martedì 17 maggio 2011

L'OBESITA' INFANTILE

1.1 Alcuni dati epidemiologici

L’obesità in età pediatrica è certamente uno dei problemi più frequenti che il pediatra si trova a dover affrontare nella sua pratica quotidiana. Di fatto, come dimostrano i dati epidemiologici, l’obesità interessa tutte le età ed ha raggiunto negli ultimi decenni in Italia tassi di prevalenza talmente elevati da farla considerare una vera e propria malattia sociale. Tale situazione, peraltro, si ritrova in tutti i Paesi cosiddetti industrializzati ed appare strettamente correlata con il miglioramento delle condizioni socioeconomiche.
Allo stato attuale, nel nostro Paese, dal 10 al 35% dei soggetti di età compresa tra i 6 ed i 15 anni presenta un eccesso ponderale che può andare dal sovrappeso all’obesità. Mediamente su 10 soggetti della scuola dell’obbligo, 2 risultano sovrappeso e 2 obesi e non sembra che tale prevalenza mostri al momento un’inversione di tendenza. E’ da notare il riscontro di una più elevata frequenza di obesità nel meridione d’Italia rispetto alle regioni settentrionali, da mettere in rapporto verosimilmente con la diversità delle condizioni socioeconomiche e culturali.
Dai dati annuali della ricerca sull’obesità in Italia dell’Istituto Auxologico Italiano (Viberti, 2003; Istituto Auxologico Italiano, 2000), si evince che il 30-35% dei bambini italiani è in sovrappeso ed il 10-12% per cento obeso. Nel 28% dei bambini obesi è già presente la sindrome metabolica (associazione di almeno tre fattori tra: obesità, ipertensione, trigliceridi elevati, bassi valori di colesterolo ‘buono’ HDL, insulino-esistenza/intolleranza glucidica/diabete) responsabile di gran parte delle malattie cardiovascolari e della mortalità ad esse associata.
Non soltanto, se una volta si riteneva che l’obesità infantile costituisse un problema, perché il 25-50% dei bambini obesi mantiene l'eccesso ponderale anche in età adulta con tutti i rischi del caso, oggi è dimostrato, grazie alle ricerche dell’Istituto Auxologico Italiano, che 1 bambino obeso su 3 sta già sviluppando altre gravi situazioni patologiche o seriamente alterate come l’ipertensione, l’aumento dei trigliceridi nel sangue (ipertrigliceridemia), bassi valori di colesterolo ‘buono’ HDL, insulino-esistenza o l’intolleranza glucidica o persino il diabete. Tutte condizioni che lo pongono a rischio di malattie cardiovascolari e metaboliche, estremamente serie.
Giancarlo Viberti, Direttore del Laboratorio di ricerche diabetologiche dell’Auxologico, ha illustrato gli studi che l’Istituto ha condotto, osservando nell’arco di sette anni, dal 1994 al 2001, più di 1500 bambini e adolescenti obesi ricoverati presso la propria struttura specializzata evidenziando la preoccupante prevalenza di sindrome metabolica nel 28% del campione di riferimento. Ossia, 3 bambini obesi su dieci hanno oltre all’obesità un’altra alterazione metabolica o una patologia correlata. Inoltre, dalla ricerca di Vilberti si evince come il 16% dei bambini sia portatore di microalbuminuria, un marker di danno renale e un fattore di rischio per malattie cardiovascolari e mortalità precoce, e una grande percentuale presentava valori patologici di lipidi, uricemia, marker infiammatori e pressione arteriosa.
Per ciò che concerne l’obesità, vi sono delle differenze tra una classe d’età e l’altra con valori percentuali inferiori a 10% al di sotto degli 8 anni, che salgono a 14-16% tra i 9 e i 13 anni. Vi sono più maschi obesi rispetto alle femmine e, come per gli adulti, l’obesità è più presente al Sud. Sartorio, del Laboratorio di ricerche diabetologiche dell’Auxologico, ha presentato una serie di dati sulla diffusione geografica dell’obesità tra gli 8 e i 10 anni, raccolti dalla Società Italiana di Nutrizione Umana, da cui risulta che in Piemonte sarebbero obesi 10 bambini su 100, 13 a Milano, 16 nel Nordest, 21 a Cagliari, 23 in Abruzzo, 24 a Bari e 34 nel Lazio.
Anche da quanto emerso dall'indagine Multiscopo del 2000, condotta dall'Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT, www.istat.it), l’obesità infantile ed adolescenziale in Italia è preoccupante ed è maggiormente presente nel meridione. Nell'indagine si è tenuto conto della classificazione dell'obesità infantile secondo gli standard internazionali proposti dall'International Obesity Task Force. Da questa ricerca si evince che nel nostro Paese il "primato" di Regione con più alta presenza di bambini e adolescenti con eccesso di peso spetta alla Campania, col 36%, mentre sono più "in linea" i piccoli abitanti della Valle d'Aosta (14,3%). Si nota come il problema dell'obesità infantile peggiori scendendo dal nord al sud del Paese.
Il problema del sovrappeso e soprattutto dell’obesità in età giovanile è estremamente serio e di difficile prognosi: il futuro che si presenta è quello di una nuova generazione, nella quale la malattia sarà sempre più diffusa e con gravi complicanze.
L'obesità pediatrica è in preoccupante crescita non solo in Italia ma anche nel resto dell’Europa. Anche se le stime sono difficilmente confrontabili fra di loro, le cifre più recenti della International Obesity Task Force (IOTF) mettono in evidenza un costante e progressivo aumento dell'obesità infantile in tutti i Paesi europei (Livingstone, 2003).
Nella Conferenza sull'obesità “Una sfida per l'Unione Europea” tenuta a Copenaghen l'11 e il 12 settembre 2002, il tema è stato analizzato nella sua gravità (www.amicopediatra.it).
Questi i punti fondamentali emersi dal dibattito:
* Nel mondo, circa 300 milioni di individui sono obesi;
* Tale numero è destinato ad aumentare, con gravi conseguenze per la salute;
* Il problema è più serio nell'America del Nord ed in Europa, ma è diffuso in aree dove, in passato, non era presente se non in minima entità (Asia, India, Cina, Giappone ed anche alcune regioni dell'Africa e del Sud America, comprendendo così anche alcuni Paesi in via di Sviluppo);
* L'incidenza dell'obesità è raddoppiata in molti Paesi, negli ultimi anni;
* Nell'ultima decade, l'incidenza in Europa è aumentata dal 10 al 50%;
* Secondo uno studio della "International Obesity Task Force", circa il 4% di tutti i bambini d'Europa e affetto da obesità e tale percentuale è in marcato aumento;
* Si stima che il 2-8% dei costi globali per la sanità sia legato all'obesità;
* La dimensione del problema negli USA è doppia rispetto all'Europa, ma il tasso di aumento nei Paesi Europei è più elevato;
* Gli elementi chiave per la prevenzione ed il trattamento dell'obesità sono identificati nell'alimentazione corretta, nel ruolo delle famiglie e nell'attività fisica;
* Campagne informative di larga portata sono ritenute necessarie per aumentare la consapevolezza del problema in tutti i settori della società, compreso quello del personale sanitario (spesso il personale sanitario non è sufficientemente preparato ad affrontare il problema ed i pazienti sono riluttanti a chiedere assistenza).

