di un contesto e di una relazione che definiscono le regole, gli obiettivi, i tempi e le forme di rappresentazione simbolica di qualsiasi esperienza privata.</div><div class="MsoBodyText">Seguire i percorsi di trasformazione di un evento psichico significa allora osservare come la sua rappresentazione mentale diventa comunicabile all’interno di una relazione e di uno specifico contesto, grazie alle caratteristiche del medium linguistico che si utilizza (un racconto, un fumetto, una poesia, ecc.) e agli obiettivi dei narratori.</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><b>3. RACCONTARE SE STESSI</b></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">I racconti che la persona produce su se stessa possono essere considerati come un “testo del Sé” in cui eventi ed esperienze sono selezionati ed organizzati allo scopo di attribuire coerenza e continuità al Sé.</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">La caratteristica più evidente di questa autobiografia è rappresentata dal fatto che il soggetto vi agisce sia come attore che come narratore della storia.</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">Si possono così individuare due diverse prospettive temporali e narrative, definibili come il <b><i>presente narrativo </i></b>ed il <b><i>passato narrato. </i></b>Il primo è il tempo del discorso, il qui ed ora della narrazione, il secondo è il tempo della storia. </div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">In genere la fine della storia coincide con la fusione dei due ordini temporali, quindi anche dell’attore con il narratore.</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">Iscrivendo la propria storia entro una struttura narrativa, sembra che l’ordine temporale si trasformi in un ordine causale o teleologico degli eventi (<i>teleologia retrospettiva)</i>. In altre parole, l’ordine del tempo vissuto e del tempo narrato si fondono tra loro in maniera tale che il passato viene ordinato alla luce del presente.</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><b>Da qualunque punto io parta per tracciare la storia della mia vita, si tratta sempre di una narrazione che avviene <i>in questo momento</i> della mia vita.</b></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">Dalla fusione delle due prospettive temporali e narrative origina il <b><i>tempo autobiografico</i></b>, ossia il presente della storia della propria vita.</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><b>4. L’INCONTRO CON L’ALTRO</b></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">I racconti che prendono vita nel setting sono allora una funzione dell’interazione attuale fra i due “narratori” (pensiamo all’operatore e all’utente) e del <i>campo emotivo</i> inteso come matrice di infinite storie possibili.</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">Il campo viene inteso come lo spazio/tempo narrativo in cui nascono le storie che rappresentano l’alfabetizzazione delle emozioni presenti nella coppia.</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">Il concetto di campo risulta particolarmente interessante poiché evidenzia il ruolo che la situazione relazionale attuale ha nel suggerire ed organizzare le storie dei due narratori</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">È la specifica situazione relazionale vissuta nel setting che determina che cosa, in quel momento, i due narratori si racconteranno, con quali tempi ed attraverso quali modalità e generi narrativi.</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">Secondo questo punto di vista raccontando un esperienza personale il narratore rappresenta nella storia lo scenario emotivo vissuto nella relazione, nel momento in cui avviene il racconto.</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">Il racconto di un sogno, un ricordo o persino della trama di un film sono, allora, <i>derivati narrativi</i> che trasformano e rendono comunicabili le emozioni che in quel momento attraversano il campo relazionale.</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 10pt; line-height: 150%;">-<b>Baranger W., Baranger M.</b>, (1961): <i>La situazione psicoanalitica come campo bipersonale</i>, Raffaello Cortina, Milano, tr. it. 1990</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 10pt; line-height: 150%;">-<b>Brockmeier J.</b>, (1997): <i>Il significato di “sviluppo” nella narrazione autobiografica</i>, in <b>Smorti A</b>., <i>Il Sé come testo</i>, Giunti, Firenze</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 10pt; line-height: 150%;">-<b>Bruner J.</b>, (1990): <i>La ricerca del significato. Per una psicologia culturale</i>, Boringhieri, Torino</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-size: 10pt; line-height: 150%;">-<b>Carli R, Paniccia R.M. </b>(2002): <i>L’analisi emozionale del testo</i>, Franco Angeli, Milano</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 10pt; line-height: 150%;">-<b>Corrao F.</b>, (1991): <i>Trasformazioni narrative</i>, in <b>Ammaniti M., Stern D</b>., Rappresentazioni e narrazioni, Laterza, Roma</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 10pt; line-height: 150%;">-<b>Cotugno A., Malagoli Togliatti M.</b>, (1998): <i>Scrittori e psicoterapia.La creatività della relazione terapeutica</i>, Maltemi</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 10pt; line-height: 150%;">-<b>Ferro A.</b>, (1992): <i>La tecnica nella psicoanalisi infantile. Il bambino e l’analista: dalla relazione al campo emotivo</i>, Cortina, Milano</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 10pt; line-height: 150%;">-<b>Ferro A.,</b> (1996): <i>Nella stanza d’analisi</i>, Cortina, Milano</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 10pt; line-height: 150%;">-<b>Ferro A.</b>, (1999): <i>La psicoanalisi come letteratura e terapia</i>, Cortina, Milano</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 10pt; line-height: 150%;">-<b>Koch Candela M. C.</b>, (1998): <i>Nel tempio nel bosco. Mito e fiaba nella conversazione terapeutica</i>, Cortina, Milano</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 10pt; line-height: 150%;">-<b>Levorato M. C.</b>, (1988): <i>Racconti storie e narrazioni. I processi di comprensione dei testi,</i> Il Mulino, Bologna</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-size: 10pt; line-height: 150%;">-<b>Luborsky L., Crits-Christoph P. </b>(1990): <i>Capire il transfert</i>, Cortina, Milano</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 10pt; line-height: 150%;">-<b>Lucariello J</b>., (1997) : <i>Dalla narrazione all’ironia. Lo sviluppo del ragionamento metarappresentativo</i>, in <b>Smorti A</b>., <i>Il Sé come testo</i>, Giunti, Firenze</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 10pt; line-height: 150%;">-<b>Manfrida G.</b>, (1998): <i>La narrazione psicoterapeutica</i>, Franco Angeli, Milano</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 10pt; line-height: 150%;">-<b>Montesarchio G., Buccoleri G.,</b> (1999): <i>Fabula rasa</i>, Franco Angeli, Milano</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 10pt; line-height: 150%;">-<b>Morpurgo E.,</b> (1998): <i>Chi racconta a chi? Il dialogo psicoanalitico e gli enigmi della soggettività</i>, Franco Angeli, Milano</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%;"><span style="font-size: 10pt; line-height: 150%;">-<b>Morpurgo E., Egidi V.</b>,(1987): <i>Psicoanalisi e narrazione</i>, Lavoro Editoriale, Ancona</span></div>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-77387011863513824742011-05-26T09:11:00.000-07:002011-05-26T09:11:51.897-07:00GIOVANI E ALCOL: ALCUNE RIFLESSIONI<h1><span style="font-size: small;"><b><span style="line-height: 150%;">1. </span>Uno sguardo alla letteratura</b><b><span style="line-height: 150%;"></span></b></span></h1><div class="MsoBodyText" style="line-height: normal;"><span style="font-size: small;">È tra il 18° e il 19° secolo che il mondo scientifico comincia ad occuparsi del complesso rapporto tra problemi alcolcorrelati e salute.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">L’Alcologia rappresenta, infatti, un campo di ricerca piuttosto recente, se si pensa che l’uso (e abuso) di bevande alcoliche da parte dell’uomo risale a circa 30000 anni fa, ovvero alla scoperta delle tecniche di fermentazione.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Fattori come la minor durata media della vita, la bassa relazione tra consumo di alcol e incidenti sul lavoro (prima della Rivoluzione Industriale), l’assenza di incidenti stradali (prima della diffusione dei veicoli a motore), ma anche i minori rischi di emarginazione sociale nei contesti rurali, hanno determinato, nei secoli passati, questa scarsa attenzione rivolta all’alcolismo e ai problemi ad esso correlati.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Sono le profonde trasformazioni dei “modi di vivere” avvenute negli ultimi due secoli che, in seguito a pressanti esigenze di natura giuridica, socio-sanitaria, culturale ed economica, hanno imposto la necessità di occuparsi dei “danni” causati dall’alcol.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">La complessità del fenomeno oggetto di studio, peraltro, ha suggerito la teorizzazione di una pluralità di ipotesi eziologiche con differenti modalità d’approccio e trattamento.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Alcuni studi hanno, così, focalizzato l’attenzione sull’importanza dei fattori genetici, individuando una presunta familiarità nei confronti dell’abuso di alcol.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Ricerche di tipo psicologico, invece, hanno definito le caratteristiche della “personalità alcolista” e di quella “pre-alcolica”, nel tentativo di individuare quei fattori psicologici presumibilmente legati ad una condizione di rischio. Sono state, così, enunciate differenti teorie sul “perché psicologico” dell’abuso da parte del singolo, spesso, purtroppo, trascurando una adeguata comprensione dei significati sociali e culturali che accompagnano l’uso di sostanze alcoliche, nelle loro dimensioni rituali, relazionali e di iniziazione.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Altre ricerche, infine, hanno approfondito l’influenza svolta da fattori socio-ambientali e culturali sul bere smodato, sia individuando complessi legami fra condizioni di vita e modi di bere, sia distinguendo le varie culture in relazione all’atteggiamento “permissivo”, “ambivalente” o “proibizionista” da esse espresso nei confronti dell’alcol.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Modelli di studio di impronta sociologica hanno, così, individuato nel disadattamento sociale e nella precarietà delle condizioni di vita di larghe fasce della popolazione, importanti fattori di rischio nell’abuso di sostanze alcoliche.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Tuttavia, sono in molti ormai a ritenere che i vari approcci specialistici allo studio dell’alcolismo, seppure ricchi di interessanti proposte, hanno spesso rappresentato una limitazione alla comprensione della complessità del fenomeno, favorendo lo sviluppo di alcuni presupposti teorici dimostratisi errati, primo fra tutti la convinzione che esista una causa ultima o una gerarchia di cause generalizzabili, in grado di spiegare il fenomeno in tutte le situazioni.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">È indubbiamente più realistico ed euristicamente più vantaggioso considerare le problematiche alcolcorrelate a partire dal ruolo giocato da molteplici fattori socio-culturali, psicologici, psicopatologici e biologici, tra loro parzialmente o totalmente correlati a seconda del contesto e della situazione, in modi non certo prevedibili a priori.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">In questo senso, il termine “alcolismo”, definito al singolare, può indurre nell’errore metodologico di ritenere che esista un'unica condizione problematica, generalizzabile a tutti gli individui. Data la multifattorialità della situazione, a nostro avviso, può essere assai più utile parlare di “alcolismi” o meglio ancora di “culture e stili di vita alcolcorrelati”.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><b><span style="line-height: 150%;"> 2. Adolescenti e alcol</span></b></span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">In Italia il primo contatto con l’alcol avviene tra i 10 e i 15, se questo avviene all’interno della famiglia, tra i 16-17 anni, se la prima volta avviene all’interno del gruppo degli amici<a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftn1" name="_ftnref1" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[1]</span></span></span></a>. La ricerca ESPAD concorda con il dato riguardante l’età di iniziazione in famiglia, mentre indica come periodo critico, per il primo incontro con l’alcol fuori del contesto familiare, quello compreso tra i 13 e i 14 anni, cui fa seguito la prima ubriacatura, in un età leggermente più spostata nel tempo (15-16 anni)<a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftn2" name="_ftnref2" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[2]</span></span></span></a>. </span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">In Italia, dunque, il consumo di alcol in famiglia si verifica in età abbastanza precoce, in contesti legati alla tradizione, come feste e ricorrenze, tuttavia la precocità di iniziazione al consumo non è correlata con l’intensità del consumo in adolescenza, “bevitori moderati e forti non si differenziano sulla base dell’età del primo accostamento all’alcol”<a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftn3" name="_ftnref3" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[3]</span></span></span></a>. Questo dato non trova conferma in altre ricerche dove, invece, la precoce età di iniziazione viene messa in relazione con la probabilità di stabilizzazione del consumo<a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftn4" name="_ftnref4" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[4]</span></span></span></a>.