martedì 7 giugno 2011

L'ASMA INFANTILE: ULTERIORI APPROFONDIMENTI

1. L’ASMA: ASPETTI GENERALI

L’asma bronchiale è una tra le malattie croniche più frequenti in età pediatrica. In Italia si stima che la percentuale di bambini affetti da asma sia compresa fra il 7 e il 9%, di cui tre su quattro sviluppano i primi sintomi respiratori entro i primi tre anni di vita (Ammaniti, 2001).
Il continuo aumento dei disturbi respiratori in età infantile che, in tempi recenti, si è registrato nel mondo occidentale, ha messo sotto accusa diversi fattori come smog, fumo e cambiamenti climatici (che alterano la durata della stagione dei pollini), accanto a più generali condizioni e stili di vita dei paesi industrializzati.
Peraltro, lo studio del complesso fenomeno della respirazione e delle sue possibili disregolazioni richiede l’attenta considerazione, oltre che delle condizioni generali dell’ambiente, di quelle specifiche dell’organismo. Queste ultime comprendono sia i processi neurofisiologici del respiro, regolati dai centri bulbo-ponto-mesencefalici, sia le funzioni cognitive, volontarie e simboliche dell’individuo, che possono esercitare un influenza sul ritmo, la frequenza e la profondità del respiro in relazione alle situazioni.
La respirazione, infatti, è una funzione “mista” in quanto, fra le grandi funzioni vegetative, è l’unica ad avere un doppio sistema di controllo, autonomo e volontario (Franceschi Dusi, 1991).
Possiamo così definire l’asma come un forma disregolativa del tono broncomotore, caratterizzata da una reazione eccessiva a stimoli specifici ed aspecifici di varia natura, ai quali il sistema respiratorio risponde in modo “amplificato” con una iperreattività bronchiale (Franceschi Dusi, 1991).
L’utilità di questa definizione sta nel porre l’accento sul fatto che l’asma bronchiale è essenzialmente una sindrome, ovvero un complesso di sintomi e segni che riconosce molteplici eziologie (Rugarli, 1996).
Se in passato, infatti, è stata considerata una malattia puramente organica, oltre che nei suoi meccanismi anche nel suo determinismo, da tempo la componente psicologica dell’asma è ormai riconosciuta, ed anzi per un certo periodo è stata considerata il fattore eziologico predominante (Marcelli, 1997).
Attualmente si tende a considerare l’asma “una malattia complessa la cui interpretazione non è univoca, né dal punto di vista eziopatogenetico, in cui concorrono fattori organici, emotivi e ambientali, né per quanto riguarda i fattori psicodinamici implicati” (Ammaniti, 2001, p.329).
Studi recenti hanno dimostrato l’importanza dei processi allergici e di quelli infettivi all’origine del meccanismo di contrazione della muscolatura liscia bronchiale caratteristico delle crisi d’asma.
In età pediatrica, infatti, l’asma di tipo allergico è considerato il più comune e si innesca a contatto con un estrema varietà di allergeni, come polveri, animali domestici, cibi ecc.. Tuttavia, disturbi respiratori possono osservarsi anche al di fuori di ogni esposizione all’allergene e, viceversa, malgrado la presenza dell’allergene la crisi può non scatenarsi (Ammaniti, 2001).
Il ruolo svolto da circostanze e condizioni ben definite, come la presenza/assenza di un adulto significativo, nel determinare l’episodio asmatico mostra, infatti, quanto vari fattori emotivi e relazionali di tipo conflittuale siano implicati nell’innescare o favorire il manifestarsi della sintomatologia nei bambini.
In questo senso, l’asma bronchiale viene comunemente considerata un disturbo psicosomatico (Gaddini, 1970; Parietti, 1981), e il suo frequente insorgere nei primi tre anni di vita è associato da vari autori a processi di attaccamento, sintonizzazione affettiva madre-bambino e costruzione del Sé  difettosi (Ammaniti, 2001).
 “Non si può quindi considerare come univoco il processo di scatenamento della crisi d’asma: numerosi fattori sembrano suscettibili di agire; d’altra parte una volta iniziato il processo, si assiste ad una specie di “via finale comune”, essendo la reazione identica qualunque sia la sua eziologia (ereditaria, allergica, infettiva, psicogena)” (Marcelli, 1997, p.372) 
Sul piano dell’evoluzione clinica, infine, l’asma infantile comparsa entro i primi tre anni di vita, tende a regredire completamente in una elevata percentuale di casi (oltre il 60%) con l’inizio della pubertà. Meno buona è la prognosi per l’asma insorto in età adulta che, particolarmente quando ha carattere continuo o subcontinuo, può persistere nel tempo e complicarsi, talora con infezioni bronchiali. È in questo gruppo di pazienti che si ravvisa la maggiore mortalità indotta dalla malattia (Rugarli, 1996).