2. Cosa si intende per obesità?

Prima di addentrarci sulle cause e sulle conseguenze mediche e psicologiche dell’obesità infantile è opportuno chiarire meglio cosa si intende per obesità e principalmente per obesità infantile.
Per obesità si intende un aumento patologico dei depositi adiposi ovvero una deviazione dalle condizioni di peso ideale tale da aumentare la morbilità e ridurre l’aspettativa di vita di un individuo. Ad essa si connette indissolubilmente il sovrappeso, ma per ovviare a pregiudizi culturali e sociali che non consentono una definizione univoca estensibile ad ogni società ed a qualsiasi periodo storico, sono state messe a punto diverse metodiche per stabilire la normalità ponderale o meno di un individuo.
Inoltre, per ovviare a fattori strutturali somatici incidenti sul peso globale, la quantità di grasso di deposito può essere calcolata attraverso la misurazione delle pliche adipose sottocutanee in alcune zone convenzionali: tricipitale, sottoscapolare e addominale (Cairella, Jacobelli, 1983).
Si definisce obeso chi pesa almeno il 20% in più rispetto al valore ideale. In sovrappeso, invece, è chi ha un peso tra i 10 e il 20% superiore a quello ideale. Per i bambini il peso ideale si calcola facendo riferimento alle tabelle dei percentili, che riuniscono i valori percentuali relativi a peso e altezza dei bambini distinti per età e sesso. Più si supera il valore medio più aumenta il rischio obesità.
L'obesità infantile, quindi, è il risultato di un bilancio energetico positivo protratto nel tempo; in pratica si introducono per molto tempo più calorie di quante se ne consumano.
La definizione di sovrappeso/obesità nel bambino è più complessa rispetto all'adulto, il cui peso ideale è calcolato in base al BMI (Body Mass Index o Indice di Massa Corporea):

                   peso del soggetto in Kg
BMI=
                  altezza in metri al quadrato

In attesa di trovare dei parametri di riferimento più adeguati, il BMI è stato proposto anche per i bambini.
Ai metodi di valutazione oggettiva si deve necessariamente aggiungere l’indagine psicologica del soggetto rispetto al proprio peso corporeo, poiché si può riscontrare un’alterazione profonda dell’immagine del proprio corpo vissuto come grottesco e che provoca disagio, sensazione che gli altri ne abbiano repulsione, invidia per le persone magre, correlazione di ogni avvenimento con il proprio peso.
Inoltre, vi sono influenze culturali che possono incidere, come ad esempio la diversa rilevanza data al cibo e al suo significato relazionale, oppure astratti concetti estetici e culturali perché in alcune culture l’obesità costituisce una sorta di riconoscimento di forza ed assume una connotazione di potere, mentre nella nostra, soprattutto negli ultimi anni, prevale come fattore esteticamente valido l’essere magri (Gabbard, 1992).

3. Le cause

L'obesità infantile ha una genesi multifattoriale, essendo il risultato di diverse cause più o meno evidenti che interagiscono tra loro.
In primo luogo occorre menzionare una eccessiva/cattiva alimentazione, legata o meno ad una ridotta attività fisica e a fattori di tipo genetico/familiare. Sono rari i casi di obesità infantile legati ad alterazioni ormonali quali ipotiroidismo o disfunzioni surrenali.
La prima infanzia è determinante per la formazione della tendenza all'obesità: lo sviluppo delle cellule adipose è più elevato, quindi è maggiore il rischio che un accumulo di grasso determini un eccesso di peso.
Una cattiva o un'eccessiva alimentazione abbinata a una ridotta attività fisica e a un insufficiente dispendio di energie sono le cause principali del disturbo che oggi, interessa un bambino su tre.
L'eccesso di peso nei bambini non è dovuto soltanto al loro appetito vorace, ma anche, e soprattutto, al fatto che mangiano spesso e male. Gli spuntini fuori pasto rappresentano uno dei vizi peggiori, specie se sono costituiti da prodotti industriali ipercalorici e ricchi di grassi nascosti. Per prevenire l'obesità bisogna correggere prima di tutto le cattive abitudini alimentari dei bambini e di tutta la famiglia.
Senza una eccessiva introduzione di cibo, anche in presenza di una congenita predisposizione, non ci sarebbe obesità, così anche se molti obesi lamentano di mangiare poco è certo che per diventarlo hanno mangiato molto; in altre parole, per mantenersi grassi bastano anche poche calorie in più, per diventarlo ne occorrono molte in più. Le ricerche effettuate sulle modalità di approccio con il cibo nei bambini e negli adulti concordemente a ciò hanno dato risultati differenti; i bambini obesi mangiano di più e più velocemente dei loro coetanei mentre, negli adulti, si sono riscontrate solo variazioni insignificanti. Una differenza è stata riscontrata solo rispetto al cibo preferito: gli obesi riescono ad ingurgitare quantità esagerate di un cibo molto gradito rispetto ai soggetti normopeso. Gli eccessi compulsivi di cibo sono reperibili solo in un ristretto numero di soggetti con disordini depressivi, mentre è comunque diverso il significato attribuito al cibo dalle persone magre e da quelle obese; per queste ultime esso assume connotazioni affettivo-emotive, di amore, forza, salute, sicurezza che spiegano l’attaccamento dell’o­beso al cibo.
All'origine dell'obesità possono esserci, però, anche fattori familiari. Un bimbo con un genitore obeso ha, infatti, il 40% delle probabilità di sviluppare obesità e la percentuale raddoppia quando entrambi i genitori sono obesi (Sowan e Stember, 2000). Quindi avere uno o più genitori con eccesso di peso comporta un maggior rischio per bambini e adolescenti di avere lo stesso problema. Più precisamente, da un indagine ISTAT (2000), risulta che, in presenza di entrambi i genitori in sovrappeso, la percentuale di ragazzi nella fascia di età esaminata che presentano lo stesso disturbo è di circa il 34%, mentre la quota scende al 18% se nessuno dei due genitori lamenta un eccesso di peso. La percentuale è di circa il 25% se  a pesare troppo è solo la mamma (25,4%) o solo il papà (24,8%). Inoltre, se in famiglia c'è almeno un adulto obeso, senza tener conto del grado di parentela, i bambini tra i 6 e i 13 anni con problemi di peso sono ben il 42,1%.
Esiste una correlazione significativa di peso fra gemelli monocoriali; il BMI di ragazzi adottati sembra mantenere una correlazione con i genitori di origine (soprattutto la madre) anziché con quelli acquisiti. Tutti questi dati non possono non far sospettare che all’origine della obesità ci siano anche alterazioni genetiche (Robb, Adelaide, 2002).
L'obesità, sotto certi aspetti, può considerarsi un problema di natura ereditaria e, sotto altri, una conseguenza di fattori ambientali.
Per quanto riguarda la natura ereditaria dell'obesità sono state evidenziate alterazioni di alcuni geni aventi un ruolo nella produzione delle cellule adipose, ma gli studi sono tuttora in corso (Confalone, 2002).
Sulle conseguenze ambientali i dati, invece, parlano chiaro. L'esempio della famiglia è fondamentale: non si può parlare di educazione alimentare se i genitori non iniziano per primi a seguire una dieta equilibrata.
Considerando lo status socioeconomico, ed in particolare il titolo di studio della madre, emerge che il rischio di obesità infantile è superiore nel caso in cui la madre ha la licenza elementare o nessun titolo di studio (25,9% di bambini e adolescenti con eccesso di peso) rispetto a quello in cui il titolo di studio della genitrice è una laurea o un diploma di scuola media superiore (22,5%). La percentuale di ragazzi obesi o in sovrappeso si attesta al 25,1% nel caso in cui la madre sia in possesso di una licenza di scuola media inferiore.
Infine, in tema di status socioeconomico si nota che la percentuale dei ragazzi tra i 6 e i 17 anni di età con eccesso di peso sia del 26,6% nel caso in cui il giudizio sulle risorse economiche della famiglia è negativo, mentre scende al 23,1% se le disponibilità economiche familiari vengono considerate ottime o comunque adeguate.
Anche un'esperienza emotiva traumatizzante, può essere un fattore scatenante dell'obesità. Infatti, molti casi insorgono dopo avvenimenti sconvolgenti o, durante periodi di grave stress emozionale. Ogni persona reagisce diversamente ad alcuni fattori di stress come, il cambio di residenza, di scuola, la perdita di un amico, di un parente, di un animale o di qualcosa di amato, di tensioni familiari, forti traumi dopo aver assistito a un incidente, essere stati maltrattati o abusati, ecc.. In queste situazioni il cibo viene utilizzato per riempire il vuoto interiore. Attraverso esso per alcune persone è possibile controllare l'ansia e la depressione (Bryant-Waugh e Lask, 2000).
Per quanto riguarda gli stili di vita, una delle maggiori cause di obesità e sovrappeso infantile è la sedentarietà, tanto che si tende sempre più a dare maggiore importanza al basso dispendio energetico conseguente ad una vita sedentaria, senza nessuna attività fisico-sportiva, rispetto all'assunzione di cibi molto calorici.
L’obesità determina difficoltà di movimento e inattività e quest’ultima incrementa l’obesità; è stato osservato che i bambini obesi mostrano una ridotta attività motoria in confronto alla loro vivace attività intellettiva, ed inoltre a parità di peso i figli di genitori obesi hanno un dispendio energetico ridotto ed avrebbero bisogno di una attività fisica superiore ai soggetti normali, che possa incrementare il metabolismo basale al contrario dell’inattività che lo deprime (Creff, Herschberg, 1981).
Il sistema endocrino e le sue connessioni con la corteccia mediante la neuroipofisi e l’ipotalamo, rappresentano il tramite tra le cause psicologiche e l’effetto obesità. Può trattarsi di un difetto di ormoni lipolitici come nell’ipopituitarismo, ipotiroidismo, ipogenitalismo, o al contrario un eccesso degli ormoni che favoriscono la liposintesi come l’insulina