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Una differenza invece si può registrare a seconda del contesto di iniziazione, vale a dire se è rappresentato dalla famiglia o dagli amici: i ragazzi che hanno conosciuto l’alcol nel primo contesto, anche nel caso in cui questo incontro sia avvenuto in età precoce, continuano a bere con la famiglia, lo fanno moderatamente, e in generale sono bevitori moderati, mentre coloro che hanno iniziato con gli amici continuano a bere maggiormente con questi e contano un numero maggiore di forti bevitori: “sembra prevalere in questi ultimi uno stile <i>nordico, </i>caratterizzato dal bere in gruppo con gli amici grandi quantità d’alcol, contrapposto ad uno stile<i> mediterraneo</i>, caratterizzato invece dal bere durante i pasti o nelle feste quantità più moderate e maggiormente distribuite nel tempo”<a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftn5" name="_ftnref5" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[5]</span></span></span></a>.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Emerge qui l’importante ruolo che gli adulti rivestono nel trasmettere modelli di comportamento relativi alla quantità d’alcol consumata e al modo di bere, infatti, quanto più l’abitudine al bere si apprende in un contesto familiare equilibrato e capace di trasmettere le norme del bere sociale, mantenendo il controllo sulla quantità, sulle circostanze e sulle modalità di assunzione, tanto minore è il pericolo di diventare etilisti. Al contrario, se i genitori, oltre ad essere astemi, condannano e contrastano in modo radicale l’uso di alcol da parte dei figli, è probabile che essi inizino a bere fuori del contesto famigliare e intraprendano stili di consumo problematici poiché non hanno appreso dagli adulti significativi le norme che regolano l’uso moderato<a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftn6" name="_ftnref6" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[6]</span></span></span></a>.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Un altro fattore che riveste grande importanza nel rapporto che il soggetto costruisce con l’alcol è il sistema culturale al quale appartiene: la cultura di appartenenza stabilisce la norma vigente per individuare i comportamenti alcolici ritenuti accettati e quelli ritenuti devianti in quella data cultura, la cultura infatti “attraverso la definizione di ciò che è normale e di ciò che non lo è entra in gioco nel processo di alcolizzazione e nel problema dell’alcolismo”<a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftn7" name="_ftnref7" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[7]</span></span></span></a>. È noto, infatti, come in alcune culture il bere in compagnia rappresenti un comportamento non solo accettato ma addirittura stimolato e come, al contrario, ci sia riprovazione per il bevitore solitario, ma ancor di più nei confronti di chi si astiene in determinate situazioni collettive: in questi casi il rifiuto può portare all’isolamento dell’individuo, che con la sua condotta di astensione si discosta dalle norme accettate dal gruppo. Ciò si può comprendere se si riconosce all’alcol il valore simbolico relazionale che acquista all’interno del gruppo, dove riveste il ruolo di ‘cibo sociale’, vale a dire un cibo che viene consumato insieme ad altre persone e che per le stesse ha sia un valore nutrizionale che simbolico; esso viene usato per creare ed esprimere relazioni tra le persone e la sua preparazione e consumo vengono controllati da precise norme<a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftn8" name="_ftnref8" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[8]</span></span></span></a>.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">In riferimento agli atteggiamenti nei confronti del bere presenti nelle diverse culture, R. Lionetti distingue tra quattro diverse tipologie culturali: le culture <i>astinenti</i>, dove l’uso dell’alcol è proibito, anche nell’uso moderato. In queste culture i problemi legati all’abuso di alcol sono più frequenti poiché non esistono norme che regolano il consumo alcolico e il soggetto non ha, quindi, un riferimento sul quale costruire il proprio modello comportamentale. Le culture <i>ambivalenti</i> sono caratterizzate da atteggiamenti nei confronti dell’alcol incerti: talvolta il bere è fortemente valorizzato, altre volte è oggetto di esplicita disapprovazione; l’ambivalenza in cui viene a trovarsi l’individuo, in assenza di un preciso orientamento culturale, può portare a instaurare stili di consumo problematici. Le culture <i>permissive</i> hanno sviluppato norme, consuetudini e sanzioni relative al bere accettate dal gruppo: in queste culture è incoraggiata un’assunzione di alcol moderata, soprattutto in occasioni conviviali, mentre è fortemente sanzionata l’ubriachezza o altre forme di comportamento alcolico ‘deviante’. Infine, nelle culture <i>ultrapermissive</i> l’atteggiamento favorevole nei confronti del bere ‘normale’ si estende ad alcune forme di comportamento legate al bere smodato, ma che rimangono sempre nell’ambito dei comportamenti controllati.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Generalmente le culture permissive ed ultrapermissive hanno, in rapporto al numero complessivo dei bevitori, tassi di alcolismo inferiori rispetto alle culture astinenti e ambivalenti: ciò evidenzia la profonda influenza che il contesto culturale esercita nell’intraprendere un uso moderato o meno<a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftn9" name="_ftnref9" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[9]</span></span></span></a>. </span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Il consumo di alcol in adolescenza può essere definito un comportamento ‘normativo’, nel senso che è più diffuso il bere rispetto al non bere: nell’indagine ESPAD i dati relativi all’uso nella vita di alcol dimostrano che l’89,4% ne fa uso (nel ’99 era l’86,5%); quelli relativi all’approvazione dell’uso di alcol riferiscono che il 74% del campione non disapprova bere uno o due bicchieri alla settimana, e il 20% non disapprova ubriacarsi una volta alla settimana. Per quanto riguarda la percezione del rischio legato al consumo di alcol, il 3.3% dei soggetti non avverte nessun rischio nel bere 5 o più bicchieri al giorno (questo dato è in aumento rispetto al ’99, quando la percentuale di soggetti che trovava assenza di rischio era il 2,8%). Si registra, invece, una notevole differenza tra maschi e femmine: i primi bevono più delle seconde, il rapporto è di 5 a 1, indipendentemente dall’età<a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftn10" name="_ftnref10" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[10]</span></span></span></a>.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Si è visto che il consumo di alcol in età precoce è legato essenzialmente ai pasti, con il progredire dell’età aumenta la frequenza e l’entità delle assunzioni fuori pasto, anche se l’uso di alcolici in questa età è in genere moderato: “solo il 3% dei consumatori è definibile ‘problematico’ e solo una percentuale minima è etilista nel senso tradizionale del termine”<a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftn11" name="_ftnref11" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[11]</span></span></span></a>. Dalle ricerche emerge infatti un duplice stile di consumo dell’alcol, quello abitudinario moderato da una parte, e quello dell’abuso saltuario dall’altra, che si manifesta in occasione di momenti particolari come feste o in discoteca, in questo secondo caso i rischi sono legati soprattutto alle conseguenze dello stato di ubriachezza, come nel caso di incidenti stradali<a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftn12" name="_ftnref12" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[12]</span></span></span></a>.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">L’eccessivo consumo di alcol nel fine settimana, relativamente al gruppo dei forti bevitori e di quelli che si ubriacano spesso, talvolta assolve ad una specifica funzione che è stata definita “strategia risolutiva emotiva”<a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftn13" name="_ftnref13" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[13]</span></span></span></a> di tipo immediato, cioè il consumo di alcol in questi casi serve alla fuga e all’evasione dalle difficoltà e responsabilità, ma è una strategia che si dimostra fallimentare in quanto la sbornia non risolve le difficoltà, ma anzi talvolta ne crea di nuove, soprattutto relazionali. Da questo comportamento può derivare una spirale viziosa, nella quale l’adolescente reitera il comportamento per sfuggire non solo alle vecchie difficoltà e alle nuove, che si sono create a causa del suo uso dell’alcol, ma anche alla constatazione dell’evidente insuccesso dei meccanismi difensivi che ha messo in atto<a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftn14" name="_ftnref14" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[14]</span></span></span></a>.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><b>2. Modelli di intervento</b> </span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">La settorialità delle ricerche sull’alcolismo ha prodotto differenti modelli di trattamento, spesso esplicitamente rivolti a fasce selezionate di individui con particolari caratteristiche, trascurando così al possibilità di elaborare piani di intervento più articolati e complessi.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">L’approccio di tipo medico, per esempio, tende in genere a considerare l’alcolismo come una sindrome, l’attenzione è posta sui sintomi, sui meccanismi biologici alterati e sugli organi danneggiati dall’abuso di alcol.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Il rischio del modello medico è chiaramente quello di far dipendere l’esistenza di un problema di alcolismo dalla presenza di una disfunzione organica alcolcorrelata.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Nelle ricerche psicologiche, come già accennato, l’interesse si è focalizzato soprattutto sulle caratteristiche di personalità ritenute a “rischio”. Dagli studi sono emersi problemi di autostima, di scarsa tolleranza dell’ansia, disturbi nella modulazione degli affetti e nella capacità di prendersi cura di se stessi, come elementi comuni alla popolazione alcolista.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Legati ad una condizione di abuso cronico di alcol vi sono spesso disturbi affettivi (depressione), disturbi d’ansia (attacchi di panico, fobie) e non di rado disturbi di personalità di vario tipo (antisociale, borderline, istrionico, dipendente). In questi casi l’alcol può diventare una forma di “auto-terapia”, ricercata ora per il suo dubbio effetto ansiolitico e calmante, ora per il suo potere disinibente.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">La psicologia individuale, nelle sue varie scuole, pur fornendo importanti linee guida nel trattamento psicologico dei soggetti con problemi alcolcorrelati, ha sofferto di ciò che vari autori hanno definito lo “stereotipo individualista”, ovvero un eccessiva attenzione rivolta all’individuo e alle sue caratteristiche <i>decontestualizzate</i>.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Gli approcci sistemico-relazionali hanno in parte corretto questo limite, allargando il <i>setting</i> di analisi dall’individuo ad unità più complesse quali la famiglia o il gruppo dei pari.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">In famiglie problematiche, di frequente, l’alcol sposta l’attenzione dalle difficoltà relazionali del gruppo sul comportamento problematico del singolo, svolgendo così una pericolosa funzione protettiva dai rischi di frantumazione familiare e omeostatica rispetto alle possibilità di cambiamento.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Comune ai vari modelli psicologici resta, comunque, il fatto di rivolgersi in particolare ad individui e gruppi con gravi problematiche affettive alcolcorrelate, motivati ad intraprendere un lavoro di tipo psicologico o psicoterapeutico.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Gli approcci di tipo sociologico, infine, promuovono una politica di assistenza e reinserimento sociale particolarmente adatta ad individui in cui l’abuso di alcol è legato a condizioni di vita disagiate.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Questi brevi accenni alla letteratura sull’alcolismo ci sono utili per riflettere su due aspetti critici, a nostro avviso, condivisi dai vari orientamenti delineati.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Anzitutto, ogni modello di intervento, con le ipotesi teoriche ed eziologiche che lo sostengono, finisce troppo spesso per rispondere ai bisogni e ai problemi solo di specifiche e ristrette fasce di individui della più vasta ed eterogenea popolazione con problemi alcolcorrelati.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Per inciso, solo un metodo di trattamento come i gruppi di auto-aiuto di Alcolisti Anonimi tende a rivolgersi ai bisogni di fasce più composite di soggetti, anche se come requisito necessario pone quello di una manifesta consapevolezza e di una esplicita dichiarazione da parte dei partecipanti del loro disagio (“ammettiamo la nostra impotenza di fronte all’alcol e che le nostre vite sono divenute incontrollabili”). </span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">L’altro limite comune riguarda la difficoltà mostrata dai vari orientamenti nel farsi carico delle <i>domande inespresse</i> e per riflesso di un innovativa politica di promozione della salute/prevenzione del disagio alcolcorrelato.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Quest’ultimo è l’aspetto che a noi interessa particolarmente, poiché contiene gli obiettivi e delinea i confini del modello di conoscenza ed intervento che proponiamo, nel quale un’attenta considerazione delle dimensioni culturali ed affettive che legano i partecipanti allo specifico contesto sociale di interesse e riferimento si declina nell’utilizzo di una molteplicità di strumenti di intervento rivolti al gruppo dei pari, ai sistemi di appartenenze istituzionali, alle famiglie ed ai singoli soggetti con l’obbiettivo di spostare l’ottica d’analisi dal singolo soggetto – “il consumatore di alcol” – al fenomeno sociale dell’alcolismo ed alle dimensioni culturali che lo sostengono e alimentano entro specifici contesti di convivenza e interazione.</span></div><div><span style="font-size: small;"><br clear="all" /></span> <br />