2. QUADRO CLINICO E PROCESSI FISIOPATOLOGICI

La manifestazione clinica caratteristica della sindrome asmatica è la dispnea prevalentemente espiratoria, di intensità variabile e, generalmente, ad esordio improvviso.
È comune, accanto ai sibili espiratori udibili, la presenza di una tosse scarsamente produttiva, con espettorazione di muco estremamente viscoso. In questi pazienti, la tosse rappresenta spesso un fenomeno riflesso conseguente alla stimolazione dei recettori irritativi bronchiali (Rugarli, 1996).
L’esame obiettivo durante una crisi asmatica, rivela un soggetto visibilmente sofferente, con un caratteristico decubito ortopnoico o semiortopnoico e, nei casi più gravi, una sudorazione profusa e cianosi labiale e ungueale.
Spesso, tuttavia, si resta colpiti dal contrasto fra l’intensità del disturbo e l’atteggiamento del bambino che può restare allegro e attivo e non manifestare, almeno apparentemente, alcuna forma di angoscia legata alla respirazione (Marcelli, 1997; Ammaniti, 2001).
L’attacco asmatico si presenta, generalmente, in forma di crisi di durata estremamente variabile, da alcuni minuti a diverse ore, seguite da intervalli liberi da sintomatologia. Meno comunemente, invece, l’asma può avere un carattere subcontinuo, senza che si abbia fra una crisi e l’altra un completo ritorno ad una situazione di normalità.
La condizione più grave, infine, è rappresentata dallo stato di male asmatico, in cui il paziente presenta per lunghi periodi, anche di giorni, intensi fenomeni broncospastici, spesso poco responsivi ai comuni presidi terapeutici. È in questa condizione che si può assistere, sia pure raramente, all’evoluzione più grave della malattia asmatica, che può esitare in una forma di insufficienza respiratoria fatale per il soggetto (Rugarli, 1996).
L’elemento fisiopatologico dominante nell’asma è rappresentato dalla ostruzione bronchiale, conseguente allo spasmo della muscolatura liscia ed eventualmente all’edema della mucosa ed alla stratificazione di muco sulle pareti bronchiali. Da un punto di vista funzionale si realizza, dunque, una tipica sindrome ostruttiva con aumento della resistenza delle vie aeree (Rugarli, 1996).
 La regolazione del tono della muscolatura liscia bronchiale è il risultato di un equilibrio dinamico tra influenze di natura neuroendocrina, alcune delle quali tendono a produrre contrazione delle cellule muscolari lisce che fanno parte della parete bronchiale, mentre altre ne determinano il rilasciamento. In particolare, nell’individuo normale il mantenimento del tono broncomotore dipende dal rapporto antagonistico tra sistema parasimpatico da un lato e sistema simpatico, coadiuvato in misura minore da alcune classi di prostaglandine dall’altro. Il sistema parasimpatico in condizioni normali esercita la maggior influenza sul tono della muscolatura bronchiale, attraverso la contrazione delle miocellule bronchiolari mediata dalle fibre vagali e dai recettori irritativi.
 I recettori irritativi bronchiali, in particolare, sono dotati di scarsa specificità, potendo essere stimolati da vari fattori di natura esogena (particelle inalate, agenti chimici) o endogena (diversi mediatori chimici). Questa varietà di stimolazioni può determinare, in via riflessa, nei recettori irritativi, oltre al fenomeno del broncospasmo, anche iperventilazione, tosse ed aumento della funzione mucosecernente, in relazione alla durata ed intensità dello stimolo (Rugarli, 1996).
Il sistema simpatico, come antagonista funzionale del sistema parasimpatico, è invece il principale responsabile del rilasciamento della muscolatura liscia bronchiale. Questa attività ortosimpatica è legata alla presenza di recettori adrenergici di tipo b2 a livello delle cellule muscolari lisce. Anche alcune classi di prostaglandine, le PgE, inoltre, svolgono un importante funzione nel rilasciamento della muscolatura liscia bronchiale.
La perturbazione di questi delicati sistemi o l’eccessivo prevalere dell’uno sugli altri, può determinare il substrato patologico necessario affinché si determini la broncocostrizione caratteristica dell’asma (Rugarli, 1996).
Attualmente si ritiene che l’episodio asmatico si verifichi in risposta ad una varietà di stimoli fisici, chimici e biologici, e ad influenze di natura psicologica che, accanto a precise condizioni predisponenti, possono rendere le vie aeree iperreattive.
I principali fattori predisponenti sono di tipo neurovegetativo ed infiammatorio, e possono reciprocamente influenzarsi.
Uno squilibrio neurovegetativo nella regolazione del tono broncomotore, infatti, può tradursi in un esagerata funzione del sistema parasimpatico ad azione broncocostrittrice, dovuta ad una ridotta soglia di stimolazione da parte dei recettori irritativi bronchiali. Anche fattori di tipo infiammatorio, di frequente, possono determinare una iperreattività bronchiale a numerosi stimoli ambientali.
Accanto a questi fattori predisponenti hanno un ruolo essenziale tutti quei fattori ambientali capaci di dare reazioni allergiche (polveri, pollini ecc.), ed infine, specifici fattori emotivi e relazionali che possono favorire ed aggravare il manifestarsi della sintomatologia nel bambino.
Le componenti psichiche, in particolare, sembrano determinanti soprattutto in quei casi dove i sintomi asmatici compaiono in seguito a traumi affettivi e che mostrano un andamento caratteristico che risente di acutizzazioni cicliche in condizioni stereotipate particolari, non direttamente collegate all’aspetto allergenico.