4. Le conseguenze

L'obesità può avere numerose conseguenze già a partire dai primi anni di vita del bambino. Gambe ad arco, piedi piatti, difficoltà respiratorie, disturbi dell'apparato digerente, affaticabilità sono solo alcune delle complicazioni cliniche connesse all'eccesso di peso. Questi problemi sono spesso associati a una riduzione delle attività esplorative del bambino, importanti invece per il suo sviluppo fisico ed emotivo.
Tra le conseguenze precoci le più frequenti sono rappresentate da problemi di tipo respiratorio (affaticabilità, apnea notturna), di tipo articolare, dovute al carico meccanico (varismo/valgismo degli arti inferiori, ossia gambe ad arco o ad "X", dolori articolari, mobilità ridotta, piedi piatti), disturbi dell'apparato digerente, disturbi di carattere psicologico: i bambini obesi possono sentirsi a disagio e vergognarsi, fino ad arrivare ad un vero rifiuto del proprio aspetto fisico. Un bambino sovrappeso può ispirare simpatia e tenerezza, ma già nell'età pre-scolare, il suo aspetto fisico può trasformarsi in un vero e proprio ostacolo alla vita di relazione, sviluppando nel piccolo un senso di insicurezza e di tendenza all'isolamento. Spesso sono bambini derisi, vittime di scherzi da parte dei coetanei e a rischio di perdere l'autostima e sviluppare un senso di insicurezza, che li può portare all'isolamento: escono meno di casa, stanno più tempo davanti alla televisione, instaurando un circolo vizioso che li porta ad una iperalimentazione reattiva.
Per quanto riguarda le conseguenze tardive, occorre sottolineare che l'obesità infantile rappresenta un fattore predittivo di obesità nell'età adulta. Oltre ad avere una maggiore predisposizione al sovrappeso/obesità, la persona che è stata obesa da piccola, risulta maggiormente esposta a determinate patologie, soprattutto di natura cardiocircolatoria (ipertensione arteriosa, coronaropatie), muscoloscheletrica (insorgenza precoce di artrosi dovuta all'aumento delle sollecitazioni statico-dinamiche sulle articolazioni della colonna e degli arti inferiori, più soggette al carico), conseguenze di tipo metabolico (diabete mellito, ipercolesterolemia, ecc.), disturbi alimentari, fino allo sviluppo di tumori del tratto gastroenterico.
Da non sottovalutare, come già evidenziato, sono le conseguenze di tipo psicologico, che possono trascinarsi ed amplificarsi negli anni. Il disturbo può arrivare a stravolgere la vita del soggetto e i suoi rapporti sociali: si comincia col rifiutare gli inviti degli amici fino a chiudersi in se stessi, vittime del proprio problema, che sembra senza via di uscita (Confalone, 2002).
Così come le cause, anche i problemi, cui va incontro un bambino obeso, sono di doppia natura. Da un lato, infatti, abbiamo disturbi prettamente clinici, come quelli alla circolazione, alla respirazione, e altre disfunzioni correlate allo sviluppo armonico del fisico. Dall’altro, invece, esistono problemi di carattere psicologico, legati alla corretta percezione dello schema corporeo, alla socializzazione e all’integrazione nel gruppo dei pari.