<hr align="left" size="1" width="33%" /><div id="ftn1"><div class="MsoFootnoteText"><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftnref1" name="_ftn1" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[1]</span></span></span></a> Bonino S., <i>Il rischio in adolescenza. Bacco in T-shirt</i>, in “Psicologia Contemporanea”, 150, 1998.</span></div></div><div id="ftn2"><div class="MsoFootnoteText"><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftnref2" name="_ftn2" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[2]</span></span></span></a><span lang="EN-GB"> ESPAD 2000, op. cit.</span></span></div></div><div id="ftn3"><div class="MsoFootnoteText"><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftnref3" name="_ftn3" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[3]</span></span></span></a><span lang="EN-GB"> Bonino S, <i>Bacco in T-shirt</i>, op. cit., p. 20.</span></span></div></div><div id="ftn4"><div class="MsoFootnoteText"><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftnref4" name="_ftn4" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[4]</span></span></span></a> Cfr. Baraldi C., Ravenna M., op. cit.</span></div></div><div id="ftn5"><div class="MsoFootnoteText"><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftnref5" name="_ftn5" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[5]</span></span></span></a> Bonino S., op. cit., p. 20.</span></div></div><div id="ftn6"><div class="MsoFootnoteText"><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftnref6" name="_ftn6" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[6]</span></span></span></a> Ravenna M., <i>Adolescenti e droga. Percorsi e processi socio-psicologici del consumo</i>, Il Mulino, Bologna, 1993.<i> </i></span></div></div><div id="ftn7"><div class="MsoFootnoteText"><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftnref7" name="_ftn7" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[7]</span></span></span></a> Cfr. Lionetti R., <i>Per un’antropologia del bere: norma, devianza e controllo sociale</i>, in Rolli A., Cottino A., <i>Le culture dell’alcool</i>, Franco Angeli, Milano, 1992, p. 132.</span></div></div><div id="ftn8"><div class="MsoFootnoteText"><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftnref8" name="_ftn8" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[8]</span></span></span></a> <i>Ibidem</i></span></div></div><div id="ftn9"><div class="MsoFootnoteText"><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftnref9" name="_ftn9" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[9]</span></span></span></a> <i>Ibidem</i></span></div></div><div id="ftn10"><div class="MsoFootnoteText"><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftnref10" name="_ftn10" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[10]</span></span></span></a> Ravenna M., in Palmonari A. (a cura di), op. cit.</span></div></div><div id="ftn11"><div class="MsoFootnoteText"><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftnref11" name="_ftn11" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[11]</span></span></span></a> Ravenna M., <i>Psicologia delle tossicodipendenze</i>, Il Mulino, Bologna, 1997, p .49.</span></div></div><div id="ftn12"><div class="MsoFootnoteText"><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftnref12" name="_ftn12" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[12]</span></span></span></a> Cfr. Maggiolini A., in Giori F. (a cura di), op. cit.</span></div></div><div id="ftn13"><div class="MsoFootnoteText"><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftnref13" name="_ftn13" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[13]</span></span></span></a> Labouvie E., cit. in Bonino S., op. cit. </span></div></div><div id="ftn14"><div class="MsoFootnoteText"><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=6272875616073550639#_ftnref14" name="_ftn14" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman";">[14]</span></span></span></a> <i>Ibidem.</i></span></div></div></div>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-23622223355216832482011-05-25T09:45:00.000-07:002011-05-25T09:46:52.559-07:00L’adolescente e i suoi sistemi<div align="center" class="MsoBodyText" style="margin-right: 14.2pt; text-align: center;"><a href="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=6272875616073550639&postID=2362222335521683248" name="_Toc119238601"><b><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 16pt; line-height: 150%;"></span></b></a><b><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 16pt; line-height: 150%;"></span></b></div><div class="MsoBodyTextIndent2" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: small;">Nel lavoro con bambini e adolescenti è ritenuto dagli psicoanalisti fondamentale il lavoro parallelo con i genitori e con la famiglia, ponendo particolare attenzione ai legami e alla qualità degli affetti intercorrenti tra le persone. Come emerge dalla vasta letteratura sull’argomento, risulta particolarmente determinante nel lavoro terapeutico con i bambini il peso che è necessario riservare ai genitori reali nello stabilirsi del primo contatto e dell’alleanza terapeutica con il piccolo paziente. Come affermano Lucantoni e Catarci (1996), infatti, riferendosi in particolar modo ad uno scritto di Anna Freud, non è possibile escludere i genitori mentre abbiamo in trattamento il loro figlio, poiché essi sono parte fondante del quadro terapeutico ed appare quindi necessario sottolineare la complessità della relazione che intercorre tra la loro patologia e quella del figlio. All’interno di una matrice evolutiva però, a dispetto della “linearità” di contatto con il bambino e i suoi genitori, ci si trova con gli adolescenti a dover valutare, di volta in volta, tanto la capacità del ragazzo di dar voce ai propri genitori interni – possibilità che dovrebbe risultare come la più naturale nel lavoro analitico con i pazienti adulti – quanto la sua incapacità elaborativa, personale e privata, che spinge a dover prendere in considerazione i genitori reali all’interno del contesto terapeutico. </span><span style="color: black; font-family: "Bookman Old Style"; font-size: small;"></span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: small; line-height: 150%;">La difficoltà della scelta appare ulteriormente complicata da ciò che viene a costituirsi come uno degli aspetti più tipici dell’adolescenza che risiede nel binomio autonomia/dipendenza, dal momento che non ci si trova più di fronte ad un bambino completamente dipendente dai legami familiari, ma neanche davanti ad un adulto che abbia affrontato un percorso separativo dalle figure genitoriali.</span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: small; line-height: 150%;">L’adolescente, alle prese con le problematiche di perdita e di delusione, dipende ancora in modo sostanziale dall’ambiente, in altre parole dalle figure significative della sua vita quotidiana. A differenza di quanto accadeva nel passato, ora però, egli desidera soprattutto distanziarsi da esso, per potersi garantire uno spazio privato, entro cui forgiare la propria identità ed una nuova e più completa rappresentazione di se stesso. In questo contesto relazionale, non solo gli adolescenti, ma anche i loro genitori sono profondamente coinvolti. </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: small;">È indiscussa ormai l’importanza rilevante della posizione psichica dei genitori nell’evolvere della crisi adolescenziale del figlio. I genitori, se psichicamente adulti, hanno gli strumenti per affrontare positivamente la loro crisi di mezza età, elaborando la posizione depressiva che si propone con nuovi e specifici temi in quest’epoca della vita. Nei vissuti parentali, tornano pregnanti le tematiche relative alla separazione-individuazione: c’è da affrontare, ad esempio, il distacco dal figlio che cresce e si allontana. Movimenti ed esiti di questa elaborazione sono parte integrante delle realtà ambientali in cui l’adolescente si trova a vivere ed a “mutare”, incidendo in modo significativo sulla sua evoluzione (Aliprandi, Pelanda, Senise, 1990). </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: small;">Tutti gli autori che si sono occupati di adolescenza hanno sottolineato il fatto che il processo di separazione dell’adolescente, dalla sua famiglia, è un momento particolarmente importante per la sua crescita e per quella del suo sistema familiare. I cambiamenti che avvengono nell’adolescente non lasciano, infatti, immutato il sistema familiare, il conflitto che egli vive tra separazione e autonomia vengono espressi in diversi modi (verbale, silenzi, provocazioni, aggressività verbale; e non verbale, modo di vestire, rapporto con il cibo) e spingono l’intero sistema familiare a riorganizzarsi (Moderato, Rovetto, 2001). </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: small;">Secondo Scabini (1995) l’atteggiamento dei genitori più adeguato è quello della <i>protezione flessibile</i> che permetta l’emergere dei bisogni di autonomia e di differenziazione e nello stesso tempo di dipendenza, protezione e appartenenza. Secondo vari autori (Scabini, 1995; Minuchin, 1974) un equilibrio tra livelli moderati di coesione e di individualità consente al sistema familiare di trasformarsi e all’adolescente di rendersi autonomo pur mantenendo un senso di appartenenza. </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: small;">Questo processo di separazione-appartenenza diventa difficile, invece, nelle famiglie “invischianti” in cui sono fortissimi i legami di dipendenza e nelle famiglie “disimpegnate” in cui non è presente un senso di appartenenza, in cui i membri sono tra loro indipendenti (Moderato, Rovetto, 2001). Genitori effettivamente distanti non possono soddisfare i bisogni dei figli, i quali si sentono rifiutati, non amati e non possono ricorrere a loro per risolvere il loro conflitti adolescenziali (Greenberg e Mitchell, 1990). </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: small;">In questi ultimi casi, madre e padre rimangono assenti o deboli nei confronti del figlio, a cui è resa impossibile la lotta e la presa di distanza psichica. L’adolescente rimane allora invischiato nell’universo narcisistico primario, con legami collusivi e confusivi sia nella dialettica identificatoria sia nelle relazioni intergenerazionali (Aliprandi, Pati, 1996). Occorre perciò individuare, all’interno delle dinamiche psichiche in gioco nel rapporto genitori-figli, le <i>condizioni necessarie</i> all’adolescente affinché egli sia in grado, al termine dell’adolescenza o all’inizio dell’età adulta, di confrontarsi con l’angoscia depressiva. Tra dipendenza e indipendenza, come il bambino di un tempo, l’adolescente è impegnato a salvaguardare la propria identità, a non tradire se stesso. In tale contesto emotivo, risulta necessario che l’ambiente, in particolare i genitori reali, riprenda attivamente nei confronti dell’adolescente quella funzione di <i>holding</i> specifica dell’antico rapporto tra madre e bambino, declinata ora soprattutto in termini di <i>holding mentale</i> (Winnicott, 1965)<i>.</i> </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: small;">Ciò che quindi è in primo piano nell’adolescenza e che rende particolarmente complesso lo svolgersi del secondo processo di separazione-individuazione (Blos, 1962) è il tema della perdita. Come afferma Giacometti: “la perdita delle vecchie rappresentazioni rassicuranti dell’infanzia, sia per il figlio che per i genitori, rende necessaria una diversa regolazione del rapporto di vicinanza e distanza e rimette in discussione l’equilibrio tra continuità e cambiamento, anche perché, è proprio l’esperienza di discontinuità a creare le condizioni per una ricerca personale” (1996, p.53). Il continuo oscillare, quindi, tra lo spazio privato, nuovo e ancora incerto e lo spazio comune condiviso con i genitori dell’infanzia, rende possibile l’affermazione di una propria seppur embrionale identità adulta attraverso il confronto con le figure di riferimento; come afferma Winnicott nel 1968, infatti, “la ribellione adolescenziale [...] deve essere raccolta, deve esserle data realtà attraverso un atto di confronto; laddove vi è la sfida del ragazzo o della ragazza che cresce, vi sia un adulto pronto a raccogliere la sfida”. Ciò può non avvenire, a causa delle identificazioni del figlio adolescente con le immagini che i genitori hanno di lui, quando queste immagini vengano ad essere distorte dall’effetto delle identificazioni proiettive parentali (Zinner, Shapiro, 1972). Come afferma Marohn (1988) infatti, “gli adolescenti stanno lottando per trasferire gli attaccamenti agli oggetti-Sé dai genitori verso l'esterno e per modificare le rappresentazioni interne rispecchianti e idealizzanti entro strutture internamente regolate. Conseguentemente, ogni uso dell'adolescente, da parte dei genitori, potrà essere pericoloso per la sua struttura psichica”. </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: small;">Appare utile allora valutare nel lavoro terapeutico la qualità dello spazio tra famiglia rappresentata e famiglia reale (Reiss, 1989), in cui si inseriscono l’elaborazione soggettiva, i processi inconsci di ciascuno e l’intensità e il peso delle identificazioni proiettive che gravano, spesso, sul figlio adolescente, come riattivatore di dinamiche intrapsichiche irrisolte nella storia personale dei genitori. Difficile, in questo senso, per ogni genitore riconoscere le modificazioni sessuali, cognitive e relazionali del proprio figlio che entra nell'adolescenza, ma quasi impossibile per quei genitori che non sono stati in grado di elaborare loro stessi il peso e l'assunzione della crescita. Il concetto di identificazione proiettiva potrebbe essere letto come parte integrante e costituente del fenomeno noto come <i>trasmissione intergenerazionale di vissuti</i>, fantasie, traumi, lutti non elaborati, che vengono spesso “agiti” da una generazione all'altra, senza spazi di pensiero e possibilità di modificazione. L'identificazione proiettiva, infatti, non sarebbe altro che l'esternalizzazione, attraverso l'agire, di una relazione oggettuale interna (Turillazzi, Manfredi, 1994). Può accadere, allora, che “lo spazio di ricontrattazione delle relazioni sia saturato dalla riproduzione e riattualizzazione di immagini passate, che segnalino la persistenza di tematiche non elaborate nella generazione precedente ed il mancato processo di formazione di una coppia capace di costituire un luogo di delineazione adeguato al processo di separazione e di individuazione” (Giacometti, 1996, p. 54).