3. IL BAMBINO ASMATICO: ASPETTI PSICODINAMICI ED INTERPERSONALI  

Il bambino asmatico viene comunemente descritto in letteratura come apparentemente molto docile, accondiscendente e remissivo, piuttosto dipendente dai caregivers e facilmente ansioso.
Nei bambini in cui l’asma compare nel secondo semestre di vita, inoltre, è frequente osservare una eccessiva socievolezza nei confronti degli estranei, nonostante siano in un periodo evolutivo in cui diffidenza e preoccupazione rappresentano reazioni normali a tutto ciò che non è familiare. Questo difetto nell’“angoscia dell’ottavo mese” (Spitz, 1965) è stato associato sia a condizioni di maternage difettose, insicure o discontinue, sia ad un ambiente familiare iperprotettivo e invadente (Marcelli, 1997; Ammaniti, 2001).
Tali osservazioni hanno condotto vari autori a dare rilievo ad alcuni meccanismi psicodinamici essenziali nel rapporto fra il bambino asmatico ed il suo ambiente familiare.
La crisi d’asma, infatti, esprimerebbe la profonda ambivalenza del bambino fra la ricerca di autonomia ed individuazione, e la paura di perdere l’amore della madre, con la quale desidera creare un rapporto d’oggetto “arcaico e fusionale” (Fenichel, 1964).
In un periodo in cui le capacità verbali e cognitive sono ancora limitate, il corpo diventa allora il mezzo di espressione privilegiato attraverso cui il bambino rappresenta ed esteriorizza i suoi vissuti di angoscia e distacco, ed in cui il dolore emotivo può manifestarsi come “dolore nel corpo” (Ammaniti, 2001).
 Fenichel (1964) suggerisce l’idea cha l’asmatico durante le crisi, più che l’ossigeno, tenti di “introiettare la respirazione”, quasi a realizzare il desiderio di interrompere gli scambi che ha con l’esterno, vissuti come limitanti la propria autonomia e libertà.
Kreisler et al. (1974) hanno parlato, invece, di “sovraccarico del rapporto duale” in cui, alla presenza eccessiva e “soffocante” della madre, il bambino risponde con i sintomi asmatici, ovvero la rappresentazione somatica della sua “fame d’aria”.
L’eccessivo bisogno di dipendenza dalla madre vissuto in modo ambivalente, accanto all’utilizzo di modalità psichiche di tipo regressivo ed inibitorio, dovute alla presenza di problematiche riguardanti i processi di separazione/individuazione, sono allora gli elementi psicodinamici fondanti il quadro clinico dell’asma in età infantile.
 È interessante notare come lo stesso Freud, in “Frammenti di un analisi d’isteria: Dora” (1901), consideri l’asma di Dora, che insorge dopo la partenza del padre, come una sorta di “protesta narcisistica” elaborata attraverso meccanismi di difesa regressivi, espressione di un profondo desiderio di passività e dipendenza.
Questo bisogno estremo di attaccamento e la continua ambivalenza fra autonomia/dipendenza, inoltre, sono spesso associati nel bambino asmatico ad una inibizione delle proprie emozioni e ad una profonda difficoltà nella gestione dell’aggressività, che non viene espressa ma occultata da un atteggiamento sempre accondiscendente e remissivo.
In questo senso, Pinkus (1980) hanno parlato di un rigido controllo dell’affettività e dell’aggressività che confluiscono nella tendenza di questi bambini ad adattarsi in modo conformistico alle regole del proprio contesto sociale.
La crisi d’asma allora, in un ambiente familiare iperprotettivo ed invadente, può avere per il bambino la funzione di scaricare la sua aggressività, seppure attraverso una sua “espressione” passiva e somatica, mentre in contesti più trascuranti ed insicuri, la crisi asmatica può trasformarsi in strumento di manipolazione del rapporto con i caregivers, al fine di attirarne l’attenzione ed assicurarsi i “benefici secondari” del disagio.
Le ricerche più recenti hanno investigato, in particolare, le difficoltà nella regolazione delle emozioni nei bambini asmatici, accanto agli effetti negativi della gestione della malattia, in termini di maggiore stress psicosociale, ansia e bassa autostima.
Penza-Clyve (2000) ha esaminato i pattern di gestione emozionale della malattia in 20 bambini con asma e 20 con diabete, dai 6 ai 14 anni, rispetto ad un campione di controllo di bambini sani.
Dai risultati è emerso che i bambini asmatici e quelli diabetici mostrano un inibizione delle emozioni negative, quali rabbia, tristezza e aggressività, significativamente maggiore rispetto ai bambini non affetti da queste patologie.
I due gruppi di bambini affetti rispettivamente da asma e diabete, inoltre, hanno maggiori difficoltà nella gestione emotiva delle proprie decisioni e comportamenti, accanto ad un utilizzo di strategie di regolazione delle emozioni spesso disfunzionale rispetto alle richieste ambientali.
Le difficoltà nella regolazione delle proprie emozioni è stata evidenziata anche da una recente ricerca di Klinnert et al. (2000), su 81 bambini asmatici di 6 anni, da cui inoltre è emerso che la severità della sintomatologia asmatica era associata all’aumento delle difficoltà emotive e del livello di ansia dei bambini.
Vila et al. (2000) hanno invece studiato, in un campione di 82 bambini e adolescenti tra gli 8 e 15 anni con un asma moderata o grave, la frequenza di difficoltà psicologiche associate alla malattia. Oltre ad ansia generalizzata il gruppo di soggetti asmatici presentava in proporzione maggiore rispetto al gruppo di controllo, anche disturbi affettivi, bassa autostima e peggiori competenze sociali.
Particolarmente interessante, infine, risulta la ricerca di Kong et al. (2001) che ha indagato la qualità della vita di 84 bambini cinesi tra i 4 e gli 11 anni con asma, rispetto ad un campione di controllo di bambini sani, bilanciato per sesso, età e livello di educazione.
La maggior presenza nel campione dei bambini asmatici di comportamenti regressivi, ansia, depressione, problemi fisici, ritiro sociale e somatizzazioni, secondo gli autori, è associata nel vissuto dei bambini ad un livello di qualità della vita sensibilmente più basso rispetto ai coetanei sani.