5. Caratteristiche di personalità e obesità

L’obesità evolutiva inizia spesso nei primi anni di vita come semplice sovrappeso, ma si manifesta soprattutto nell’età adolescenziale, quando i cambiamenti somatici mettono in discussione tutta la struttura della personalità, per cui questi soggetti, che hanno vissuto già una situazione di insufficienti gratificazioni psichiche e per converso un eccesso di gratificazioni materiali, cominciano, di fronte alle difficoltà dell’inserimento sociale, a investire di nuovo il cibo di significati diversi (Gabbard, 1992).
Mostrano introversione e difficoltà nei rapporti con gli altri, facile tendenza alle frustrazioni, e si sentono poco accettati e poco piacevoli sul piano fisico, e per queste ragioni si rifugiano nel cibo come unica alternativa e come fase regressiva; ciò che dovrebbe essere lo sviluppo psichico, quindi sostenuto da una “fame” di stimoli sociali e culturali, viene vissuto invece come sviluppo somatico e quindi come bisogno di cibo (Bruch, 1973).
In questi soggetti si manifesta compiutamente il valore sostitutivo e compensatorio del cibo, cui si lega indissolubilmente l’importanza che assume per l’obeso l’aumento ponderale, che viene vissuto come situazione di onnipotenza, di forza, ma anche come possibilità di celare la propria fragilità, immaturità e bassa soglia alle frustrazioni, che peggiora con gli inevitabili problemi fisici e soprattutto con le fantasticherie di onnipotenza. A questo punto il dimagrimento finisce per essere investito di significati eccessivi, come la speranza di affermarsi o di avere successo, ma più o meno inconsciamente, sanno che è una fantasticheria, ed è frequente che queste persone, iniziata una cura dimagrante, la interrompano ad un certo punto e senza apparenti motivi, spesso riacquistando il peso di partenza, perché sono ovviamente enormi le difficoltà di affrontare tutte le situazioni che da obesi possono continuare a negare e a spostare in un ipotetico futuro, mentre una volta raggiunto il peso ideale, non potrebbero più evitare; tutto ciò porta gli obesi ad isolarsi ed a rinchiudersi in se stessi, sviluppando in compenso doti intellettuali spesso al di sopra della media.

6. Obesità e disagio psicologico

Gli obesi hanno molte cose in comune con il carattere depressivo, ma, a differenza di esso, la loro depressione si presenta maggiormente a livello comportamentale piuttosto che psichico. In questo senso, il cibo assolve la funzione di un oggetto sostitutivo, che apparentemente dovrebbe renderli autonomi, rispetto ai rapporti interpersonali. In effetti, come è tipico di tutte le situazioni di questo genere, la delusione del cibo, vissuto come sostituto d’oggetto, li spinge a ricorrervi sempre più spesso (Sassaroli, 1999).
L’aspetto più evidente del carattere dell’obeso è la modalità relazionale che tende a costituirsi come una forte dipendenza da un oggetto esterno che dovrebbe essere fonte di sicurezza e di aumento dell’autostima e della forza; altra peculiarità è la loro difficoltà a riconoscere e differenziare gli stimoli interni: essi hanno grande difficoltà a distinguere tra fame e voracità. La fame è una sensazione che parte dallo stomaco e che tende quindi a calmarsi con il mangiare, mentre la voracità è invece collegata alla bocca, ad un bisogno di masticare, ingurgitare, che non è invece facilmente e rapidamente estinguibile, a tal punto che la voracità viene spesso bloccata solo quando si arriva ad uno sgradevole senso di pienezza-gonfiore dello stomaco (Marcelli, Braconnier, 1998).
Essi hanno, inoltre, una marcata difficoltà ad esprimere un’opposizione, e ciò soprattutto perché non tollerano minimamente che il loro comportamento possa suscitare ostilità o risentimento negli altri. In questo senso tendono ad ingoiare tutto, anche le cose sgradevoli, per cui l’unico modo poi per rifarsi è quello di essere “ingombranti”.
I bambini obesi spesso non accettano il rifiuto dell’altro, che è vissuto come una minaccia alla propria integrità, ed il cibo viene visto come fonte di vita e di forza tutto questo legato anche alla tendenza alla intrusività ed alla invadenza che sono state massicciamente represse a causa dell’angoscia collegata al timore di essere scacciati e rifiutati. Essi vivono il timore di essere rifiutati come una frustrazione gravissima ed insopportabile. Per questo, sintomaticamente, essi hanno trasformato la loro intrusività in un aumento della massa corporea, che li porta ad invadere uno spazio maggiore, ma senza correre il rischio di poter essere rifiutati. L’occupare spazio è una caratteristica specifica dell’obeso e rappresenta la esplicitazione somatica di una intrusività psichica (Glucksman et al., 1978; Fairburn, 1997).
L’obesità rappresenta il risultato di una tipica modalità relazionale, per cui questi soggetti hanno bisogno di un oggetto rassicurante che identificano con il cibo, e questo li rimanda alla situazione fondamentale della relazione madre-bambino; quando sono stati accuditi i bisogni materiali del bambino a scapito delle sue esigenze psichiche, si crea un meccanismo più massiccio di introiezione, poiché questa avviene maggiormente quando c’è un oggetto insoddisfacente, deludente, e pertanto il soggetto, attraverso l’introiezione, tende a mantenere il pos­sesso dell’oggetto, ma si tratta di un oggetto dete­riorato (Bruch, 1973; Reda, 1986; Cuzzolaro, 1988; Liotti 1994).
E’ stato osservato che nella coazione a mangiare, che consiste nella implicita negazione della perdita dell’oggetto, mediante l’atto di incorporare ripetutamente e continuamente l’alimento che lo rappresenta, l’obeso nega di aver perduto o distrutto l’oggetto, e cerca di mantenere un contatto diretto con i suoi sostituti, gli alimenti, per poter credere nella loro esistenza; ma questo testimonia anche l’esistenza in loro di una dedizione simile nei confronti di alcune persone, dalle quali essi arrivano a dipendere: sia gli alimenti sia le persone cui tali soggetti si attaccano, raggruppano qualità che rappresentano le caratteristiche dell’oggetto primitivo (Grinberg, 1983).