</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: small;">Il lavoro di Jeammet (1999) sulla patologia della dipendenza, a questo proposito, si pone come un punto cardine dove si incontra e si potenzia la difficoltà ed il senso di colpa del ragazzo, giacché crescere, nella fantasia inconscia, è implicitamente un atto aggressivo (Winnicott, 1968) con l'impossibilità da parte del genitore a rinunciare a parti di sé, proiettivamente identificate nel proprio figlio. </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: small;">Spesso, da parte dei genitori, si è verificata un’utilizzazione del figlio al fine di contro-investire fantasmi repressi del proprio passato; egli quindi non è riconosciuto nella sua differenza, quanto piuttosto come un oggetto che ha la funzione di placare i conflitti genitoriali che non possono diventare oggetto di un lavoro di elaborazione sulla base di rappresentazioni accessibili all’Io (Jeammet, 1999). </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: small;">Come afferma Jeammet (1999) è impossibile non percepire – contemporaneamente al più leggibile desiderio di porre una distanza tra sé e gli oggetti primari – “il desiderio quasi cosciente, represso ma non rimosso, di un contatto con qualcuno, la speranza confusa che l’analista vada al di là di ciò che il ragazzo esprime, che lo aiuti a capire meglio ciò che gli succede”. Ed è proprio al fine di essere “scoperti” senza dover ammettere il proprio bisogno di essere visti, che l’adolescente ricorre all’uso di “diari e lettere lasciati incustoditi in modo apparentemente casuale, traducendo così il conflitto inconscio di esibire la propria nascente intimità ma al tempo stesso di prolungare la comunanza simbiotica della propria vita intima con quella dei genitori” (Novelletto, 1991, p. 40).</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: small;">Un aspetto specifico della psicoterapia con gli adolescenti è relativo all’intensità e alla qualità dei sentimenti, semplicemente umani e personali, che i bambini e gli adolescenti evocano nel terapeuta, ovvero al tipo di emozioni controtransferali e alla disponibilità e capacità a tollerarli. </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: small;">Mai, come nel lavoro con gli adolescenti il terapeuta è confrontato con un problema di lealtà, che se pure in parte sintonico e frutto dell’identificazioni proiettive adolescenziali è, non per questo meno concreto e drammatico, passaggio comunque irrinunciabile per ogni effettiva alleanza terapeutica (Giannotti, Sabatello, 1994). I conflitti di lealtà sono particolarmente indicati a provocare certe reazioni di “controtraslazione” del terapeuta, in quanto lo sollecitano a staccarsi dal suo contegno di “imparzialità partecipe”: egli parteggia ad esempio per i genitori contro il figlio, oppure per il figlio contro i genitori, oppure per una generazione contro l’altra, aggravando in questo modo i conflitti di lealtà familiari (Stierlin, 1979). I temi della responsabilità e della colpa genitoriale, il timore persecutorio del giudizio, sono quelli che il terapeuta si trova innanzi tutto ad affrontare, prima dentro di sé, nei rapporti con i propri vissuti controtrasferali, e poi con il paziente ed i suoi genitori “Il terapeuta non oscilla forse tra l’identificazione empatica attraverso la propria adolescenza, la distanza benevola o rabbiosa per un periodo della vita (propria) ormai trascorso o l’identificazione genitoriale con, centrale, il tema dell’Edipo e dell’incesto?” (Giannotti, Sabatello, 1994, p.42)</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><br />
</div><h4 style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><a href="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=6272875616073550639&postID=2362222335521683248" name="_Toc119238605">Riferimenti Bibliografici</a><span style="font-size: 10pt; line-height: 150%;"> </span><b><span style="font-family: "Bookman Old Style";"></span></b></h4><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Aliprandi M. e Pati A.M. (1996), S<i>ulla depressione in adolescenza</i>, «Archivio di psicologia neurologia e psichiatria», vol. 57, pp. 454– 476. </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Aliprandi M., Pelanda E., Senise T. (1990), P<i>sicoterapia breve di individuazione</i>, Feltrinelli, Milano.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span lang="EN-GB" style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Blos P. (1967), T<i>he second individuation process of adolescence</i>, «Psychoanalist Study child», vol. 22, pp.162-186. </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Blos P. (1962), L<i>’adolescenza</i>, Franco Angeli, Milano.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Bollas C. (1987), <i>L’ombra dell’oggetto. Psicoanalisi del conosciuto non pensato,</i> Borla, Roma. </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Bonamino V. e Di Renzo M. (2003), <i>L’imprescindibilità dell’altro. Un percorso nel pensiero clinico di Winnicott sul sé e l’altro, e il lavoro di controtransfert dell’analista nella situazione psicoanalitica</i>, Franco Angeli, Milano.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Ferro A. (1987) <i>Il mondo</i> <i>alla rovescia. L’inversione del flusso delle identificazioni proiettive</i>, Rivista di Psicoanalisi, 33.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Gabbard G.O. (1994), P<i>sichiatria psicodinamica.</i> <i>Nuova edizione basata sul dsm-iv</i>, Raffaello Cortina Editore, Milano.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Giacometti k. (1996), <i>L’</i><i>evento separativo nella famiglia tra ripetizione e creatività</i>, Franco Angeli, Milano.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Giannakoulas A. e Fizzarotti Selvaggi S. (2002), <i>Il counselling psicodinamico</i>, Borla, Roma.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Giannotti A. e Sabatello U. (1994), <i>Lo psicoterapeuta de bambini e adolescenti. Riflessioni su identità e formazione</i>. In Rrichard e Piggle (a cura di), vol.1, p. 36-52.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Greemberg J. R. e Mitchell S.A. (1986), <i>L</i><i>e relazioni oggettuali nella teoria psicoanalitica</i>, tr. 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(1985), <i>Il coinvolgimento del terapeuta con la famiglia</i>, «Terapia familiare», vol.18, i.t.f.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Losso R. (2001), <i>Il mito familiare: fonte di transfert familiari,</i> «Interazioni, vol. 1, p 59-67.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Lucantoni C. e Catarci L. (1996), <i>L’intervento terapeutico con i genitori: dalla richiesta alla motivazione</i>. </span><span lang="EN-GB" style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">In Richard e Piggle (a cura di), vol.4, n.1.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span lang="EN-US" style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Marohn R. C. (1998), <i>The</i><i> adolescent as selfobject: parents and their children</i>. </span><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Relazione presentata all’undicesima conferenza annuale in psicologia del sé. Washington, 14 ottobre.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Minuchin S. (1974), <i>Famiglie e terapia della famiglia</i>. Trad. It. Astrolabio, Roma, 1976. </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Moderato P. e Rovetto F. (2001), <i>Psicologo: verso la professione</i>, Mcgraw-Hill, Milano.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Nicolò A.M. e Corigliano C. (1999), <i>La scelta del setting con la famiglia dell adolescente,</i> «Interazioni», vol.1. </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Nicolò A. M. (1983), <i>Sull’uso del controtransfert in terapia familiare: spunti per una discussione</i>, «Terapia familiare», vol.13.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Nicolò A.M. e Trapanese G. (2005), <i>Quale psicoanalisi per la famiglia?</i> Franco Angeli, Milano.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Norsa D. e Zavattini G.C. (1997), <i>Intimità e collusione. Teoria e tecnica della psicoterapia psicoanalitica di coppia.</i> Rafaello Cortina, Milano.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Novelletto A. (1991), <i>Psichiatria psicoanalitica dell’adolescenza</i>, Borla, Roma.</span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span lang="EN-GB" style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Ogden T.H. (1982), <i>Projective identification and therapeutic tecnique</i>, Norhtvale, Jason Aronson.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Reiss D. (1989), <i>La famiglia rappresentata e la famiglia reale: concezioni contrastanti della comunità familiare</i>. In Sameroff A.J. e Emde R.N. (a cura di), <i>I disturbi delle relazioni nella prima infanzia,</i> Tr. It. Bollati Boringhieri, Torino 1991.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Ruffiot A., Eiguer A., Litovsky D., Liendo E., Gerad-Liendo, Perot M.C. (1981), <i>La thérapie familiare psychanalytique</i>, Tr. It. </span><span lang="EN-GB" style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">(1983), Borla, Roma.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Scabini E. (1995), <i>Psicologia sociale della famiglia</i>, Bollati Boringhieri, Torino. </span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Shapiro R.J. (1983), <i>Il controtransfert</i>, «terapia familiare, vol.13.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span lang="EN-US" style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Scharff D.E. e Scharff J.S. (1991), <i>Object relations family thetapy</i>, Janson Aronson, Northvale, New Jersey.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Stierlin H. (1979), <i>Dalla psicoanalisi alla terapia della famiglia</i>, Bollati Boringhieri, Torino.</span></div><div class="MsoBodyText" style="margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-indent: 19.85pt;"><span lang="EN-US" style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Tansey M.J. e Burke W.F. (1989), <i>Understanding contertransference</i>, Hillsdale, The Analitic Press.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Turillazzi e Manfredi S. (1994), <i>Le certezze perdute della psicoanalisi clinica</i>, Raffaello Cortina, Milano.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Winnicott D.W. (1965), <i>Sviluppo affettivo e ambiente</i>, Tr. It. Armando, Roma 1970.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Winnicott D.W. (1968), <i>Concetti contemporanei sullo sviluppo dell’adolescente e loro implicazioni per l’educazione superiore</i>. In <i>Gioco e realtà</i> (a cura di) Tr. It., Armando, Roma 1974.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span lang="FR" style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Winnicott D.W. (1975), <i>Jeu et realitè: l’espace potentiel</i>, «Concepts actuels du developpement de l’adolescent gallimard», Paris, vol. </span><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">1.</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 14.2pt 0.0001pt 22.7pt; text-align: justify; text-indent: 19.85pt;"><span style="font-family: "Bookman Old Style"; font-size: 10pt; line-height: 150%;">Zinner J. e Shapiro R. (1999), <i>L’identificazione proiettiva come modalità di percezione e comportamento nelle famiglie di adolescenti</i>. In <i>I fondamenti della terapia familiare basata sulle relazioni oggettuali</i> (a cura di), Franco Angeli, Milano.