lunedì 16 maggio 2011

LA DEPRESSIONE: Uno sguardo all'adolescenza come momento a rischio (1° file)

Introduzione

  
Il luogo della depressione è un luogo vuoto,
il discorso sulla depressione è un non discorso.
E’ la perdita del significato,
è la caduta del desiderio di trovare un significato.
Spesso è un buco da riempire,
spesso un buco senza pareti.
 
Vivere con la depressione spesso equivale ad avere una compagna che si accomoda dentro prendendo sempre più spazio, uno spazio sottratto all’autonomia, alla presenza nel mondo, al piacere di vivere. Viene e si espande, viene e ricopre, offusca, intorpidisce, rallenta, pietrifica. Il vissuto di costrizione dentro a se stessi, di chiusura, di limitazione, di impossibilità diventa la scatola che imprigiona mentre all’interno un turbinio di pensieri si dibatte nell’impotenza di non trovare un’uscita. Spesso al rallentamento dei movimenti e dell’eloquio corrispondono un’inquietudine ed un rimuginare interno; come un grido che rimane soffocato, un gesto che rimane spezzato, come trovarsi su una strada parallela alla vita separati da un vetro che permette di vedere ma non di andare là. La vita intorno è visibile ma come irraggiungibile, le persone, le cose, la natura,  arrivano privi di colore, di suono, di calore, di movimento, di vibrazione. Il mondo è alieno al depresso, egli si sente alieno al mondo, irrimediabilmente diverso, tragicamente non necessario, fuori posto, senza un posto, escluso dal flusso della vita. Il confronto con le altre persone è impietoso, sembra impossibile afferrare una mano, credere che qualcuno possa essere d’aiuto, la sfiducia pervade le relazioni, una sfiducia che contiene un senso di indegnità, di colpa, di fatica e mancanza di speranza. La percezione del tempo è distorta, il qui ed ora della sofferenza depressiva è permeato di eternità, un tempo immobile e dilagante che non contiene aperture sul futuro, non accoglie stimoli che possano testimoniare la dinamicità degli eventi e la possibilità del cambiamento. Il rischio di suicidio cresce in proporzione all’intensità di questo vissuto, quando si pone quale unica via di fuga ad una condanna sentita come priva di appello e protratta per un tempo infinito. Il vuoto è intorno e il vuoto è dentro; doloroso, pesante, pervasivo. Un grande buco dal quale ci si sente inghiottire, una spirale verso il basso che pare non avere una fine, nè pareti e appigli. Traditi dalla vita, sbagliati, difettosi, colpevoli, vittime del passato nel quale si continua a navigare su traiettorie circolari di rabbia che si autoalimenta, abbandonati, perduti, non pensati, dimenticati, non riconosciuti, non visti, confusi nelle proiezioni del mondo, esclusi e incompresi. Ho l’immagine di una persona che cammina con le spalle chiuse, lo sguardo verso il basso e le braccia abbandonate lungo i fianchi come ad occupare il minor spazio possibile. Tutto succede dentro di se, nulla può entrare, nulla può uscire; lo scambio con il mondo simbolizzato dal respiro è ridotto al minimo indispensabile per la sopravvivenza.  Ciò che dall’esterno appare come passività, vittimismo, mancanza di volontà, insoddisfazione immotivata, porta dentro un groviglio, un senso di non essere, un dibattersi nell’immobilità, scalpitare nel nulla, spalancare disperati gli occhi nel buio, intravedersi e non poter raggiungere se stessi. La percezione di ineluttabilità del proprio stato, di indegnità e di colpa rendono difficile compiere il passo della richiesta di aiuto. La distanza che separa la persona sofferente dalla possibilità di cura e di cambiamento dipende dai fattori esterni e interni che vengono attivati nella ricerca di una forma di terapia. Quando il disagio è visibile sono spesso i familiari a farsi carico della richiesta di cura ma in tutte quelle situazioni in cui la sofferenza è mascherata, e non per questo meno intensa, il rischio di isolamento è alto. Viviamo in una società che tende a negare uno spazio al dolore di vivere, in nome di superfici lisce e luccicanti si scavano caverne sempre più profonde e labirintiche, è come se sentissimo senza ascoltare e guardassimo senza vedere. Occorre dare spazio e dignità alle parti buie, illuminare caverne, stendere fili nei labirinti, aiutare le persone a incontrarsi con meno paura, a incontrare la loro paura ed accoglierla, tenerla e non rinchiuderla. Ognuno di noi può accorgersi di situazioni di disagio in se stesso e negli altri, ci sono segnali che possono essere riconoscibili ad uno sguardo più attento. Una volta attivato il contatto e formulata una domanda di terapia le possibilità di miglioramento della condizione di sofferenza sono reali e concrete. Credo che sia necessario costruire ponti perché la terra di nessuno che separa dalla possibilità di cura cominci a ripopolarsi.