Nella formazione di questa dinamica sono fondamentali i contesti familiari nei quali i figli vengono utilizzati come oggetti per compensare le insoddisfazioni e le frustrazioni sociali dei genitori, e nei quali appunto l’iperalimentazione è un tentativo incongruo di dare qualcosa in più, ma anche, inconsciamente, di rendere dipendente e non autonomo il figlio, da cui si osservano poi le difficoltà dei soggetti nell’affrontare la vita sociale.
I risultati di una ricerca condotta negli Usa sull’obesità infantile mettono in evidenza come l’obesità infantile fa male non solo al corpo ma anche alla mente del bambino che ne soffre, provocando disturbi depressivi e tendenza ad opporsi alle regole, assumendo un atteggiamento detto disturbo oppositivo provocatorio. A queste conclusioni è arrivato uno studio condotto dalla dottoressa Sarah Mustillo, della Duke University Medical Center di Durham, in North Carolina. La ricerca, che è durata otto anni, ha coinvolto mille bambini dai 9 ai 16 anni. Come spiegato sulla rivista Pediatrics, i bambini cronicamente obesi in tutti gli anni dello studio mostrano una tendenza doppia a sviluppare il disturbo oppositivo provocatorio e i maschi sono ben quattro volte più inclini a presentare sintomi depressivi rispetto ai bambini non obesi. Dall’indagine, inoltre, è emerso un altro dato rilevante, la percentuale dei bambini con obesità cronica è tre volte più elevata di quanto previsto in base all'uso dei più recenti criteri stilati dai Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie. Nel campione esaminato, rileva Mustillo a ulteriore sostegno della sua tesi, nessun bambino o adolescente presentava particolari predisposizioni, o storie familiari di malattie psichiche, né vi erano differenze nell'esposizione ad eccesso di medicinali o ad eventi traumatici nel contesto familiare. Per quanto la percentuale di soggetti in sovrappeso aumentasse con l'età, osserva l'autrice dello studio, sono emerse alterazioni comportamentali consistenti solo negli obesi cronici. Nessuna variabilità rispetto alla media è emersa nel gruppo di bambini il cui peso oscillava negli anni, sia tra coloro che erano in sovrappeso solo nell'infanzia, corrispondenti al 5% del campione, sia tra gli adolescenti obesi che però non lo erano da bambini, il 7,3% del campione. Nessun aumento rispetto alla media dei casi di malattie psichiche, precisa Mustillo, si ha tra i soggetti che non presentano problemi di sovrappeso, il 73%. I bambini permanentemente obesi, invece, secondo lo studio, manifestano spesso alterazioni del comportamento fino ad arrivare a vere e proprie sindromi depressive, frequenti soprattutto nei maschi.
Secondo la Mustillo, poiché gli studi in quest'ambito sono finora pochissimi, non si può ancora dire quale sia il nesso causale tra obesità e disturbi psichici, ipotizzando che i problemi comportamentali insorgano in seguito all'emarginazione sociale cui spesso vanno incontro gli obesi, anche i più piccoli, o alla difficoltà nello svolgere alcune normali attività che, di fatto, li isola dai propri coetanei. “Ma potrebbe anche essere che disordini psichici presenti già di per sé nel bambino, contribuiscano ad alterare il normale rapporto col cibo e, così, a favorire a loro volta il soprappeso”, sottolineando che i genitori, dal canto loro, hanno un ruolo fondamentale nel prevenire disturbi comportamentali nei figli in sovrappeso (www.italiasalute.it).
Un altro aspetto di fondamentale importanza per inquadrare la psicopatologia del bambino obeso è lo schema corporeo che nel bambino obeso è spesso alterato. Questo aspetto si differenzia tra i generi. Nelle bambine obese l’obesità è un mezzo attivo di affermazione della virilità del proprio corpo che nega la castrazione, mentre per il bambino obeso questa rappresenta una protezione passiva contro le angosce di castrazione, mascherando l’esistenza stessa di questo sesso (Marcelli, 1997). Questo aspetto è ben evidente nei test proiettivi.
L’alterazione dello schema corporeo nei bambini obesi è stata evidenziata anche da Vander et al. (2000). Gli autori hanno paragonato 526 bambini obesi e non che frequentavano le scuole elementari riguardo alla cura per il proprio corpo, alla loro storia alimentare/dietetica, agli effetti del cibo sul corpo ed alla percezione dell’immagine corporea. Sono stati somministrati vari strumenti ed è emerso che i bambini obesi erano significativamente più inclini ad adottare dei comportamenti atti al dimagrimento (dieta), ad essere interessati al controllo del loro peso corporeo, e mostravano un alterazione circa la loro immagine corporea rispetto ai bambini non obesi. Le bambine esprimevano maggiormente questi comportamenti rispetto ai maschi.
Le differenze di genere rispetto alla prospettiva dei bambini obesi a ridurre il loro peso corporeo è emerso da uno studio effettuato su un campione di 1.000 bambini delle elementari, in cui si evince che un terzo delle bambine ha pensato di mettersi a dieta. L'indagine è stata illustrata dal presidente della Società italiana studi sul comportamento alimentare, Fausto Manara (fonte ANSA. www.CNNItalia.it) che ha condotto lo studio.
Anche se si tratta di una ricerca di dimensioni ridotte, risulta evidente che fin dall'infanzia il rapporto con il cibo può essere un vero e proprio problema. Su 1000 bambini ben 328 bambini vorrebbero dimagrire e sono soprattutto le bambine a pensare questo. Il 31% delle bimbe ha detto di sentirsi grassa, sensazione che riguarda solo il 18% dei maschietti.
Il fatto che il rapporto con il cibo sia essenzialmente un problema femminile è confermato anche dal fatto che sono proprio le bambine (32,9% contro il 25,9% dei maschi) a dichiararsi disposte a mangiare meno del solito. Inoltre l’8% fra le femmine e 7,9% fra i maschi sarebbe disposto addirittura a digiunare per almeno un giorno per dimagrire, mentre, sono i maschietti ad avere tentato il vomito per raggiungere tale scopo (4,7% contro il 2,7% delle bambine).