</span></div>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-4909784833026970082011-05-23T14:56:00.001-07:002011-05-23T15:07:14.677-07:00L’EDUCAZIONE SOCIO-AFFETTIVA NELLA SCUOLA DELL’OBBLIGO: IL METODO INTEGRATO PER INSEGNANTI<div class="MsoNormal" style="color: white;">Il Metodo integrato propone tre diverse modalità di educazione socio-affettiva che possono essere usate tutte e tre insieme, dando vita ad un programma integrato oppure separatamente, centrandosi su un particolare aspetto:</div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;"><img alt="*" height="13" src="file:///C:/DOCUME%7E1/ALESSA%7E1/IMPOST%7E1/Temp/msohtml1/01/clip_image001.gif" width="13" /><span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Per quanto riguarda la problematica del <b><u>rapporto insegnante-classe</u></b> la <b>metodologia applicata </b>è quella di <b>Gordon;</b></div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;"><img alt="*" height="13" src="file:///C:/DOCUME%7E1/ALESSA%7E1/IMPOST%7E1/Temp/msohtml1/01/clip_image001.gif" width="13" /><span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Per favorire il rapporto tra i componenti del <b><u>gruppo classe</u></b>, quindi la loro conoscenza reciproca, e per offrire uno spazio relazionale diverso viene applicata la tecnica del <b><i>circle time</i></b><i>;</i></div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;"><img alt="*" height="13" src="file:///C:/DOCUME%7E1/ALESSA%7E1/IMPOST%7E1/Temp/msohtml1/01/clip_image001.gif" width="13" /><span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span>Per migliorare nel <u>ragazzo le <b>capacità di comprensione, dei suoi vissuti, sensazioni, sentimenti, atteggiamenti, fantasie</b></u> e così via vengono utilizzati un insieme di <b>esercizi psicomotori</b>, che mirano a sviluppare la capacità di entrare in contatto e riconoscere le emozioni che provano concentrandosi su di sé, sull’ambiente esterno e sui loro rapporti con gli altri. </div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 18pt;">IL METODO GORDON</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white;">Il metodo Gordon si propone di favorire lo sviluppo di un’efficace relazione fra insegnante e allievo e tra genitore e figlio. Il Metodo Gordon prevede l’utilizzo delle seguenti tecniche:</div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;"><img alt="*" height="13" src="file:///C:/DOCUME%7E1/ALESSA%7E1/IMPOST%7E1/Temp/msohtml1/01/clip_image002.gif" width="13" /><span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b>Ascolto attivo</b></div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;"><img alt="*" height="13" src="file:///C:/DOCUME%7E1/ALESSA%7E1/IMPOST%7E1/Temp/msohtml1/01/clip_image002.gif" width="13" /><span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b> Messaggio-Io</b></div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;"><img alt="*" height="13" src="file:///C:/DOCUME%7E1/ALESSA%7E1/IMPOST%7E1/Temp/msohtml1/01/clip_image002.gif" width="13" /><span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b> Risoluzione dei conflitti con il metodo del problem solving</b></div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white;">Tali tecniche possono essere usate in vari ordini di scuole.</div><div class="MsoNormal" style="color: white;">Al fine di poter stabilire un rapporto con gli allievi, che si basi sul riconoscimento reciproco, l’empatia e l’accettazione, l’insegnante deve essere <b>autentico</b>. </div><div class="MsoNormal" style="color: white;">Tale capacità ovviamente non è innata, ma si può acquisire con il tempo diventando sempre più <b><i>consapevoli delle</i></b><i> <b>proprie modalità comunicative</b> <b>e relazionali</b></i>. </div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white;">ASCOLTO ATTIVO O MESSAGGIO IO?</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white;">Per capire quando usare l’ascolto attivo e quando invece il messaggio Io, Gordon propone all’insegnante di osservare il comportamento dell’alunno e di chiedersi: “Questo comportamento chi danneggia? A chi impedisce di lavorare? Il problema appartiene all’alunno o a me?”.</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white;">Riconoscere <b><u>l’appartenenza del problema</u> </b>significa individuare limiti e confini tra sé e l’altro, significa chiedersi: ”Chi è a disagio in questa situazione?”</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div align="center" class="MsoNormal" style="color: white; text-align: center;"><b><span lang="EN-US">Se il problema è…</span></b></div><div align="center" class="MsoNormal" style="color: white; text-align: center;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;"><img alt="*" height="13" src="file:///C:/DOCUME%7E1/ALESSA%7E1/IMPOST%7E1/Temp/msohtml1/01/clip_image003.gif" width="13" /><span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b>Del docente si interviene utilizzando il Messaggio-Io. </b></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;"><img alt="*" height="13" src="file:///C:/DOCUME%7E1/ALESSA%7E1/IMPOST%7E1/Temp/msohtml1/01/clip_image003.gif" width="13" /><span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b>Dello studente si interviene usando l’ascolto attivo.</b></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><b>L’ascolto attivo</b> consente all’insegnante di entrare in <b>comunicazione empatica</b> con lo studente che ha un problema ed accetta di parlarne.</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"> Si basa sull’accettazione dell’altro, presta attenzione a quei comportamenti che potrebbero costituire una <b>barriera comunicativa</b>.</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"> Spesso, quando una persona ha un problema, anziché metterci in una posizione di ascolto tendiamo a parlare e a dare consigli. In questo modo il rischio è quello di fraintendere ciò che l’altro ha detto, di esprimere giudizi sulla persona, creando un circolo vizioso di incomunicabilità e generando nell’altro un atteggiamento di chiusura. </div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div align="center" class="MsoNormal" style="color: white; text-align: center;"><b>LE FASI DELL’ASCOLTO ATTIVO:</b></div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><b>ASCOLTO PASSIVO</b> (silenzio): Permette all’alunno di esporre, senza essere interrotto, i propri problemi;</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><b>MESSAGGI DI ACCOGLIMENTO: </b>Indicano al ragazzo che l’insegnante lo segue e lo ascolta. Possono essere verbali o non verbali;</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><b>INVITI CALOROSI: </b> Incoraggiano il ragazzo a parlare e ad approfondire quanto sta dicendo. Non valutano, né giudicano lo studente;</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><b>ASCOLTO ATTIVO (FEED-BACK): </b>L’insegnante “riflette” il messaggio dell’alunno senza emettere messaggi suoi personali. </div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white;">Il<b> messaggio-Io </b>e’ una modalità di comunicazione assertiva che permette di esprimere critiche in modo costruttivo contrapposta al messaggio Tu che tende a rimproverare, colpevolizzare e umiliare.<b><span style="font-family: "Comic Sans MS"; font-size: 20pt;"> </span></b>Questa tecnica viene denominata “di confronto”, in quanto l’adulto esprime che cosa prova quando il ragazzo compie un’azione che può determinare specifici effetti. </div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white;">Il Messaggio-Io palesa il sentimento di chi parla e pertanto… </div><div class="MsoNormal" style="color: white;">I messaggi-Io possono essere definiti “messaggi di assunzione responsabilità”, in quanto il docente si assume la responsabilità del proprio stato d’animo e la responsabilità di essersi aperto abbastanza sinceramente, quindi il messaggio in prima persona lascia al docente la responsabilità del proprio comportamento.</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><b>ATTRAVERSO IL MESSAGGIO-IO VENGONO RAGGIUNTI OBIETTIVI FONDAMENTALI PER UN CONFRONTO POSITIVO:</b></div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;"><img alt="*" height="13" src="file:///C:/DOCUME%7E1/ALESSA%7E1/IMPOST%7E1/Temp/msohtml1/01/clip_image001.gif" width="13" /><span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b> con molta probabilità sollecita volontà di cambiamento</b></div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;"><img alt="*" height="13" src="file:///C:/DOCUME%7E1/ALESSA%7E1/IMPOST%7E1/Temp/msohtml1/01/clip_image001.gif" width="13" /><span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b> riduce al minimo la valutazione negativa dello studente</b></div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;"><img alt="*" height="13" src="file:///C:/DOCUME%7E1/ALESSA%7E1/IMPOST%7E1/Temp/msohtml1/01/clip_image001.gif" width="13" /><span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b> non pregiudica il rapporto</b></div><div class="MsoNormal" style="color: white;"><br />
</div><div align="center" class="MsoNormal" style="color: white; text-align: center;"><b>PASSI DEL MESSAGGIO IO:</b></div><div align="center" class="MsoNormal" style="color: white; text-align: center;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;">1)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span>DESCRIZIONE DEL COMPORTAMENTO: “Quando tu fai……………..”</div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;">2)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span>DESCRIZIONE DELLO STATO D’ANIMO: “Io mi sento………………”</div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;">3)<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span>DESCRIZIONE DELLE CONSEGUENZE CONCRETE: “Perché…………………..”</div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 18pt; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><h2 style="color: white; margin-left: 18pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">1.</span><span style="font-size: 7pt; font-weight: normal;"> </span><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">ORDINARE non vengono assolutamente presi in considerazione i sentimenti dell’alunno, per cui non si sente capito.</span><span style="font-weight: normal;"></span></h2><div style="color: white;"><br />
</div><h2 style="color: white; margin-left: 18pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">2.</span><span style="font-size: 7pt; font-weight: normal;"> </span><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">AVVERTIRE, MINACCIARE tale atteggiamento induce una difesa o un contrattacco, oppure vi è sottomissione.</span><span style="font-weight: normal;"></span></h2><h2 style="color: white;"><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;"> </span><span style="font-weight: normal;"></span></h2><h2 style="color: white; margin-left: 18pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">3.</span><span style="font-size: 7pt; font-weight: normal;"> </span><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;"> ESORTARE, MORALEGGIARE colpevolizza il ragazzo che si sente irresponsabile.</span><span style="font-weight: normal;"></span></h2><div style="color: white;"><br />
</div><h2 style="color: white; margin-left: 18pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">4.</span><span style="font-size: 7pt; font-weight: normal;"> </span><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;"> CONSIGLIARE, SUGGERIRE SOLUZIONI l’adulto comunica che non ha fiducia nelle capacità del ragazzo, portandolo alla dipendenza ed alla svalutazione delle proprie idee.</span><span style="font-weight: normal;"></span></h2><div style="color: white;"><br />
</div><h2 style="color: white; margin-left: 18pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">5.</span><span style="font-size: 7pt; font-weight: normal;"> </span><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">PERSUADERE CON ARGOMENTAZIONI LOGICHE si umilia il ragazzo che si sente inferiore e incapace.</span><span style="font-weight: normal;"></span></h2><div style="color: white;"><br />
</div><h2 style="color: white; margin-left: 18pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">6.</span><span style="font-size: 7pt; font-weight: normal;"> </span><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">GIUDICARE CRITICARE si danneggia l’immagine del giovane e si distrugge la sicurezza e la fiducia in sé.</span><span style="font-weight: normal;"></span></h2><div style="color: white;"><br />
</div><h2 style="color: white; margin-left: 18pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">7.</span><span style="font-size: 7pt; font-weight: normal;"> </span><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">COMPLIMENTARE, APPROVARE anche i complimenti non meritati, possono ferire al pari delle critiche, perché chi li riceve non li sente corrispondenti all’immagine di sé, ma come un mezzo di manipolazione.</span><span style="font-weight: normal;"></span></h2><div style="color: white;"><br />
</div><h2 style="color: white; margin-left: 18pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">8.</span><span style="font-size: 7pt; font-weight: normal;"> </span><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">UMILIARE, RIDICOLIZZARE il ragazzo comprende l’ironia del messaggio e si sente offeso</span><span style="font-weight: normal;"></span></h2><div style="color: white;"><br />
</div><h2 style="color: white; margin-left: 18pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">9.</span><span style="font-size: 7pt; font-weight: normal;"> </span><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;"> INTERPRETARE se l’interpretazione è giusta, il bambino si sentirà offeso perché vengono scoperte le motivazioni del suo agire, se invece è errata egli si sentirà inutilmente umiliato e incompreso.</span><span style="font-weight: normal;"></span></h2><h2 style="color: white; text-indent: 23.25pt;"><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;"> </span><span style="font-weight: normal;"></span></h2><h2 style="color: white; margin-left: 18pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">10.</span><span style="font-size: 7pt; font-weight: normal;"> </span><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;"> </span><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">RASSICURARE, SIMPATIZZARE il bambino può pensare che l’insegnante sminuisca il suo problema perché non lo capisce.</span><span style="font-weight: normal;"></span></h2><div style="color: white;"><br />
</div><h2 style="color: white; margin-left: 18pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">11.</span><span style="font-size: 7pt; font-weight: normal;"> </span><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;"> INFORMARSI spesso, involontariamente, si sottopone il bambino ad interrogatorio, ed il risultato che si ottiene è che questi si chiude in modo difensivo in sé stesso.</span><span style="font-weight: normal;"></span></h2><div style="color: white;"><br />