Riflessioni di una donna depressa


Abbiamo voluto iniziare così questo nostro viaggio in un tematica così difficile com’è la depressione. Abbiamo voluto iniziare da un brano che ci ha dato emozioni più che da una categorizzazione diagnostica, per non dimenticarci che la depressione non è solo un insieme di sintomi presenti o no in una persona, ma è il luogo dove più nessun valore sostiene, né appoggio umano, né esile sognare.
Considerando la vastità dell’argomento che ci proponiamo di presentare sentiamo di non poter comunque prescindere da un’introduzione nosografica sulla depressione. Nella trattazione di questa patologia focalizzeremo la nostra attenzione su una fase della vita difficile e di cambiamento quale è l’adolescenza. Questa scelta è motivata, in gran parte, dall’esigenza di un maggiore approfondimento teorico e metodologico di supporto al lavoro clinico che svolgiamo quotidianamente.



Cap. 1 La depressione

1.1 In cerca di una definizione…

La depressione è conosciuta fin dall'antichità e fin dall'antichità è descritta come un'anomalia rispetto alla normalità: un insieme di comportamenti o modulazioni affettive che ora definiremmo depressione.
Artisti, romanzieri e drammaturgi, da Omero in poi, prima degli altri sono riusciti a cogliere ed a rappresentare le sofferenze e le inquietudini dell'uomo e le loro descrizioni sono state esemplificative della depressione. 
I primi tentativi di offrire una spiegazione sistematica della depressione risalgono, però, al XIX secolo. Per citarne alcuni, con Kraepling la depressione viene riconosciuta come entità nosologica con il nome di psicosi maniaco depressiva, in cui depressione e mania isolate rappresentavano solo delle varianti.
Freud (1915) sottolinea la relazione tra lutto e melanconia, scatenate entrambe dalla perdita, reale nel primo caso ed emozionale nel secondo, di un oggetto amato. Il padre della psicoanalisi definisce la melanconia o depressione endogena o maggiore come un "profondo e doloroso scoramento, un venir meno all'interesse per il mondo esterno, perdita delle capacità di amare, inibizione di fronte a qualsiasi attività, avvilimento del sentimento di sé che si esprime in autorimprovero o autoingiurie e culmina in un grandioso senso di colpa con l'attesa delirante di una punizione", dovuta al legame fortemente ambivalente che fa sì che il soggetto si senta colpevole della perdita dell’oggetto. La svalutazione di sé nei pazienti depressi sarebbe quindi il risultato di una rabbia intensa rivolta verso l’interno.
La klein (1940) definisce la depressione come un non superamento della posizione depressiva, riflesso del fallimento infantile nello stabilire dei buoni oggetti interni.
Abraham (1975) sottolinea, invece, la predisposizione all’oralità del depresso, conseguenza di una delusione infantile a livello orale che tende a riattivarsi nell’adulto in relazione a vissuti traumatici o di abbandono.
In tempi più recenti la depressione è stata inserita nel più ampio capitolo dei disturbi affettivi (Lalli, 1991) e la letteratura ne ha colto numerose varianti. Si parla allora di depressione reattiva, disturbo distimico o nevrosi depressiva, di depressione cronica (in cui permangono con minor gravità i sintomi della fase acuta soprattutto il ritiro sociale, l'apatia, la scontentezza, il pessimismo), di depressione mascherata (in cui prevale il disturbo somatico sui sintomi psichici), di depressione senile (in cui possono essere presenti inquinamenti paranoidei, ipocondria marcata, a volte confusione), di depressione organica (secondaria all'assunzione di alcuni farmaci, allucinogeni o ad alcune patologie, quali malattie infettive e ipotiroidismo) ed infine di depressione atipica, o di valenze ciclotimiche o bipolari.