7. La famiglia dell’obeso


Come già sottolineato la famiglia ha un rilevanza importantissima nello sviluppo psico-fisico del bambino obeso.
La famiglia dell’obeso è spesso caratterizzata da un padre debole sottomesso alla figura materna, e che viene additato dalla madre come esempio da non imitare, mentre questa mostra aggressività ed anche prepotenza, svolge un ruolo determinante nell’educazione dei figli, e non riuscendo ad elargire sicurezza ed affetto, compensa con una iperalimentazione. La madre vive nel timore dell’allontanamento del figlio e quindi gli impedisce qualsiasi attività (fisica, sociale, ecc.) che possa renderlo più autonomo, ed è quindi convinta che i suoi desideri rispecchino quelli del figlio, ma comunque a volte alterna momenti di dedizione a momenti di rifiuto del figlio (Selvini Palazzoli et al., 1998).
Questi due aspetti contraddittori tendono a confondere il figlio che non riesce a delineare una sua identità, e pertanto il bambino crescendo in un ambiente così insicuro e ricco di messaggi incoerenti e contraddittori, trova difficoltà a discernere ciò che è essenziale per lui, e quindi è costretto a sottovalutare o coprire le proprie esigenze e di conseguenza la sua individualità (Minuchin, 1976).
Ciò è dovuto alla presenza di legami fragili che scoraggiano lo sviluppo dell’individuo e la sua autonomia, hanno difficoltà ad affrontare problemi e cambiamenti, mentre l’eccessivo stare insieme e la stretta unione, portano ad una mancanza di privacy e quindi ad una scarsa percezione di sé e degli altri: in questo clima, soprattutto crisi familiari o personali, innescano la bulimia.
Inoltre, in questi contesti familiari si osserva un clima di pseudoarmonia che è l’espressione di una eccessiva protezione ed una incapacità a risolvere i conflitti, ed in cui tutto si manifesta con una mancanza di aggressività, con una estrema passività, scarsa stima di sé, forte paura di essere respinti dagli altri, associata ad un grande bisogno di essere aiutati ed essere riconosciuti dagli altri (Brouwers, Wiggum, 1993). 
E’ evidente che nelle crisi di voracità c’è una tendenza depressiva di fondo, che spiega anche i sensi di colpa che questi soggetti hanno nei confronti del loro eccessivo mangiare, la consapevolezza di aver distrutto l’oggetto, simbolicamente rappresentato dal cibo, ma anche la voglia di continuare a mangiare, pur non avendo più la capacità di ingerire cibo, che esprime sia l’insaziabilità di questi soggetti, sia l’inutilità del meccanismo difensivo della voracità; l’equivalenza oggetto desiderato-cibo, porta inevitabilmente ad una delusione continua che innesca perversamente la dinamica dell’insaziabilità, ovvero l’impossibilità di essere soddisfatti.
Le modalità relazionali della famiglia dell’obeso evolutivo mostrano una coppia genitoriale con una elevata conflittualità basata su criteri differenti di vivere e giudicare gli avvenimenti, dai tratti caratteriali e stili di vita difficilmente compatibili; spesso la moglie accusa il marito di essere avido, avaro, mentre lei è prodiga e disponibile, oppure uno dei due mostra particolari sensibilità mentre l’altro è un calcolatore freddo e razionale (Magagna et al. 1994). Queste diversità, anziché essere discusse ed elaborate, vengono esasperate fino al limite di una rottura, che però non avviene mai, si assiste cioè ad un conflitto permanente che si svolge all’interno di posizioni inconciliabili, quindi senza alcuna possibilità di soluzione, ossia di separazione, anzi essi tendono a mantenere la conflittualità ed allargarla sempre più coinvolgendo i figli, che quando raggiungono l’adolescenza e quindi si verrebbero a creare le condizioni per una possibile o simbolica separazione, fanno aumentare i conflitti aumentano; la paura di una possibile separazione innesca meccanismi di falsa coesione o addirittura atteggiamenti coercitivi tendenti a limitare le già scarse possibilità di autonomia del figlio (Shaver, Hazan, 1995).
Da tutto questo il tentativo di falsa risoluzione dei problemi attraverso il cibo, come se tutto ciò che è emotivo possa essere ridotto e risolto in termini orali; sicuramente entrano in gioco fattori ed elementi con particolari valenze simboliche, ma anche perché è la modalità relazionale in cui la madre, con la sua specifica funzione alimentare, può assumere un ruolo determinante. Quindi il cibo viene vissuto come una sorta di panacea per tutti i problemi e per tutti i conflitti, ma proprio perché questa investitura è deludente, aumenta la tendenza a somministrarlo, determinando il circolo vizioso in cui il bambino in questa situazione sviluppa ansia, rabbia e frustrazione che i genitori cercano di sedare con il cibo.
Inevitabilmente il bambino non riesce più a distinguere i suoi reali bisogni, i suoi stimoli endogeni, perché questi vengono negati e sopraffatti dai genitori che impongono i loro bisogni al figlio che non riesce così a sviluppare una situazione di autonomia e di identità, che diventerà obeso non riuscendo a distinguere due stimoli fondamentalmente diversi, ossia la fame e la voracità, in cui predomina quest’ultima proprio perché collegata a stimoli psichici come l’ansia e la rabbia.
Nasce così la prima modalità di risposta, ossia quella di “ingoiare” tutto, perché di fronte ad una coppia in perenne conflitto che non si separa mai e che vive drammaticamente le separazioni, il soggetto è costretto ad una identificazione con l’intera coppia; egli deve introiettare due genitori perché lui non può deluderli, non può separarli, identificandosi con l’uno o con l’altro, ed inoltre in questo caso si assistiamo al fatto che una conflittualità-ostilità anziché favorire una separazione, tenda invece a rinsaldare il legame, non solo tra i due partner della coppia, ma tra questa e il figlio.
Ed è questa mancanza di autonomia e di libertà, questa mancanza di identità, una caratteristica peculiare dell’obeso, insieme alla tendenza a non poter esprimere minimamente una possibilità di aggressività, di opposizione. Non sanno dire di no, non sanno rifiutare le situazioni: “ingoiano”, nel timore che ogni rifiuto sia altamente ostile o pericoloso, forse distruttivo, come hanno appreso dalla dinamica del rapporto genitoriale, gestita all’insegna del disprezzo, della non sopportazione, ma anche della impossibilità a separarsi (Fairburn, 1997; Selvini Palazzoli et al., 1998).
Un’altra possibilità, invece, è quella di mentire ossia manifestare la tendenza a crearsi una situazione fantastica, diversa, che si cerca di contrapporre a quella reale frustrante, il soggetto cerca quindi di crearsi un falso Sé nel quale nascondere un Io debole, dipendente, insicuro; l’evoluzione di questa situazione può essere verso una obesità più o meno stabile, con tentativi di sottoporsi ad una dieta, che al di là della riuscita, non è sufficiente a risolvere la conflittualità psicologia del soggetto. L’obeso, inoltre ,quando decide di dimagrire, connota il dimagrimento di forti fantasticherie magiche, come il diventare bello, l’essere ammirato, il riuscire nella vita, ma quando si avvicina a traguardi accettabili di peso, torna rapidamente indietro, per timore di doversi confrontare con la realtà e dover dimostrare capacità che sa di non avere, e così l’obesità continua ad essere mantenuta, come falso senso di sicurezza e di forza (Sassaroli, 1999).
Spesso il cibo viene offerto al piccolo come surrogato dell'affetto. E questo fa si che il bambino una volta adulto, tutte le volte che si sentirà triste, si consolerà mangiando. Inoltre, sembra che i soggetti predisposti maggiormente all'obesità siano stati bambini molto dipendenti, con un legame con la mamma di tipo simbiotico. Questo vincolo, infatti, non permette al bambino di trovare lo spazio sufficiente per diventare psicologicamente maturo.
Lopez et al. (2000) hanno esaminato le modalità comunicative in famiglie messicane con figli obesi e non. Dalle conversazioni, registrate ed analizzate tramite varie metodologie (Minuchin et al., 1957; Watzlawick et al.,1978; Haley, 1990) emerge che, nelle famiglie con bambini obesi, i padri utilizzavano spesso messaggi mistificatori e meta-messaggi, mentre le madri utilizzavano spesso dei messaggi di rifiuto, ed i bambini tendevano ad evitare il conflitto Nelle famiglie di bambini non obesi, genitori e figli utilizzavano maggiori espressioni che riguardavano l’attenzione all’aspetto fisico.
In ultimo non dobbiamo dimenticare dell’importanza che riveste l’alimentazione per l’instaurarsi di una salda relazione tra madre e bambino. Quando il bambino ha fame viene attivato il comportamento di attaccamento, come motivazione primaria, che ha lo scopo di ottenere la fiduciosa vicinanza della madre e il contatto con lei per poter ristabilire un equilibrio affettivo (Ammaniti, 2001). Nel caso in cui non si instaurasse questo scambio naturale tra bambino e cargiver questo influirebbe nell’instaurarsi di un buon attaccamento e anche sul “sano” sviluppo del comportamento alimentare.