</div><h2 style="color: white; margin-left: 18pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">12.</span><span style="font-size: 7pt; font-weight: normal;"> </span><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">SCHIVARE, DEVIARE, BEFFARSI in questo modo si comunica al bambino che il suo problema non è importante, ci sono cose o persone che meritano maggiore interesse di lui.</span><span style="font-weight: normal;"></span></h2><div style="color: white;"><br />
</div><div style="color: white;"><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt;">IL CIRCLE TIME</span></div><div style="color: white;"><br />
</div><div style="color: white; text-align: justify;"><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt;">Il Circle Time (dall’inglese “tempo del cerchio”) rappresenta uno dei momenti salienti degli interventi di Educazione Socioaffettiva nelle classi, durante il quale i membri della classe si riuniscono per discutere un argomento o un problema proposto da uno o più alunni, o dall’insegnante. La classe riunita durante il <i>circle time</i> può essere definita come un piccolo gruppo di discussione con una struttura a bassa gerarchia (l’insegnante ha infatti il compito di “facilitare” la discussione, ma nessuna funzione autoritaria), di tipo formale (in quanto luogo, tempo e norme che regolano la discussione restano costanti), con l’obiettivo primario di creare un clima collaborativo e amichevole fra i membri. Trasformare la classe in un gruppo primario di autoaiuto, laddove sia possibile </span></div><h1 style="color: white;"><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">Il circle time, da un punto di vista tecnico, richiede:</span><span style="font-weight: normal;"></span></h1><h2 style="color: white; margin-left: 31.2pt; text-indent: -17pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 11pt; font-weight: normal;">·</span><span style="font-size: 7pt; font-weight: normal;"> </span><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">La <i>disposizione delle sedie in circolo</i>: fondamentale per garantire una comunicazione realmente circolare (di ogni membro con tutti gli altri) e non solo con l’insegnante come avviene con la normale disposizione dei banchi nelle aule scolastiche</span><span style="font-weight: normal;"></span></h2><h2 style="color: white; margin-left: 31.2pt; text-indent: -17pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 11pt; font-weight: normal;">·</span><span style="font-size: 7pt; font-weight: normal;"> </span><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">La <i>frequenza delle discussioni</i>: una/due volte a settimana, con la riserva di eventuali discussioni “straordinarie” nel caso di avvenimenti che necessitino di essere discussi immediatamente</span><span style="font-weight: normal;"></span></h2><h2 style="color: white; margin-left: 31.2pt; text-indent: -17pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 11pt; font-weight: normal;">·</span><span style="font-size: 7pt; font-weight: normal;"> </span><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">La <i>durata della discussione:</i> di circa 50 minuti</span><span style="font-weight: normal;"></span></h2><h2 style="color: white; margin-left: 31.2pt; text-indent: -17pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 11pt; font-weight: normal;">·</span><span style="font-size: 7pt; font-weight: normal;"> </span><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">Il <i>criterio per decidere</i> quale argomento sarà trattato: possono essere diversi purché permettano di valorizzare il contributo di ogni singolo membro </span><span style="font-weight: normal;"></span></h2><h2 style="color: white; margin-left: 31.2pt; text-indent: -17pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 11pt; font-weight: normal;">·</span><span style="font-size: 7pt; font-weight: normal;"> </span><i><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;">Altre regole</span></i><span style="font-family: Verdana; font-size: 11pt; font-weight: normal;"> (come ad esempio: non interrompere chi parla, accettare il punto di vista dell’altro, non deridere, ecc.) Scaturiranno dalle discussioni e sarebbe bene che l’insegnante riuscisse a sollecitarle negli alunni, anziché proporle egli stesso. Tali regole una volta accettate andranno scritte su un apposito cartellone in modo da renderle visibili al gruppo classe. </span><span style="font-weight: normal;"></span></h2><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;">Il<b> problem solving </b>è una tecnica che permette la ricerca comune di una soluzione soddisfacente ad un problema</div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div align="center" class="MsoNormal" style="color: white; text-align: center;"><b>Fasi del processo di problem solving secondo Gordon:</b></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;"><img alt="*" height="13" src="file:///C:/DOCUME%7E1/ALESSA%7E1/IMPOST%7E1/Temp/msohtml1/01/clip_image004.gif" width="13" /><span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b>Esporre con chiarezza i termini del problema</b></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span lang="EN-US" style="font-family: Symbol;"><img alt="*" height="13" src="file:///C:/DOCUME%7E1/ALESSA%7E1/IMPOST%7E1/Temp/msohtml1/01/clip_image004.gif" width="13" /><span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b> </b><b><span lang="EN-US">Proporre le possibili soluzioni</span></b></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;"><img alt="*" height="13" src="file:///C:/DOCUME%7E1/ALESSA%7E1/IMPOST%7E1/Temp/msohtml1/01/clip_image004.gif" width="13" /><span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b> Considerare vantaggi e svantaggi di ognuna</b></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;"><img alt="*" height="13" src="file:///C:/DOCUME%7E1/ALESSA%7E1/IMPOST%7E1/Temp/msohtml1/01/clip_image004.gif" width="13" /><span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b> Scegliere le più adatte a risolvere il problema</b></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol;"><img alt="*" height="13" src="file:///C:/DOCUME%7E1/ALESSA%7E1/IMPOST%7E1/Temp/msohtml1/01/clip_image004.gif" width="13" /><span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b> Stabilire in che modo attuare la soluzione scelta</b></div><div class="MsoNormal" style="color: white; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="color: white; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span lang="EN-US" style="font-family: Symbol;"><img alt="*" height="13" src="file:///C:/DOCUME%7E1/ALESSA%7E1/IMPOST%7E1/Temp/msohtml1/01/clip_image004.gif" width="13" /><span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span><b> </b><b><span lang="EN-US">Verificare i risultati ottenuti</span></b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-76136494241154695532011-05-20T09:18:00.000-07:002011-05-20T09:26:26.563-07:00L'ARRIVO DI UN FRATELLINO: TIMORI E CAPRICCI DEL PRIMOGENITO<!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> <w:Zoom>0</w:Zoom> <w:HyphenationZone>14</w:HyphenationZone> <w:PunctuationKerning/> <w:ValidateAgainstSchemas/> <w:SaveIfXMLInvalid>false</w:SaveIfXMLInvalid> <w:IgnoreMixedContent>false</w:IgnoreMixedContent> <w:AlwaysShowPlaceholderText>false</w:AlwaysShowPlaceholderText> <w:Compatibility> <w:BreakWrappedTables/> <w:SnapToGridInCell/> <w:WrapTextWithPunct/> <w:UseAsianBreakRules/> <w:DontGrowAutofit/> </w:Compatibility> <w:BrowserLevel>MicrosoftInternetExplorer4</w:BrowserLevel> </w:WordDocument> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 9]><xml> <w:LatentStyles DefLockedState="false" LatentStyleCount="156"> </w:LatentStyles> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 10]> <style>
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<br />
Molti genitori si preoccupano delle possibili reazioni emotive e comportamentali del loro figlio alla nascita di un fratellino. Penelope Leach, in un suo libro sull’argomento (“Il bambino dalla nascita ai 6 anni”, Mondadori, 1998), scrive: <br />
<br />
“Immaginate che vostro marito un giorno venga a casa proponendovi di accettare un’altra moglie proprio come voi, immaginatelo ora mentre usa quello stesso tipo di frasi che solitamente si usano per dire ad un bambino che sta arrivando un fratellino”.<br />
"Avremo con noi un altro bambino, tesoro, perchè abbiamo pensato che per te sarebbe bello avere un fratellino o una sorellina con cui giocare. Non ti vorremmo meno bene per questo, ci ameremo tutti." potrebbe essere anche:" Avrò con noi una seconda moglie, tesoro, perchè abbiamo pensato che per te sarebbe bello avere un pò di compagnia e un aiuto in casa." <br />
"Ti vogliamo così tanto bene che non possiamo più aspettare per avere un'altra meravigliosa bambina o bambino. Non ti vorremmo meno bene per questo, ci ameremo tutti". ..e se vostro marito vi dicesse:"Ti voglio così tanto bene che non posso più aspettare per avere un'altra meravigliosa moglie. Non ti vorrò meno bene per questo, ci ameremo tutti". <br />
"Sarà il nostro bambino di noi tre e ci occuperemo tutti insieme di lui". .. E se vostro marito vi dicesse:"Sarà la moglie di noi due e ci occuperemo insieme di lei". <br />
Vi sorprende ancora che il bambino sia geloso? Alcuni indizi e manifestazioni di gelosia possono essere: <br />
<br />
1) trasgredire semplici regole precedentemente apprese; <br />
<br />
2) mettere il broncio; <br />
<br />
3) regredire in abilità precedentemente acquisite; <br />
<br />
4) espressioni di ostilità, risentimento e rancore; <br />
<br />
5) espressioni di rabbia, anche apparentemente immotivata; <br />
<br />
6) mostrare eccessiva dipendenza nei confronti delle figure significative. <br />
<br />
<br />
<br />
La gelosia si manifesta a causa di un’emozione di paura e insicurezza. Il bambino può temere di essere meno amato e meno considerato rispetto all’altro. Può sentirsi insicuro del suo rapporto con i genitori, in modo particolare con la mamma. Il bambino pensa “Se mi vuole così tanto bene, perché mai dovrebbe volere un altro bambino?”. E’ probabile che vostro figlio diventi “fastidioso” perché preoccupato che voi possiate non volergli più bene come prima. Quando il bambino è geloso, non riesce a controllare razionalmente il suo comportamento è, infatti, ancora troppo piccolo ed immaturo per gestire emozioni forti in maniera autonoma, ha bisogno dell’aiuto di un adulto. <br />
<br />
Suggerimenti <br />
<br />
E’ importante che siate voi a dire a vostro figlio che arriverà un fratellino, venirlo a sapere da qualche amico o dai nonni potrebbe ripercuotersi sulla fiducia che ha in voi.<br />
<br />
Far immaginare il fratellino in arrivo come un compagno di giochi non è positivo, può essere molto deludente per lui rendersi conto che, in realtà, non fa altro che mangiare, dormire e piangere.<br />
<br />
Programmate con anticipo eventuali cambiamenti da fare, come la cameretta in cui dorme il bambino o se l’arrivo del fratellino comporterà l’inizio dell’asilo nido. Far coincidere grandi cambiamenti con l’arrivo di un altro bambino non è una buona idea.<br />
<br />
Spiegate chiaramente a vostro figlio che andrete all’ospedale per avere il bambino, che (il papà, i nonni,…) si occuperanno di lui, che lui starà bene e che starete bene anche voi, che potrà venire all’ospedale a trovarvi e che tornerete a casa dopo qualche giorno.<br />
<br />
Se possibile, salutate il bambino prima di andare all’ospedale, ma se sta dormendo e non c’è la necessità di svegliarlo, lasciatelo dormire. In questo caso, lasciategli un biglietto che possa essergli letto quando si sveglierà, spiegando dove siete e quando potrà venirvi a trovare.<br />
<br />
E’ molto importante per il bambino, specie se ancora piccolo, venire all’ospedale, in modo tale da avere un’immagine del posto in cui siete, anche se poi non vuole più andarsene o se si stufa dopo un quarto d’ora. Un modo per evitare strazianti saluti potrebbe essere quello di preparargli delle piccole sorprese o dei bigliettini, da aprire mentre torna a casa in macchina. <br />
<br />
All’ospedale, non costringetelo subito a vedere il fratellino, lasciate che prima si senta a suo agio e abbia il tempo di dirvi come sta e che cosa gli è successo mentre non c’eravate. E’ molto più semplice per il bambino capire che vi è mancato molto se lo salutate a braccia aperte, piuttosto che mentre coccolate un altro bambino. <br />
<br />
Al neonato arrivano generalmente molti regali, mentre ci si ricorda raramente del bambino più grande. Avere nel lettino un regalo da dargli, che possa simbolicamente essere da parte del neonato, favorirà l’instaurarsi di un rapporto positivo tra i due bambini. Ditegli che il suo fratellino sarà un buon compagno di giochi quando sarà un po’ più grande.<br />
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Cercate di fare in modo che non si verifichino situazioni in cui il papà, i nonni e altri colmano di attenzioni il bambino piccolo mettendo da parte l’altro. E’ meglio che amici e parenti vengano a festeggiare e coccolare il neonato in momenti in cui il bambino più grande è fuori con il papà o con la baby-sitter. <br />
Rispondete in maniera chiara ed onesta alle domande del vostro bambino, evitando di riempire di inutili dettagli le cose che gli dite.<br />
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Coinvolgete il bambino ad occuparsi del fratellino solo se mostra interesse a farlo. Farlo stare su una montagna di cuscini e permettergli solo dopo di poter tenere in braccio il fratellino, gli farà perdere la voglia dopo pochi minuti. Per evitare che il bambino voglia prendere in braccio il fratellino da solo, quando non c’è nessuno nella stanza, è bene consentirgli di tenere liberamente il piccolo in presenza di qualcuno, evitando di dirgli “Non toccare il piccolo”. <br />