1.2 Che cos’è la depressione?

Secondo Lalli (1991), “la depressione è uno stato psicopatologico caratterizzato da un disturbo dell’affettività che inibisce le normali risposte emotive, ed ostacolando il contatto dell’individuo con la realtà, ne limita la sua capacità di adattamento al mondo esterno” (p. 296).
Nel DSM IV la depressione viene collocata nel più ampio capitolo dei disturbi dell’umore che comprende:
v    il disturbo depressivo maggiore;
v    il disturbo distimico;
v    il disturbo depressivo NAS;
v    il disturbo bipolare I e II;
v    il disturbo ciclotimico.
Nel quadro diagnostico che proponiamo, abbiamo condiviso la proposta di Lalli (1991) di ritenere la depressione, pur nelle sue varianti, una sindrome a se stante, differenziabile dalla psicosi maniaco-depressiva.
L’autonomia nosografica della depressione monopolare rispetto a quella bipolare si fonda, infatti, su precisi dati clinici, genetici e psicofarmacologici. In particolare, la depressione monopolare (endogena o maggiore e nevrotica o distimica) rispetto alla bipolare non comporta mai deterioramento della personalità, presenta una familiarità molto variabile e mostra una rispondenza diversa a certi psicofarmaci (triciclici e IMAO) (Lalli, 1991).  
Nel corso di questa trattazione ci riferiremo quindi alla depressione monopolare (disturbo depressivo maggiore e disturbo distimico). Le due sindromi condividono sintomi e caratteristiche simili in termini di insorgenza, durata e frequenza. In genere il disturbo distimico si differenzia dalla depressione maggiore per la presenza di una sintomatologia depressiva di gravità minore ma costante per anni e persistente.
La depressione è una situazione dove esiste una incapacità di provare piacere per qualsiasi cosa e una profonda modificazione dell'umore stabilmente orientato verso la tristezza. Sono spesso presenti disturbi fisici vari che possono rappresentare l'elemento preponderante mascherando talvolta il quadro clinico depressivo.
I sintomi principali sono la tristezza, il senso di abbattimento, apatia e incapacità di provare emozioni piacevoli. A questo in genere si associano la perdita dell'interesse per le attività abituali e l'incapacità a prendere qualsiasi iniziativa o decisione. Il depresso spesso accusa difficoltà di concentrazione e di memoria, disturbi del sonno, riduzione dell'appetito, disturbi gastrointestinali, perdita del desiderio o del piacere sessuale. Il paziente lamenta riduzione della propria energia fisica, difficoltà nel pensare, nel concentrarsi e nel prendere decisioni. Per questo sviluppa progressivamente la convinzione di non valere, di essere incapace e inadeguato, e prova sentimenti di colpa nei confronti dei propri familiari. Quando lo stato depressivo raggiunge una certa gravità il paziente si ritira da ogni attività, si isola dagli amici, trascorre la maggior parte del tempo a letto, non cura più il proprio aspetto o la propria igiene personale.
La definizione scientifica oggi generalmente accettata è quella fornita dall'''American Psychiatric Association nel "Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali" (DSM IV).
Per una diagnosi positiva di "disturbo depressivo maggiore, episodio singolo" o "disturbo depressivo maggiore, ricorrente", dei quali ci occuperemo in questa sede, il DSM-IV elenca tre criteri così riassunti:
Nel caso di disturbo depressivo maggiore, episodio singolo:
A.    Presenza di un episodio depressivo maggiore.
Nel caso di disturbo depressivo maggiore, ricorrente:
A.    Presenza di due o più episodi depressivi maggiori.
Per considerare separati gli episodi depressivi deve essere rispettato un intervallo di almeno due mesi consecutivi. Durante tale intervallo non dovrebbero essere soddisfatti i criteri per un episodio depressivo maggiore.
B.    L'episodio depressivo maggiore non è meglio inquadrabile come disturbo schizoaffettivo e non è sovrapposto a schizofrenia, disturbo schizofreniforme, disturbo delirante o disturbo psicotico NAS.
C.    Non è mai stato presente un episodio maniacale, un episodio misto o un episodio ipomaniacale.
Il DSM-IV fa notare che l'esclusione evidenziata nel criterio C non dovrebbe essere applicata nel caso in cui tutti gli episodi simil-maniacali, simil-misti o simil-ipomaniacali siano indotti da sostanze o da un trattamento, oppure qualora fossero dovuti agli effetti fisiologici diretti di una condizione medica generale.