8. Come intervenire?


Dopo questo breve excursus sull’obesità infantile ci si chiede: come è possibile intervenire?
Il Ministero della salute sta attuando una campagna istituzionale di informazione per intervenire sull’obesità infantile, senza peraltro colpevolizzare la condizione di obesità o sovrappeso (www.ministerosalute.it). Ed è quest’ultimo un punto fondamentale, soprattutto quando si ha a che fare con i giovani e in particolare le adolescenti, le quali, nella fase della pubertà, per seguire modelli estetici imposti, sono spesso portate a mettere in atto comportamenti dietetici scriteriati, che innescano squilibri nutrizionali e problemi ancora più seri come la carenza di calcio e ferro o addirittura patologie gravi quali l’anoressia e la bulimia.
Scopo delle campagne di informazione del Ministero della Salute nelle scuole rivolte ai ragazzi è di aiutare a capire che cosa è meglio mangiare ed indirizzarli verso un rapporto sano ed equilibrato con il cibo. Non solo, insegnare ai ragazzi a nutrirsi significa anche educarli a volersi bene a cominciare dal rispetto per il proprio corpo. Non è un percorso facile quello che il Ministero, insieme ad altre istituzioni, si accingono a compiere in quanto, la comunicazione istituzionale di promozione di comportamenti alimentari corretti si scontra con l'affollamento schiacciante di messaggi pubblicitari indirizzati ai giovani e alle loro famiglie promossi dalla comunicazione commerciale.
Il problema dell'obesità è tra le priorità del Ministero della salute nel Piano sanitario nazionale 2002-2004. Il Progetto-obiettivo "Promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione e la comunicazione pubblica sulla salute", si propone di sensibilizzare la popolazione affinché ciascuno adotti un corretto modello alimentare in modo tale da ridurre i fattori di rischio ed aumentare la capacità di controllare, mantenere e migliorare il proprio stato di salute.
Inoltre, la prevenzione dell'obesità è indispensabile anche per gli elevati costi economici e sociali che gravano sul Servizio sanitario nazionale: l'eccesso di peso e le malattie conseguenti costano 22,8 miliardi di euro ogni anno, di cui ben 14,6 (il 64%) in ricoveri ospedalieri.

Iniziative in corso:

1.      È stata istituita una Commissione ministeriale per la nutrizione allo scopo di implementare programmi di educazione alimentare.

2.  Per diffondere e sviluppare una "cultura della corretta alimentazione", il Ministero della salute si avvia a realizzare una serie di campagne di comunicazione istituzionale indirizzate all'intera popolazione ma focalizzando l'attenzione soprattutto sui bambini.

3.  In accordo con il Ministero dell'istruzione, dell'università e ricerca sono previsti momenti formativi e informativi all'interno delle scuole medie anche attraverso la distribuzione di libretti contenenti le informazioni di base per una buona salute.

Nel caso specifico dei progetti comunicativi dove l'attenzione è rivolta all'obesità infantile, si tratta di intervenire su più livelli in quanto, non basta educare i ragazzi alla corretta alimentazione, ma è necessario contare sulla collaborazione della scuola a fornire indicazioni e strategie di comportamento e sulla disponibilità della famiglia a variare abitudini alimentari e stile di vita.
Per questo motivo, i messaggi delle campagne di informazione sono indirizzati verso due Target:
1. Le mamme con bambini 0-14 anni, perché tendono a trasmettere ai figli il loro personale rapporto con il cibo e, in qualità di responsabile acquisti, a condizionare le scelte alimentari della famiglia (target primario);

2.      I bambini stessi e gli adolescenti, perché, influenzati dalla pubblicità e dominati dalle suggestioni del gruppo dei coetanei, tendono a seguire un'alimentazione disordinata.

8.1 L’importanza della prevenzione

La prevenzione dell'obesità deve iniziare nei soggetti a rischio fin dall'età evolutiva con un'educazione che attraversa i vari aspetti della loro quotidianità: scuola, mensa scolastica, genitori e mezzi di comunicazione.
L'approccio medico tradizionale per la terapia dell'obesità basato solo sulla restrizione calorica per un periodo a breve o medio termine ha prodotto, oltre al fallimento del mantenimento del peso raggiunto, l'instaurarsi di danni a carico della sfera psicologica e comportamentale: sensi di colpa, fallimento, bassa autostima, vergogna, depressione e incapacità di controllarsi che sfocia spesso nell'abbuffata e a volte nel vomito.
Il Disturbo da Alimentazione Incontrollata (DAI) corrispondente al Binge Eating Disorder (BED) degli anglosassoni è messo in relazione ai continui fallimenti da diete drastiche (sindrome dello YoYo). L'imposizione di un controllo rigido porta inevitabilmente alla perdita di controllo con una conseguente assunzione calorica non programmata ne controllata.
L'incapacità del rispetto del piano alimentare prescritto, vissuto con senso di vergona, potenzia i pensieri di debolezza e di scarsa volontà già ampiamente sperimentati dall'obeso. Si instaurano in questo modo pensieri fallimentari e colpevolizzanti che compromettono la qualità della vita stessa.
La terapia, visto il fallimento dietetico, va oltre la dieta. Guarda non ai chili ma alla persona che è fatta di vissuti, idee e convinzioni che vanno quasi sempre bonificate.
La gestione di questo programma di rieducazione alimentare e di analisi delle rappresentazioni sociali e personali del cibo non può essere affidato al singolo individuo ma ad operatori (medico-dietista-psicologo) che si fanno carico della persona nella sua globalità.

8.2  L’obesità infantile: una malattia sociale

Medici specialisti, sociologi e psicologi sono tutti concordi. L’obesità infantile è una malattia sociale oltre che clinica.
L’obesità è legata alla cultura in quanto la sua eziologia riassume e simbolizza significati e norme comportamentali prevalenti nella cultura occidentale.
Per intervenire su tale patologia è auspicabile un'azione multidisciplinare, che includa anche gli ambiti della psicologia e della sociologia. Il bambino obeso non deve essere oggetto di cure soltanto da parte del pediatra, ma deve essere seguito da una vera e propria équipe di specialisti, nei vari campi della medicina, delle scienze sociali e della psicologia (Bryant e Lask, 2000).
Come abbiamo già sottolineato, le cause dell’obesità, possono essere diverse: cause fisiologiche, squilibri nell’alimentazione del soggetto, una scarsa attività fisica, cause ambientali, familiari e psicologiche.
L’intervento immediato dal punto di visto medico è quello di prescrivere una dieta, ma il problema presenta altri punti su cui agire: la psicologia del bambino, la sua educazione alimentare e l’attività fisica, il retaggio culturale dei genitori. Diventa, quindi, indispensabile l’azione congiunta di diversi specialisti: endocrinologi, diabetologi, dietisti, psicologi, sociologi ed esperti in attività fisica.