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Prima di sedervi a dare da mangiare al neonato, assicuratevi che vostro figlio più grande sia impegnato in qualche attività, tenete vicino a voi qualcosa da mangiare e da bere in caso ne avesse bisogno. Aspettare che la mamma si sia seduta, pronta ad occuparsi del piccolo, per poi dire di aver fame o sete, è uno dei tipici comportamenti di cui il bambino si serve per attirare l’attenzione. <br />
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Impegnatevi il più possibile perché il bambino senta di piacere al suo fratellino. Per esempio, se il piccolo sorride mentre il bambino è lì vicino, dite “Guarda Andrea che sorrisone ti sta facendo Anna!”. Sarà molto più facile per il bambino affezionarsi al suo fratellino, perché in questo modo sentirà di essere ricambiato. <br />
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Cercate di continuare a fare le stesse cose che facevate con lui prima dell’arrivo del secondo bambino. Quando non vi è possibile, non date sempre una giustificazione del perché non lo fate, questo potrebbe, infatti, favorire il risentimento del bambino. Ricordate che potete occuparvi di entrambi i bambini contemporaneamente, per esempio, dando da mangiare al piccolo e parlando con l’altro.<br />
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Il papà può avere un ruolo fondamentale nel far sentire il bambino importante ed amato, concedendogli privilegi speciali come, per esempio, un giro in macchina o in centro, o permettendogli di andare a letto un po’ più tardi del solito. Non ditegli che ora è diventato grande, potrebbe pensare che, se fosse più piccolo e bisognoso di attenzioni sarebbe meglio. <br />
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Non stupitevi se il bambino ha alcuni comportamenti tipici di quando era più piccolo, come ricominciare a succhiarsi il pollice, volere il biberon, parlare come un bimbo più piccolo o volersi mettere il pannolino. il fare pipì a letto, o la cacca addosso. Potrà anche avere sentimenti aggressivi sia a livello fisico, come il voler picchiare o allontanare il fratellino, sia a livello verbale con frasi tipo: "questo fratellino è brutto, mamma, portiamolo via e regaliamolo a qualcun altro". <br />
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Tutto questo è, infatti, normale, permettetegli di farlo senza dirgli che è ora che diventi grande. Tenerlo in braccio come un bimbo piccolo o cullarlo, sono comportamenti che lo rassicurano molto, inoltre, sapere che qualche volta gli è concesso “essere un bambino piccolo” favorirà il processo di crescita. <br />
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E’ positivo parlare con il bambino delle emozioni che prova, mostrando di capire sia le sue emozioni positive, sia quelle negative. Dirgli frasi del tipo: “Sì, capisco che è fastidioso dover aspettare”, o “Sei arrabbiato perché la mamma dedica molto tempo al tuo fratellino”, sono espressioni che gli fanno sentire di essere compreso da voi. Quando se ne renderà conto, smetterà di mettere in atto comportamenti finalizzati ad esprimere le sue emozioni negative, come possono essere rovesciare lo zucchero sul tappeto o l’acqua sul pavimento proprio mentre vi state occupando del neonato. Se da un lato è importante che voi riconosciate le sue emozioni, dall’altro potrebbe esserci la necessità che lui impari che non dovrà far male al fratellino. Ditegli chiaramente che, come mamma, il vostro compito è quello di proteggere i vostri bambini da chiunque voglia far loro male. <br />
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Anche attraverso il disegno molti bimbi riescono ad esprimere gli "attacchi" al fratellino magari disegnandolo distaccato dagli altri componenti del gruppo famigliare o persino, con la faccia piena di scarabocchi per manifestare la loro contrarietà e il fatto che sentono il fratellino "sbagliato". E' importante non reprimere troppo severamente le prime espressioni di gelosia, i bambini potrebbero imparare a mimetizzare i propri sentimenti per non essere esclusi dall'amore dei genitori. Alcuni bambini invece non riescono ad esprimere la propria aggressività, i "falsi passivi" potrebbero esplodere, in un secondo momento magari con maggiore vigore e questo è sicuramente più preoccupante. Alcuni bambini tendono a rivolgere contro se stessi l'aggressività: mal di pancia, incubi, nei casi più estremi possono anche disinteressarsi a tutto ciò che li circonda. A volte esprimono premure estreme verso il fratellino soffocandolo di baci, abbracci, fino a farlo addirittura piangere. anche in questi casi la loro aggressività si trasforma in meccanismi di difesa <br />
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Bisogna rimproverarlo se si comporta male? La gelosia è un sentimento naturale, spontaneo, non può essere categorizzato tra i comportamenti "sbagliati". Nessun sentimento è giusto o sbagliato. L'intensità delle reazioni di gelosia hanno a che fare con il carattere del bambino, con la sua capacità di sopportare la frustrazione e anche con il tipo di rapporto che si crea con i genitori. La gelosia, pur essendo una reazione naturale, potrebbe assumere sfumature tollerabili o spietate. Queste manifestazioni di aggressività del primogenito possono essere sanate con la tenerezza. Rassicurare il bimbo che i genitori continuano a nutrire amore per lui è un grande gesto d'amore. <br />
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Consigli per i genitori <br />
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Non fare l'errore di rimproverare e di punire un bimbo geloso, lasciare che i sentimenti anche aggressivi si manifestino. In seguito, tra fratelli, si dovrà vivere necessariamente quella giusta competizione, rivalità, se un fratello si siede in braccio alla mamma, l'altro le prende la mano, se l'uno si impossessa della bambola, l'altro si scaraventerà sul gioco del trenino. Le gare, le lotte sono <br />
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giochi abituali e per i genitori è facile ad un certo punto non farci più caso. <br />
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I genitori che hanno paura di non dare amore sufficiente o quelli che temono di fare delle differenze sono ancora legati a ciò che pensano di non aver ricevuto a sufficienza dai propri genitori oppure sono convinti che i figli contenti sono solo quelli che hanno avuto agevolazioni e vita facile. In realtà la serenità dei figli può dipendere molto dal fatto che si è insegnato loro che la vita è piena di imprevisti, di esperienze anche dolorose e il bisogno di crescere bene è la capacità di rialzarsi ogni volta si vive una esperienza difficile e sofferta. Il segreto è proprio aiutare il proprio figlio a guardare sempre in faccia la realtà e a imparare ad affrontarla e ad accettarla. </b>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-15433377452926719382011-05-20T06:50:00.000-07:002011-05-20T06:50:41.032-07:00LO SVILUPPO DEL BAMBINO DA 0 A 12 MESI: ALCUNI CENNI GENERALI<!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> <w:Zoom>0</w:Zoom> <w:HyphenationZone>14</w:HyphenationZone> <w:PunctuationKerning/> <w:ValidateAgainstSchemas/> <w:SaveIfXMLInvalid>false</w:SaveIfXMLInvalid> <w:IgnoreMixedContent>false</w:IgnoreMixedContent> <w:AlwaysShowPlaceholderText>false</w:AlwaysShowPlaceholderText> <w:Compatibility> <w:BreakWrappedTables/> <w:SnapToGridInCell/> <w:WrapTextWithPunct/> <w:UseAsianBreakRules/> <w:DontGrowAutofit/> </w:Compatibility> <w:BrowserLevel>MicrosoftInternetExplorer4</w:BrowserLevel> </w:WordDocument> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 9]><xml> <w:LatentStyles DefLockedState="false" LatentStyleCount="156"> </w:LatentStyles> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 10]> <style>
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<div class="MsoNormal"><b>1) Lo sviluppo dai 0 ai 3 mesi</b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Il neonato riconosce il suono della voce materna che ha percepito durante la gestazione. E’ necessario parlare al bambino per rassicurarlo, a partire dalle prime settimane in cui è venuto alla luce: parlare al piccolo minimizza, rende cioè sicuro il mondo che altrimenti sarebbe percepito come un’aggressione di stimoli incomprensibili. Certo, non capisce le singole parole, ma egli ne comprende il messaggio emotivo. Quindi, è importante il linguaggio non verbale, come il tono di voce, l’espressione del viso, i gesti dei genitori. </div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>lo sviluppo cognitivo:</b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>0-1,5 mesi</b> – l’esercizio dei riflessi: In questo periodo il neonato esercita i propri riflessi, li consolida e li applica in situazioni sempre più numerose: succhia tutto ciò che capita, stringe tutto ciò che tocca il palmo della sua mano, prova interesse per ciò che vede e che ode. Quando il bambino rifiuta un oggetto che non soddisfa i propria bisogni c’è anche un abbozzo di riconoscimento degli oggetti (il dito del papà può venire accettato come oggetto da succhiare quando non ha troppa fame ma viene rifiutato quando il desiderio di suzione è subordinato al desiderio di nutrirsi).</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>1,5-4 mesi</b> – l’attività del bambino si trasforma in funzione dell’esperienza. Quando un’azione produce un risultato piacevole avviene una ricerca per riscoprire e conservare quel risultato nuovo. (succhiarsi il dito). Il bambino comincia in questo periodo a sorride al volto umano. </div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>Capacità motorie</b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>1 mese</b>: solleva il mento</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>2 mesi</b>: solleva anche il torace</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>3 mesi</b>: allunga le mani per afferrare un oggetto ma di solito lo manca</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Verso i 2-3 mesi si evidenzia lo strutturarsi del senso del sé, ovvero di essere soggetti attivi nell’esperienza e negli eventi. Il bambino ha l’esperienza di essere l’autore delle proprie azioni e non di quelle degli altri. Il bambino avverte di essere un’entità fisica intera, provvista di confini. </div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">A 3 mesi emerge il <i>sorriso sociale</i>, i vocalizzi diretti alle persone, lo scambio di sguardi attivamente ricercato, le preferenze per il volto umano e per la voce. Il bambino è orientato verso il rapporto con gli altri che non è cercato solo per la regolazione dei bisogni fisiologici. </div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">A tre mesi, il bimbo è coordinato dal punto di vista motorio, per cui afferra gli oggetti intenzionalmente, si guarda le mani e ci gioca; la prensione sarà sempre più solida.<br />
<br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>2) Lo sviluppo dai 3 ai 6 mesi</b></div><div class="MsoNormal">Dai tre ai sei mesi, il piccolo non è più un neonato, si muove sempre di più e comunica con le figure di riferimento, sorridendo; egli segue gli oggetti con gli occhi ed emette suoni utilizzando le vocali. In questo periodo comprende che ridendo, piangendo o toccando oggetti provoca reazioni nel mondo che lo circonda.<br />
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</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>Sviluppo cognitivo </b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Un’azione che abbia provocato uno spettacolo interessante induce un bisogno di ripetizione. Il bambino impara ad agitare un sonaglio a tirare uno spago che produce rumore, il bambino può scansare un fazzoletto che gli copre il viso, oppure cercare un oggetto se è nascosto solo parzialmente. Vi è riconoscibile una certa attenzione alle conseguenze di un azione sue o altrui. <span> </span>Giochi: sonagli, palestrina luci e musiche</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">La percezione visiva è sviluppata tanto da essere attratto dai diversi colori e da essere ben coordinato nei movimenti occhio – mano. Sa prendere le cose e le porta al viso per osservarle meglio, e in caso di oggetti grandi li afferra con due mani. A sei mesi il bambino lascia cadere un oggetto dalla mano per prenderne altri. Dal punto di vista del linguaggio, sempre a quest’età, grida quando vede persone che conosce o qualcosa che gli piace. Dai sei mesi emette catene di sillabe del tipo “<i>ma ma – ta ta – ga ga</i>”. Lo sviluppo emotivo e sociale di questo periodo è espresso da sorrisi e pianti; se contento di vedere le persone, il bambino tenderà le braccia. Infatti, adesso distingue i volti noti da quelli sconosciuti, che osserverà bene prima di sorridere loro. Aumenta la capacità di associazione e quella di riconoscere gli oggetti usati solitamente. Attraverso la bocca esplora tutto.<br />