Un episodio di alterazione dell'umore è definito "episodio depressivo maggiore" nel caso in cui siano presenti alcune specifiche caratteristiche tra le quali, essenziale, è un periodo di almeno due settimane nel corso del quale è presente depressione dell'umore o perdita di interesse o di piacere per quasi tutte le attività.
Potremmo essere di fronte ad un episodio depressivo maggiore, secondo il DSM, nel caso in cui vengano rispettati i seguenti cinque criteri.
Criterio A. Il primo criterio richiede che cinque (o più) dei sintomi che andremo a descrivere siano contemporaneamente presenti durante un periodo di due settimane e rappresentino un cambiamento rispetto al precedente livello di funzionamento. E' da evidenziare che uno o più dei sintomi deve essere costituito da "umore depresso" oppure "perdita di interesse o piacere". Non vanno inclusi i sintomi che siano evidentemente dovuti ad una condizione medica generale, oppure i deliri o le allucinazioni che siano incongrui all'umore.
v    Profonda depressione del tono dell’umore. La persona esprime verbalmente e manifesta con la mimica e il comportamento un vissuto di profondo dolore psichico, prostrazione e disperazione. Questo vissuto è insensibile alle influenze esterne (per esempio, una parola di incoraggiamento o di conforto di un familiare o di un amico non è in grado di alleviarlo). Il soggetto descrive il proprio umore come triste, depresso, senza uscita, spento, ecc.. E' possibile che la tristezza possa venire negata, pertanto il clinico esperto potrà cercare di farla emergere nel corso del colloquio puntando l'attenzione anche sugli aspetti non verbali, come la mimica e il comportamento, e gli aspetti paraverbali della comunicazione, come il tono di voce. E' possibile che alcuni individui presentino un quadro di aumentata irritabilità e/o lamentele di tipo somatico come dolori, in virtù dei sentimenti di tristezza. Quando nel bambino o nell'adolescente è presente un quadro di irritabilità e di intensa rabbia è sempre opportuno distinguerlo dal comportamento in riposta ad una frustrazione da parte del cosiddetto "bambino viziato".
v    Marcata riduzione o scomparsa dell’interesse e del piacere in tutte le attività. Tutto ciò che abitualmente interessa quella persona e gli piace non gli provoca più alcuna emozione significativa. Il paziente è distaccato da ciò che lo circonda (familiari, amici, lavoro), si ritira progressivamente da ogni occupazione e sembra indifferente anche di fronte a situazioni o eventi che normalmente gli davano gioia. In realtà questa apparente indifferenza è fonte di sofferenza interna per il fatto di non riuscire più a provare sentimenti ed emozioni. Le abitudini sessuali generalmente si riducono per la perdita progressiva dell'interesse, del desiderio e del piacere sessuale. Questo criterio è riscontrato nella quasi totalità dei casi, anche se in misure diverse. 
v    Mancanza di appetito e perdita di peso o aumento di peso. Solitamente l'appetito è ridotto al punto che alcuni soggetti riferiscono uno sforzo nel mangiare. Come evidenzia il DSM, alcuni individui, specialmente quelli in ambiente ambulatoriale, possono presentare un aumento dell'appetito oppure ricercare un cibo specifico come ad esempio dolci o altri carboidrati.
Nel caso in cui le alterazioni dell'appetito siano gravi è possibile osservare una modificazione significativa del peso corporeo (aumento o riduzione) in un lasso di tempo breve.
v    Insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno. Le alterazioni del sonno possono essere varie: in genere il paziente dorme meno e si sveglia molto presto (insonnia terminale), altre volte ha difficoltà ad addormentarsi (insonnia iniziale) o ha frequenti risvegli durante la notte. In altri casi, invece, il bisogno di sonno e il tempo trascorso a letto sono nettamente aumentati. Alcuni pazienti dormono molto durante il giorno e restano svegli durante la notte (inversione del ritmo sonno-veglia).
v    Marcato rallentamento psichico e motorio e agitazione. La persona parla poco, risponde a monosillabi, si muove poco e lentamente (più di rado si osserva invece affollamento delle idee nella mente ed agitazione). L'agitazione può essere ad esempio rappresentata da un'incapacità di stare seduti o dal passeggiare continuamente avanti e indietro. Potrebbe presentarsi anche un rallentamento del pensiero, del movimento e dell'eloquio con lunghe pause prima delle risposte, abbassamento del volume, mutacismo, ecc.. Sia l'agitazione che il rallentamento, per essere considerati sintomi, devono essere abbastanza gravi da risultare evidenti ad altri osservatori e non essere riducibili ad un sensazione soggettiva.