3.1 LA FAMIGLIA “ASMOGENA”

I meccanismi psicodinamici cui si è fatto riferimento, ci consentono a questo punto di comprendere i possibili significati relazionali della sintomatologia asmatica, nei termini di una comunicazione “particolare”, che influenza ed organizza i rapporti entro la famiglia e nel contesto sociale.
L’intensità, la gravità, la durata e l’evoluzione delle crisi asmatiche, ma anche la frequenza delle recidive, infatti, confrontano i caregivers con elevati livelli di stress protratto nel tempo, frustrazione, limitazioni ed angoscia che possono incidere notevolmente sulla serenità del clima familiare.
Pinkus (1980) hanno proposto che le crisi asmatiche siano funzionali ad un gioco latentemente sado-masochista in cui il bambino, attraverso il ruolo di “vittima”, può esprimere la propria aggressività condizionando i comportamenti dei familiari e giocando sui sensi di colpa vissuti, spesso in modo inconscio, dai genitori.
La madre del bambino asmatico viene spesso descritta come una persona “ipernormale” (Marcelli, 1997) ed eccessivamente conformista, che vive il rapporto con il figlio in maniera fredda e distaccata o troppo invischiata ed iperprotettiva. Non è raro che i soli scambi affettivi fra madre e bambino avvengano intorno alla malattia (Buetow et al., 2003).
“L’ambiente familiare darebbe allora valore di comunicazione alla crisi d’asma allo stesso modo in cui lo si dà ai pianti abituali del bambino normale” (Marcelli, 1997, p.373).
Secondo vari autori, infatti, l’asma rappresenta la trasformazione somatica di una crisi di pianto inibita o repressa (Franceschi Dusi, 1991).
Frequente in questi contesti familiari sarebbe la poca attenzione dei caregivers alle richieste del figlio ed alle sue istanze di crescita ed individuazione. I bambini asmatici, come emerso da una recente ricerca (Griffin et al., 2002), sono maggiormente coinvolti ed invischiati nelle conversazioni e nei conflitti fra i genitori, rispetto ai loro coetanei sani.
Spesso, quindi, sono ambienti familiari che soffocano o inibiscono l’autonomia del bambino ed in cui il suo sintomo asmatico sembra voler dire, attraverso il corpo, “mi manca l’aria”, “tira una brutta aria”, “questa aria non fa per me” (Franceschi Dusi, 1991).
Nel sintomo asmatico e nella relazione di cura che si stabilisce intorno ad esso, troverebbe allora un possibile sfogo sia l’ambivalenza emozionale del bambino fra autonomia e dipendenza, sia i sentimenti conflittuali dei caregivers, che comprendono sensi di colpa, rifiuto e controllo nei confronti del figlio.  
La ricerca di Penza-Clyve (2000), a cui si è già fatto riferimento, ha rilevato che le madri dei bambini asmatici mostrano una minore espressione delle emozioni, rispetto alle madri dei diabetici e dei bambini sani, suggerendo che questi gruppi possono avere una differente motivazione nella gestione dell’espressione emotiva. In particolare, la limitata espressione delle emozioni nelle madri e nei bambini asmatici potrebbe essere dovuta al tentativo di prevenire i sintomi della malattia, evitando situazioni “cariche” emotivamente.
Vari autori a riguardo hanno proposto “una possibile carenza materna nel promuovere nel bambino le funzioni psichiche di rappresentazione, la regolazione delle emozioni e lo sviluppo di un sé corporeo, come mezzo di relazione interpersonale e sociale (Ammaniti, 2001, p.332).
Secondo Pasini (1982) la mancata integrazione ed individuazione corporea ed emozionale del bambino asmatico può essere funzionale ad una strategia tesa ad evitare il distacco da parte della madre, che vivrebbe la separazione in modo drammatizzato e depressivo.
La qualità della relazione fra madre e figlio asmatico, come è stato rilevato da una recente ricerca (Bleil et al., 2000), influenza inoltre il possibile sviluppo di sintomi depressivi nel bambino. La relazione di attaccamento (sicura o insicura) più che la severità dell’asma, rappresenta infatti un fattore predittivo di eventuali disturbi affettivi nel bambino asmatico.
L’ambiente familiare, peraltro, vista la sua profonda influenza su vari aspetti della malattia,  può diventare, come vedremo più avanti, una risorsa essenziale nel trattamento del bambino asmatico.