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</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>Capacità motorie</b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>4 mesi</b>: sta seduto senza supporto</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>5 mesi</b>: afferra gli oggetti</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>6<span> </span>mesi</b>: sta seduto nel seggiolone, afferra gli oggetti in movimento</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>3) Lo sviluppo dai 7 ai 9 mesi</b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>Lo sviluppo cognitivo </b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Il bimbo tocca ogni oggetto per comprenderne la funzionalità e tende a gettare questi a terra. Inoltre è consapevole che il suo pianto farà venire da lui qualcuno. Sa manipolare le cose passandole da una mano all’altra e si diverte a sentirne il rumore. La coordinazione vista – mano migliora e afferra sempre meglio gli oggetti. Imita i suoni percepiti e dà nomi agli oggetti quali biberon e ciuccio. Capisce il significato di “vieni” , “dammi” , il suo nome e “no”. Piange quando vede la mamma allontanarsi in quanto percepita come parte di sé; batte le mani e saluta con la manina; ancora, anticipa l’ora del cibo e della passeggiata, ride con gusto ed è attratto da altri bambini. Ama fare le stesse cose con i giochi perché ha scoperto la relazione causa – effetto; tende ad imitare con interesse ciò che vede fare attorno a sé. Giochi: per impilare (motricità fine), per gattonare </div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>Capacità motorie</b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>7 mesi</b>: sta seduto da solo</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>8 mesi</b>: si mette a sedere da solo</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>9 mesi</b>: sta in piedi appoggiandosi ad un mobile, avanza strisciando sull’addome</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>4) Lo sviluppo dai 10 ai 12 mesi</b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>Lo sviluppo cognitivo </b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Scoperta di un mondo fuori da se. Comparsa dell’intelligenza senso motoria: differenziazione tra mezzi e fini. Il bambino rimuove l’ostacolo, poggia un oggetto che ha in mano se ne vuole prendere un altro. Gli oggetti scomparsi cominciano a venir ricercati.</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Sorge l’intenzionalità, la pianificazione e la differenziazione di mezzi e fini. Il bambino sa cosa vuole e capisce come ottenerlo: gli oggetti vengono usati come strumenti per ottenere un fine. Gioco euristico: sacchetti sorpresa. <span> </span>E’ allegro e comunicativo, gattona e appoggiandosi camminerà. E’ in grado di esprimere gioia se lodato e rabbia se sgridato. <br />
Gli piace giocare mettendo e togliendo oggetti in un contenitore, e inserire le dite in tutto ciò che ha un’apertura. Si fa capire senza parole, conosce le proibizioni e le frasi abituali anche senza gesti.<br />
Se desidera qualcosa utilizza i suoni o indica ciò che vuole. Sa dire “mamma” , “papà” gridando tali parole se essi non sono presenti ai suoi occhi.<br />
Ha una maggiore autonomia a livello sociale infatti gioca vicino ad altri bimbi ma non con loro, infatti in questo periodo egli sperimenta il cosiddetto “gioco in parallelo” , cioè il bimbo non condivide i suoi giochi perché li considera parte di se stesso.<br />
Il bimbo di quest’età ogni giorno è più intelligente e mostra voglia di apprendere: ricorda, da un giorno all’altro, dov’è un gioco o un oggetto e va a cercarlo direttamente.<br />
Acquisisce la consapevolezza di essersi comportato bene o se ha fatto qualcosa che non doveva, e questo è importante per impostare regole, limiti e divieti nel suo comportamento.<br />
<br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>Capacità motorie </b></div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>10 mesi</b>: cammina se tenuto per le mani, avanza a carponi sulle mani e sui gomiti</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>11 mesi</b>: sta in piedi da solo</div><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b>12 mesi</b>: cammina se tenuto per mano</div>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6272875616073550639.post-78799906318473978472011-05-20T04:04:00.000-07:002011-05-20T04:04:31.893-07:00ORIENTAMENTO SCOLASTICO E PROFESSIONALE TRA PARI: LA PEER TUTORING<!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> <w:Zoom>0</w:Zoom> <w:HyphenationZone>14</w:HyphenationZone> <w:PunctuationKerning/> <w:ValidateAgainstSchemas/> <w:SaveIfXMLInvalid>false</w:SaveIfXMLInvalid> <w:IgnoreMixedContent>false</w:IgnoreMixedContent> <w:AlwaysShowPlaceholderText>false</w:AlwaysShowPlaceholderText> <w:Compatibility> <w:BreakWrappedTables/> <w:SnapToGridInCell/> <w:WrapTextWithPunct/> <w:UseAsianBreakRules/> <w:DontGrowAutofit/> </w:Compatibility> <w:BrowserLevel>MicrosoftInternetExplorer4</w:BrowserLevel> </w:WordDocument> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 9]><xml> <w:LatentStyles DefLockedState="false" LatentStyleCount="156"> </w:LatentStyles> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 10]> <style>
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</div><div class="MsoNormal" style="font-family: Times,"Times New Roman",serif; line-height: 150%; text-align: justify;"><b><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Disorientamento…</span></b></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Times,"Times New Roman",serif; line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">L’orientamento può essere definito il modo, l’atto e l’effetto dell’orientare o dell’orientarsi.</span></div><div class="MsoBlockText" style="font-family: Times,"Times New Roman",serif; line-height: 150%; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-indent: 0cm;"><u><span style="font-size: small;"><b>“Orientare significa porre l’individuo in grado di prendere coscienza di sé e di progredire, con i suoi studi e la professione, in relazione alle mutevoli esigenze della vita, con il duplice scopo di contribuire al progresso della società e di raggiungere il pieno sviluppo della persona umana” (Unesco, 1970).</b></span></u></div><div class="MsoBodyText" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;">L’orientamento si propone il fine di aiutare il giovane ad assumere le responsabilità dei propri problemi, ad accettare l’incertezza, ad essere disponibile al cambiamento e ad intraprendere una determinata carriera. Attualmente si considera l’orientamento come attività basata sul coinvolgimento di tutte le risorse educative e sociali in grado di influire sulla scelta scolastica e professionale, e caratterizzata da un’attenzione particolare alla persona di cui si riconoscono l’individuo e la disposizione ad progettualità. L’orientamento può anche essere considerato secondo un’ottica di prevenzione reattiva intesa come attività che aiuta i soggetti ad individuare e a porre in atto modalità di azione (coping) che consentono di affrontare più adeguatamente la situazione critica. L’azione orientativa deve costituire un momento in cui è possibile:</span></div><div class="MsoBodyText" style="line-height: 150%; margin-left: 0cm; text-align: justify; text-indent: 0cm;"><span style="font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;"><span>-<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;">fare il punto della situazione presente circa le conoscenze che l’individuo possiede,</span></div><div class="MsoBodyText" style="line-height: 150%; margin-left: 0cm; text-align: justify; text-indent: 0cm;"><span style="font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;"><span>-<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;">centrare l’attenzione sul problema</span></div><div class="MsoBodyText" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;">Per l’orientamento al lavoro anche le capacità manageriali, il bisogno di indipendenza, il bisogno di stabilità e di sicurezza, l’intraprendenza e la creatività, la dedizione a una causa, la sfida ovvero il desiderio di conquistare qualcosa o qualcuno e lo stile di vita. </span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;">L’</span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; font-weight: normal; line-height: 150%;">educazione alla scelta</span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;">, ha come obiettivo far sì che il ragazzo diventi protagonista del proprio progetto di vita, ponendo se stesso al centro del processo decisionale.</span><span style="font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;"></span></div><div class="MsoBodyText2"><br />
</div><div class="MsoBodyText2"><b><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; line-height: 150%;">Obiettivi</span></b></div><div class="MsoBodyText" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;">L’obiettivo principale è quello di creare un contesto di lavoro in cui gli studenti possano farsi <u>committenti</u> del proprio progetto formativo e professionale, attraverso il riconoscimento e l’utilizzazione delle risorse e degli strumenti presenti sia nell’esperienza personale che nel contesto sociale e scolastico. Con il metodo della consulenza tra pari, i giovani vengono preparati a fornire aiuto e consulenza ad altri giovani simili a loro. </span></div><div class="MsoBodyText2"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; line-height: 150%;">Si ipotizza che:</span></div><div class="MsoBodyText2" style="margin-left: 18pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; line-height: 150%;">I pari godono con gli altri giovani di un tipo di credibilità maggiore rispetto agli adulti in quanto fanno parte di una classe culturale e di un età diversa;</span></div><div class="MsoBodyText2" style="margin-left: 18pt; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; line-height: 150%;">che i messaggi siano maggiormente ascoltati se coloro che li diffondono vi si possano identificare e quindi nell’intervento in cui si utilizza la peer tutoring.</span></div><div class="MsoBodyText" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><br />
</div><div class="MsoBodyText" style="line-height: 150%; text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;">Gli obiettivi specifici sono:</span></div><div class="MsoBodyText" style="line-height: 150%; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;">Creare uno spazio di lavoro che permetta di analizzare le motivazioni e i processi di scelta che intervengono nelle fasi di transizione;</span></div><div class="MsoBodyText" style="line-height: 150%; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;">Favorire, nei ragazzi, un’affermazione di consapevolezza </span><span style="font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;">delle proprie potenzialità;</span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;"> </span></div><div class="MsoBodyText" style="line-height: 150%; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;">Favorire l’individuazione delle competenze e delle risorse personali dei partecipanti, sviluppando capacità organizzative e di auto-monitoraggio;</span></div><div class="MsoBodyText" style="line-height: 150%; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;">Sviluppare strategie di scelta che permettano, allo studente, un realistico confronto fra risorse e strumenti offerti dal contesto e aspirazioni e capacità personali, in grado di modulare l’orientarsi, nell’immediato e nel futuro;</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 11.35pt 0.0001pt 18pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Favorire la coesione all’interno del gruppo classe;</span></div><div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin: 0cm 11.35pt 0.0001pt 18pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-size: 14pt; line-height: 150%;">Migliorare la capacità di lavorare in gruppo;</span></div><div class="MsoBodyText" style="line-height: 150%; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;"><span style="font-family: Symbol; font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;"><span>·<span style="font: 7pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span style="font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;">Aumentare la capacità di ascolto, consulenza e problem-solving di gruppo.</span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; font-style: normal; font-weight: normal; line-height: 150%;"></span></div><div class="MsoBodyText2"><br />
</div><div class="MsoBodyText2"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; line-height: 150%;">Metodologia</span></div><div class="MsoBodyText2"><b><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; line-height: 150%;">Cos’è la peer-tutoring?</span></b></div><div class="MsoBodyText2"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; line-height: 150%;">La peer- tutoring è una metodologia attraverso la quale l’orientamento avviene attraverso il gruppo dei pari. <span> </span>Questa consente di acquisire informazioni e sviluppare strategie cognitive perfezionate tramite un processo di condivisione di pensieri, assunzioni di impegni reciproci e negoziazione di compromessi assumendo un atteggiamento di apertura nei confronti di nuove idee. </span></div><div class="MsoBodyText2"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; line-height: 150%;">Utilizzando il gruppo come risorsa, i singoli partecipanti possono progettare e costruire strategie orientative nell’immediato e nel futuro. Il gruppo dei pari rappresenta, infatti, per l’adolescente uno spazio comunicativo privilegiato, un fattore fondamentale nella costruzione dell’identità in quanto consente di attivare un processo di confronto sociale, in cui i partecipanti possono costruire un progetto di crescita scolastica e professionale. A livello metodologico l’intervento si articola in alcune fasi essenziali: La considerazione </span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; line-height: 150%;">preliminare dei fabbisogni dell’organizzazione scolastica rappresenta il presupposto per costruire</span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; line-height: 150%;"> un i</span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; line-height: 150%;">ntervento rivolto ai ragazzi sull’analisi delle proprie risorse interne e<span> </span>su del contesto in cui essi sono inseriti. I peer selezionati e adeguatamente formati andranno poi a svolgere la loro funzione di tutoring con i pari, sempre sotto l’attenta supervisione dei consulenti psicologi. Si svilupperà in questo modo un intervento “a cascata” nel quale tutta l’organizzazione scolastica, a vari livelli, potrà usufruire dei benefici del lavoro con un utilizzo di risorse prevalentemente interne ed una ovvia riduzione dei costi. Il consulente psicologo, d’altra parte, avrà prevalentemente funzioni di organizzazione, avvio e monitoraggio del lavoro dei peer nelle classi.</span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14pt; line-height: 150%;"></span></div>Prospettive PsicoSocialihttp://www.blogger.com/profile/04009890628306874391noreply@blogger.com0