v    Mancanza di energia, affaticabilità, irritabilità e rabbia. La ridotta "energia", la faticabilità e l'astenia sono piuttosto comuni. E' possibile che il soggetto riferisca una stanchezza continua anche senza aver svolto attività fisica. Ciò che caratterizza ogni attività, anche la più semplice, è la sensazione dello sforzo. Questo potrebbe ridurre l'efficienza nello svolgere dei compiti, compresi quelli quotidiani come il lavarsi o il vestirsi.
v    Sentimenti di mancanza di valore o di colpa eccessiva o inappropriata e ruminazione sul passato quasi ogni giorno (non meramente auto-punitivi o sul fatto di essere malati). In genere il depresso si sente in colpa perché non riesce più a svolgere i propri compiti e si considera l'unico responsabile di eventuali problemi familiari.  Altro elemento fondamentale della depressione è la diminuzione del sentimento del proprio valore, fino a diventare, nella depressione melanconica, vera e dichiarata autosvalutazione. Nella forma più grave la persona può anche arrivare alla convinzione di una fine e di una punizione imminente. Più questo sentimento si aggrava, più la persona si ritiene colpevole di quanto gli sta succedendo e pensa di non essere in grado di uscirne. Capita che tali soggetti interpretino alcuni eventi della vita quotidiana, oggettivamente neutri o insignificanti, come dimostrazione dei propri difetti; i soggetti provano un senso di responsabilità esagerato rispetto ad eventi sfavorevoli, che può sfociare nel delirio. L'intensità del sentimento di autosvalutazione è uno dei parametri principali per capire quanto è grave la depressione.
v    Difficoltà a concentrarsi e a ricordare, indecisione, mancanza di progettualità (sia sensazioni soggettive, sia osservabili da altri). Il paziente depresso non prende più decisioni, tutto gli sembra problematico o non risolvibile e progressivamente sviluppa un senso di incapacità e di inadeguatezza personale. La rottura della capacità decisionale può raggiungere livelli tali che la persona può sentirsi immersa in uno stato di assoluta estraneità rispetto a tutto. Sono individui che possono apparire facilmente distraibili o lamentarsi di disturbi mnesici. In chi svolge attività che richiedono un certo impegno intellettivo si può notare un'incapacità, rispetto a prima, a svolgere i compiti richiesti in modo adeguato anche in caso di lievi problemi di concentrazione. Nei bambini la scarsa concentrazione potrebbe evidenziarsi con una brusca riduzione dei voti. Negli anziani la lamentela principale può riguardare i disturbi della memoria. In questo caso occorre distinguere tale sintomo da quelli iniziali della demenza. I disturbi della memoria scompaiono nel caso in cui l'episodio depressivo venga trattato efficacemente. Sempre nelle persone anziane un episodio depressivo maggiore potrebbe rappresentare la manifestazione iniziale di una demenza.
v    Pensieri di morte (non solo paura di morire), ricorrenti ideazioni di suicidio senza un piano specifico o tentativi di suicidio o piani specifici di suicidio. Il pensiero del suicidio può essere costantemente presente, oppure lo stato d'animo può essere così depresso da essere già sentito come una forma di morte. Nei pensieri di morte, che non si limitano alla sola paura di morire, c'è spesso la convinzione che la propria scomparsa farebbe stare meglio gli altri e le motivazioni possono comprendere desideri di rinuncia di fronte ad ostacoli percepiti come insormontabili, oppure desiderio di porre termine ad uno stato emotivo doloroso e considerato interminabile.
Come già affermato, per validare il primo criterio, occorre che sia valutata dal clinico esperto la presenza di cinque o più dei sintomi appena descritti. Anche se il primo criterio fosse rispettato occorre contemporaneamente rispettare gli altri quattro così schematizzati:
Criterio B. il secondo criterio da rispettare prevede che i sintomi non soddisfino i criteri per un episodio misto.
Criterio C. I sintomi causano disagio clinicamente significativo e compromissione del funzionamento sociale, lavorativo, o di altre aree importanti.
Criterio D. I sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (es., una droga di abuso, un medicamento) o di una condizione medica generale (es., ipotiroidismo).
Criterio E. I sintomi non sono meglio giustificati da lutto, cioè dopo la perdita di una persona amata, persistono per più di due mesi, o sono caratterizzati da una compromissione funzionale marcata, autosvalutazione patologica, ideazione suicidaria, sintomi psicotici o rallentamento psicomotorio.