4. PROPOSTE DI INTERVENTO

Possiamo a questo punto delineare il ruolo dello psicologo nel trattamento dell’asma in età pediatrica. Se consideriamo, infatti, l’influenza che i fattori emotivi hanno nel favorire ed aggravare le crisi, gli effetti psicologici a lungo termine della gestione della malattia, come anche la bassa compliance che si registra nel trattamento, appare evidente l’ampiezza delle possibilità di intervento psicologico nell’ambito della patologia asmatica.
È importante, peraltro, che lo psicologo definisca coerentemente un suo spazio di intervento in sinergia a quello del pediatra, nella gestione di una patologia così complessa quale l’asma infantile, che richiede la partecipazione attiva di più soggetti accanto al bambino affetto dalla malattia.
Un intervento su più livelli, che coinvolge il bambino malato, il pediatra che prescrive la terapia, i genitori responsabili della corretta gestione terapeutica,  e gli insegnanti nell’ambiente scolastico, infatti, richiede allo psicologo specifiche competenze cliniche ed organizzative, che comprendono:
§         la capacità di integrare gli aspetti emotivi con quelli tecnici e medici del trattamento;
§         offrire consulenza e supporto al bambino asmatico e alla famiglia;
§         coordinare e regolare le comunicazioni fra i vari livelli coinvolti (famiglia, scuola, contesto medico);
§          pianificare e programmare strategie di intervento che coinvolgano attivamente i vari soggetti vicini al bambino asmatico.