8.3 Il ruolo della famiglia

Di fondamentale importanza per l’intervento sul bambino obeso è la famiglia.
I genitori dovrebbero essere i primi ad accorgersi di un aumento eccessivo di peso del piccolo. Il più delle volte però il forte appetito, per non parlare della voracità tipica di alcuni bambini, viene vissuto come un segnale di benessere e di salute e si tende a stimolarlo e ad assecondarlo (Selvini Palazzoli et al., 1998).
La consapevolezza dei danni alla salute causati da cattive abitudini alimentari nell'infanzia deve iniziare dalla famiglia.
Le indagini epidemiologiche dimostrano che molti bambini già in età prescolare e scolare incorrono in errori nutrizionali qualitativi e quantitativi che certamente non dipendono dalla loro volontà .
I comportamenti alimentari del bambino sono, infatti, decisamente influenzati dal modello culturale che caratterizza il suo contesto socio-familiare, in modo particolare dallo stile di vita, dalle abitudini alimentari, dal personale rapporto con il cibo che ha la mamma e da come vive il suo ruolo di "nutrice" (Golan, Weizman, 2001).
La figura della madre è, dunque, molto importante. È necessario, quindi, con un informazione adeguata e attraverso strumenti di comunicazione efficace, accrescere nelle madri la consapevolezza dei rischi che errate abitudini alimentari comportano per la salute, anche futura, dei figli, aiutandole a scegliere percorsi più salutari: strumenti di prevenzione, questi, sufficienti ad evitare l'insorgere già dall'infanzia di patologie gravi come l'obesità (Ragnetti, 2002). Lo psicologo in stretta collaborazione con il pediatra potrebbe aumentare la consapevolezza di questi aspetti nei genitori. Lo psicologo, inoltre, potrebbe aiutare genitori e figli a analizzare gli aspetti psicologici sottostanti l’obesità e le relazioni familiari/genitoriali. Si potrebbero per esempio costituire dei gruppi di auto aiuto per genitori di bambini obesi allo scopo di affrontare al meglio la condizioni dei loro figli. Attraverso i gruppi d’auto aiuto i familiari del bambino potrebbero soffermarsi sugli aspetti psicologici di tale problematica aiutandosi vicendevolmente.
I gruppi di auto aiuto che vengono descritti da Katz e Bender (1976) come piccole strutture gruppali volontarie, in cui i membri si impegnano per il mutuo aiuto e per la realizzazione di obiettivi particolari sono risultati molto efficaci per aiutare persone che condividono la stessa problematica (Francescato, Putton, 1995). Conoscere persone che condividevano lo stesso problema o situazione; rendersi conto di non essere solo ad avere quel problema (Katz e Bender, 1976; Folgheraiter, 1990; Lieberman 1979; Cecchi, 1993; Dupont, 1988; Francescato, Putton, 1995) sono tra i meccanismi che rendono i gruppi di auto aiuto efficaci. Anche il sostegno affettivo ed informativo, ricevere consigli pratici e utili (Maguire, 1987; Noventa, Nava e Oliva, 1990; Cecchi, 1993) sarebbe di giovamento ai genitori ed ai bambini obesi.
Da una recente ricerca Francescato e Foddis (in corso di pubblicazione) tra i fattori di efficacia proposti in letteratura sui gruppi di autoaiuto, ne hanno evidenziato quattro: la “responsabilizzazione”, l’“identificazione”, lo “scambio di informazioni/consigli” e lo “scambio amicale”. I risultati di tale ricerca, indicano che appare opportuno favorire nei gruppi di auto aiuto principalmente la “responsabilizzazione” ovvero l’assunzione del proprio problema e l’attivazione delle risorse che il soggetto ha in sé stesso, a conferma di quanto affermato da Dupont (1988) e Noventa (1996). Noventa (1999) sottolinea, infatti, come, il principio di base per il cambiamento di comportamenti è «l’autoresponsabilità»; si tratta di un processo importante di riappropriazione della capacità e di gestione della propria salute che viene recuperato ampiamente nei gruppi di self-help ovvero una persona impara a conoscere il proprio problema, a non sfuggirlo, riscoprendo in sé la capacità di affrontarlo e di gestirlo. In questo senso i genitori, grazie ai gruppi di auto-aiuto potrebbero “riappropriarsi della salute dei propri figli”. A volte è necessario che questi siano maggiormente consapevoli dell’importanza che hanno per l’educazione e la salute psico-fisico dei figli.

8.4 La consulenza psicologica

Le persone in sovrappeso hanno una più intensa depressione, un più alto grado di ansia ed una più frequente patologia psicosomatica rispetto ai soggetti di peso normale. In particolare è stata riscontrata una diminuita forza dell’Io ed una ridotta capacità intellettuale (Matzkies, 1982).
La psicoterapia di sostegno è fortemente consigliata per questi pazienti.
Nell’obesità c’è un disturbo del comportamento alimentare. Gli obesi mostrano una notevole dipendenza dagli stimoli esterni rispetto alle persone normali.
La psicoterapia più utilizzata, per questo tipo di patologia, è la terapia cognitivo comportamentale che si basa sulla convinzione che le abbuffate siano associate a certi pensieri o idee negative circa la propria persona, legate alle difficoltà di relazione e alla bassa autostima. I pazienti vengono sollecitati a verificare i pensieri negativi su di sé e le proprie emozioni e aiutati a rivalutarsi. In questo modo verrà affrontata la bassa autostima. Le terapie comportamentali si basano su questo presupposto e propongono dei programmi di modifica del comportamento che puntano ad insegnare l’autocontrollo, il controllo degli stimoli e dell’ambiente, il movimento fisico, il rinforzo positivo (premiazione per incoraggiare il cambiamento), la possibilità di contrattare tra terapeuta e paziente (Garner e Dalle Grave, 1999).
La somministrazione di test proiettivi è un altro aspetto importante della fase diagnostica della patologia. Attraverso essi è possibile per esempio identificare l’immagine corporea del bambino obeso.
Il supporto psicologico al bambino obeso non può escludere, però, un coinvolgimento della famiglia. Come abbiamo visto i vissuti del bambino obeso sono fortemente correlati con il substrato familiare in cui esso è inserito.
Durante il colloquio e opportuno identificare le condotte di sofferenza del bambino, come si relaziona con gli altri, quale significato viene dato al cibo, quale rappresentazione ha del proprio corpo, quali sono le modalità di espressione delle emozioni specialmente di quelle negative, come viene gestito il rifiuto e l'abbandono, come vengono rappresentate le regole sociali e quelle familiari, ecc.. Con i genitori sarebbe opportuno indagare maggiormente, le dinamiche relazionali tra genitori e bambino, le relazioni tra i genitori stessi che, come abbiamo visto, se conflittuali influiscono sulla patologia, come viene rappresentata l’obesità e il cibo, se le frustrazioni, i sensi di colpa dovuti magari ad una percezione dei genitori di non essersi presi carico del bambino in modo adeguato vengano riversate sull’offerta di cibo.
Questi sono solo alcuni degli aspetti di cui si dovrebbe tener conto in un colloquio con il bambino obeso e con i suoi familiari. È opportuno comunque sottolineare che il cibo molto spesso è un surrogato dell’affetto ed è quindi indispensabile nel trattamento dell’obesità tener conto degli aspetti psicologici che sottostanno a tale patologia.

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