I sintomi della depressione finora descritti si possono anche raggruppare in:

Psichici: tristezza, disperazione, indifferenza, non provare sensazioni, vuoto interno, apatia, indecisione, inibizione, diminuita capacità attentiva e mnemonica, pessimismo, idea di morte, idee di rovina, auto-svalutazione, indegnità, senso di colpa;
Psicomotori: rallentamento, ipomimia, irrequietezza;
Psicosomatici: insonnia e ipersonnia, senso di tensione, diminuzione di forze, vertigini, ipotensione, dispnea, stipsi, colite, perdita di appetito, perdita di peso, senso di freddo, cardiopalmo, dolori diffusi.

Questi sintomi rappresentano le manifestazioni più frequenti della depressione che però si può presentare con un'ampia varietà di forme cliniche e di livelli di gravità.
Non esiste la “depressione”, ma “le depressioni”, cioè una varietà di condizioni depressive, che si manifestano in maniera differente, che vengono prodotte da combinazioni differenti di fattori biologici, psicologici e sociali, e che si “curano” in maniera differente.

1.3 Insorgenza e decorso

La depressione è una condizione patologica, a cui va incontro nel corso della sua esistenza tra il 5 e il 15 per cento degli esseri umani.
Un episodio non trattato dura generalmente sei mesi o più, a qualsiasi età esordisca. In circa il 20%-30% dei casi possono persistere alcuni sintomi per mesi o anni che però risultano insufficienti per soddisfare completamente i criteri per un episodio depressivo maggiore. Questa "remissione parziale" sembra essere predittiva di un andamento simile dopo gli episodi successivi. Nella maggior parte dei casi, comunque, vi è una remissione completa dei sintomi con un ritorno al funzionamento premorboso. Più raramente, alcuni individui (5%-10%) soddisferanno ancora i criteri completi per l'episodio depressivo maggiore, che risulterà perciò cronico.
La depressione può insorgere anche del tutto spontaneamente (cioè, può non essere preceduta da alcun evento spiacevole). In altri casi, un evento scatenante c’è, ma la reazione della persona appare sproporzionata, per intensità e/o durata, rispetto all’evento.
Statisticamente l'età media d'insorgenza della depressione si aggira tra i 25 e i 30 anni, anche se può emergere ad ogni età. Il decorso è variabile, può trattarsi di un unico episodio o di episodi isolati e separati da periodi di molti anni senza alcuna sintomatologia depressiva, oppure di una serie di episodi ravvicinati nel tempo. Le fasi di vita più a rischio sono quelle in cui si verificano dei cambiamenti più o meno profondi rispetto ad un periodo precedente, cambiamenti che in genere implicano un riadattamento della persona e del suo ruolo a qualsiasi livello, nei rapporti affettivi, sociali o lavorativi. Queste fasi sono rappresentate dall'adolescenza, dalla prima età adulta, dalla cosiddetta fase di "mezza età" e dalla fase di passaggio verso la vecchiaia.
·        Le prime due (adolescenza e prima età adulta) rappresentano delle delicate fasi di transizione tra situazioni precedenti relativamente stabili (fanciullezza e giovinezza), in cui i ruoli sono generalmente ben definiti e in cui sono presenti delle figure di riferimento (genitori, professori, coetanei), e situazioni successive (giovinezza ed età adulta) in cui sono richiesti livelli di autonomia e di responsabilità sicuramente più elevati. Un tale passaggio, che implica una esposizione al mondo esterno ed un continuo confronto con gli altri, può provocare delle crisi di adattamento che in genere sono fisiologiche e transitorie ma che talvolta possono presentarsi come dei veri e propri quadri depressivi.
·        Le altre due fasi a rischio, la cosiddetta "fase di mezza età" e il passaggio verso la vecchiaia, rappresentano anch'esse, per ragioni diverse, due periodi di cambiamento in cui il soggetto fa un bilancio complessivo di ciò che ha realizzato nel periodo precedente (prima e seconda fase adulta) e si dispone ad affrontare un nuovo ruolo nei rapporti sia affettivi che sociali. Anche queste due fasi, che richiedono un riadattamento interno del soggetto, possono rappresentare dei periodi in cui si ha l'esordio di un disturbo depressivo o il ripetersi di episodi che si sono manifestati in precedenza.
Spesso la depressione che si manifesta in ognuna di queste fasi possiede dei caratteri propri e distintivi che riflettono in genere le modalità con cui viene affrontata la richiesta di "cambiamento".
Nei quadri depressivi delle fasce di età più giovani, ad esempio, possono prevalere componenti di irritabilità, labilità emotiva, aggressività e tendenza ad ampie oscillazioni dell'umore. Nelle fasce d'età più avanzate possono prevalere invece quadri depressivi con ansia, rallentamento motorio, senso di incapacità o di colpa e paure di tipo ipocondriaco (Baranello, 2002).