Convivere con un disturbo cronico produce un impatto emotivo in genere considerevole per il bambino e la sua famiglia, in termini di angoscia, frustrazione e sensi di colpa, che a lungo andare possono logorare le relazioni familiari (Gustafsson et al., 2002). L’Asma del bambino, inoltre, produce effetti evidenti anche nel più ampio contesto sociale, con le limitazioni nelle abitudini di vita e nello sport, l’iperprotezione dei genitori, le frequenti difficoltà scolastiche, accanto ai vissuti di “diversità” rispetto ai coetanei.
Programmare un intervento sul bambino asmatico significa allora, per lo psicologo, aiutare il piccolo paziente ad elaborare il fardello emotivo e le difficoltà derivanti dalla gestione del disturbo cronico. È importante offrire al bambino la possibilità di pensare e raccontare le sue relazioni interpersonali e i vissuti associati all’asma. L’ obiettivo è quello di far sviluppare al bambino una più matura capacità di gestione cognitiva ed emotiva della sua malattia.
Ansia generalizzata, forte inibizione delle emozioni, in particolare dell’aggressività e somatizzazioni (Ortega et al., 2002), peraltro, possono complicare il quadro clinico ed indurre lo psicologo a pianificare, in collaborazione con il pediatra, eventuali interventi terapeutici specifici in relazione al caso. La letteratura riporta, a riguardo, risultati positivi ottenuti attraverso tecniche cognitivo-comportamentali, terapie dinamiche e sistemico relazionali Panton et al., 2000), come anche mediante metodi di rilassamento quali il training autogeno o il biofeedback (Franceschi Dusi, 1991).
Lo psicologo, inoltre, ha un ruolo essenziale, accanto al pediatra, nella fase di informazione e di educazione rivolta al bambino asmatico e alla sua famiglia, sulle caratteristiche della malattia e sui possibili rischi e benefici dell’intervento.
In campo medico, l’educazione del paziente viene definita come un processo pianificato di apprendimento di informazioni e comportamenti, che consente all’individuo di prendere attivamente decisioni riguardanti problemi connessi con la propria salute. L’apporto specifico che la competenza psicologica può offrire in questa fase riguarda, in particolare, l’attenzione agli aspetti emotivi, motivazionali e relazionali del paziente e del suo contesto familiare.
Uno degli aspetti più critici nel trattamento dell’asma è, infatti, la bassa compliance che si registra, con solo il 48% dei pazienti che seguono le prescrizioni mediche. In questi casi un efficace collaborazione fra pediatra e psicologo può favorire una ri-negoziazione di obiettivi e modalità di intervento che coinvolgano in maniera più attiva il bambino e la sua famiglia. In particolare, pediatra e psicologo devono stabilire un patto di alleanza con il bambino e i suoi genitori, che consideri i possibili conflitti ed ostacoli che possono portare al fallimento di prevenzione e terapia, e ponga il paziente come protagonista attivo nella gestione della propria salute.
L’influenza che la conoscenza della malattia ha sul suo trattamento è stata rilevata da Russell (2001). Dal suo studio è emersa una relazione statisticamente significativa tra la severità dell’asma e le strategie di gestione della malattia (r =.23, p < .05). Le “credenze sull’asma” dei bambini, inoltre, rappresentano la variabile con maggior potere predittivo riguardo la gestione della malattia (r = .55, p < .05). Questi risultati suggeriscono l’importanza che la conoscenza e le credenze dei bambini hanno sulla gestione dell’asma e sulla sua severità.   
Nel caso il paziente sia molto piccolo, con un asma insorto nel secondo semestre di vita, l’intervento dello psicologo sarà rivolto in particolare alla famiglia. Esplorare i possibili conflitti fra i coniugi, accogliere i loro vissuti relativi alla malattia del bambino ed attivare possibili risorse e strategie di coping per far fronte alla situazione, diventano in questo caso gli obiettivi essenziali (McQuaid et al., 2002).
Numerose ricerche recenti, peraltro, hanno evidenziato come la famiglia del bambino asmatico rappresenti la risorsa essenziale nel trattamento.
Johnson et al. (2002), ad esempio, hanno rilevato una migliore prevenzione e trattamento dell’asma in famiglie addestrate all’utilizzo di precise strategie di gestione della malattia. Queste ultime comprendevano, in particolare, il monitoraggio dei picchi di flusso respiratorio del bambino accanto alla considerazione di quei fattori ambientali (conflitti familiari, scarso supporto ed espressione delle emozioni, demotivazione del paziente ecc.) che possono ostacolare la cura.
L’importanza dei fattori psicosociali nella gestione dell’asma è stata rilevata anche da De Los Santos-Roig et al. (2002), che hanno proposto una metodologia fondata sulla conoscenza della malattia da parte del bambino e dei genitori, sul controllo delle emozioni attraverso tecniche di rilassamento e respirazione ed, infine, sull’acquisizione di comportamenti atti a prevenire le crisi d’asma. Dall’intervento è risultata una diminuzione nella frequenza e nell’intensità degli attacchi ed un miglioramento dei picchi del flusso espiratorio, accanto ad una più consapevole ed accurata conoscenza della malattia.
Vorremmo, infine, segnalare due recenti studi (Fiese, Wamboldt, 2000; Markson, Fiese, 2000) che hanno esaminato l’importanza delle routine e dei rituali familiari nella gestione dell’asma nei bambini. Secondo gli autori le routine familiari giocano, infatti, un ruolo importante nel minimizzare il peso della gestione dell’asma, sono associate a più bassi livelli di ansia nel bambino, possono proteggere i membri della famiglia dallo stress associato con la malattia cronica e andrebbero, pertanto, incluse entro un piano di gestione del disagio.
Nell’ambito di un intervento sull’asma che coinvolge più livelli merita certamente di essere incluso anche il gruppo dei pari con un problema simile. Il bambino asmatico, infatti, può trovare, nel rapporto con coetanei affetti dallo stesso disturbo, un importante fonte di sostegno, di esplorazione e condivisione di vissuti, scambio di informazioni e consigli, identificazione e responsabilizzazione nei confronti della propria e dell’altrui cura.
Il gruppo dei pari può essere allora un contesto adatto a progettare nuove strategie di adattamento, con l’aiuto degli altri, ma anche un momento di gioco in cui imparare nuove abitudini e conoscere meglio la malattia.
Si è cercato di delineare, seppure a grandi linee, i possibili spazi, obiettivi e referenti dell’intervento psicologico nella patologia asmatica. Si tratta per altro di riconoscere queste opportunità e valorizzarle, in modo da creare un rapporto più stabile e legittimato fra domanda del contesto sociale ed offerta di competenze psicologiche. Nell’area della patologia in età infantile, diventa allora essenziale per lo psicologo definire più coerenti modelli di collaborazione con altre figure professionali, in particolare con il pediatra, come presupposto per un lavoro integrato su più livelli della malattia.

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