1.4 Eziopatogenesi

Le depressioni non hanno una “causa”, ma riconoscono una serie di “fattori di rischio”, che intervengono in misura differente da caso a caso e spesso non sono esattamente ricostruibili nel singolo caso. Più esattamente si distinguono:
·        fattori predisponenti (la familiarità; gli eventi di perdita e di separazione che intervengono nella prima infanzia; uno stile di pensiero caratterizzato da una visione negativa di se stesso, del mondo e del futuro);
·        fattori scatenanti (gli eventi di perdita, separazione e insuccesso che intervengono nel corso della vita; le malattie fisiche gravi e/o croniche; alcune fasi della vita riproduttiva della donna come il puerperio e la menopausa; l’uso di alcuni farmaci, dagli antipertensivi ai cortisonici ai contraccettivi orali);
·        fattori protettivi (il supporto sociale di cui la persona dispone; una vita affettiva e lavorativa soddisfacente).
La letteratura sull’argomento (Lalli, 1991; Gabbard, 1992; Fédida, 2001) evidenzia come si siano elaborate diverse concezioni per spiegare l'insorgenza della depressione, enfatizzando ora fattori psicologici ora fisiologici, ora ereditari. La tendenza attuale è quella di considerare uno schema eziopatogenetico multifattoriale, che vede implicati molteplici aspetti:
-eredo-genetici: gli studi condotti, considerati nel loro complesso, suggeriscono che vi sia una predisposizione ereditaria alla depressione maggiore, avendo riscontrato una maggiore probabilità di sviluppo di tale disturbo in famiglie con uno o più parenti depressi.
-costituzionali: intesi come predisposizione di personalità. Tra questi troviamo tratti di carattere come la difficoltà ad affermarsi, la scarsa fiducia nelle proprie capacità, instabilità emotiva, asocialità, preoccupazione per il proprio stato di salute, sentirsi perseguitati da un destino avverso.
-biologico-metabolici: ad es., disfunzioni ormonali, alterazioni del funzionamento di neurotrasmettitori, in particolare la noradrenalina e la serotonina, alterazioni organiche o metaboliche.
-psicologici: tra cui si individuano tratti e caratteristiche di personalità predisponenti, fattori familiari (educazione, cultura, modalità di relazione ed interazione) ed i traumi conseguenti ad eventi a forte carica emotiva o a particolare significato affettivo che possono funzionare da fattore scatenante la malattia oppure precipitante (di una situazione già precaria) o emergente (di una situazione preesistente in modo latente). Fra i principali fattori traumatizzanti ricordiamo le perdite di persone significative (morte o abbandono), o di status o ruolo (pensionamento, licenziamento, ecc.), o ancora, importanti delusioni, frustrazioni, fallimenti.
-socio-ambientali: oltre ad eventi traumatici ed al ruolo della famiglia, risulta importante il supporto e il sostegno che l'individuo riceve dalla società nel superare o mitigare le conseguenze degli "stress".
Fra le proposte di questo approccio multifattoriale possiamo citare il modello del Kindling (Gold et al.,1988) secondo cui, dolorosi eventi esistenziali quali precoci separazioni e perdite, possono sensibilizzare i siti recettoriali in modo tale che idee ed immagini associate con stati depressivi possono agire come stimoli condizionati capaci di elicitare un episodio depressivo maggiore, anche senza una perdita reale o uno stressor esterno ambientale.

(CONTINUA E FINISCE NEL 2° FILE)

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