mercoledì 25 maggio 2011

L’adolescente e i suoi sistemi

Nel lavoro con bambini e adolescenti è ritenuto dagli psicoanalisti fondamentale il lavoro parallelo con i genitori e con la famiglia, ponendo particolare attenzione ai legami e alla qualità degli affetti intercorrenti tra le persone. Come emerge dalla vasta letteratura sull’argomento, risulta particolarmente determinante nel lavoro terapeutico con i bambini il peso che è necessario riservare ai genitori reali nello stabilirsi del primo contatto e dell’alleanza terapeutica con il piccolo paziente. Come affermano Lucantoni e Catarci (1996), infatti, riferendosi in particolar modo ad uno scritto di Anna Freud, non è possibile escludere i genitori mentre abbiamo in trattamento il loro figlio, poiché essi sono parte fondante del quadro terapeutico ed appare quindi necessario sottolineare la complessità della relazione che intercorre tra la loro patologia e quella del figlio. All’interno di una matrice evolutiva però, a dispetto della “linearità” di contatto con il bambino e i suoi genitori, ci si trova con gli adolescenti a dover valutare, di volta in volta, tanto la capacità del ragazzo di dar voce ai propri genitori interni – possibilità che dovrebbe risultare come la più naturale nel lavoro analitico con i pazienti adulti – quanto la sua incapacità elaborativa, personale e privata, che spinge a dover prendere in considerazione i genitori reali all’interno del contesto terapeutico.
La difficoltà della scelta appare ulteriormente complicata da ciò che viene a costituirsi come uno degli aspetti più tipici dell’adolescenza che risiede nel binomio autonomia/dipendenza, dal momento che non ci si trova più di fronte ad un bambino completamente dipendente dai legami familiari, ma neanche davanti ad un adulto che abbia affrontato un percorso separativo dalle figure genitoriali.
L’adolescente, alle prese con le problematiche di perdita e di delusione, dipende ancora in modo sostanziale dall’ambiente, in altre parole dalle figure significative della sua vita quotidiana. A differenza di quanto accadeva nel passato, ora però, egli desidera soprattutto distanziarsi da esso, per potersi garantire uno spazio privato, entro cui forgiare la propria identità ed una nuova e più completa rappresentazione di se stesso. In questo contesto relazionale, non solo gli adolescenti, ma anche i loro genitori sono profondamente coinvolti.
È indiscussa ormai l’importanza rilevante della posizione psichica dei genitori nell’evolvere della crisi adolescenziale del figlio. I genitori, se psichicamente adulti, hanno gli strumenti per affrontare positivamente la loro crisi di mezza età, elaborando la posizione depressiva che si propone con nuovi e specifici temi in quest’epoca della vita. Nei vissuti parentali, tornano pregnanti le tematiche relative alla separazione-individuazione: c’è da affrontare, ad esempio, il distacco dal figlio che cresce e si allontana. Movimenti ed esiti di questa elaborazione sono parte integrante delle realtà ambientali in cui l’adolescente si trova a vivere ed a “mutare”, incidendo in modo significativo sulla sua evoluzione (Aliprandi, Pelanda, Senise, 1990).
Tutti gli autori che si sono occupati di adolescenza hanno sottolineato il fatto che il processo di separazione dell’adolescente, dalla sua famiglia, è un momento particolarmente importante per la sua crescita e per quella del suo sistema familiare. I cambiamenti che avvengono nell’adolescente non lasciano, infatti, immutato il sistema familiare, il conflitto che egli vive tra separazione e autonomia vengono espressi in diversi modi (verbale, silenzi, provocazioni, aggressività verbale; e non verbale, modo di vestire, rapporto con il cibo) e spingono l’intero sistema familiare a riorganizzarsi (Moderato, Rovetto, 2001).
Secondo Scabini (1995) l’atteggiamento dei genitori più adeguato è quello della protezione flessibile che permetta l’emergere dei bisogni di autonomia e di differenziazione e nello stesso tempo di dipendenza, protezione e appartenenza. Secondo vari autori (Scabini, 1995; Minuchin, 1974) un equilibrio tra livelli moderati di coesione e di individualità consente al sistema familiare di trasformarsi e all’adolescente di rendersi autonomo pur mantenendo un senso di appartenenza.
Questo processo di separazione-appartenenza diventa difficile, invece, nelle famiglie “invischianti” in cui sono fortissimi i legami di dipendenza e nelle famiglie “disimpegnate” in cui non è presente un senso di appartenenza, in cui i membri sono tra loro indipendenti (Moderato, Rovetto, 2001). Genitori effettivamente distanti non possono soddisfare i bisogni dei figli, i quali si sentono rifiutati, non amati e non possono ricorrere a loro per risolvere il loro conflitti adolescenziali (Greenberg e Mitchell, 1990).
In questi ultimi casi, madre e padre rimangono assenti o deboli nei confronti del figlio, a cui è resa impossibile la lotta e la presa di distanza psichica. L’adolescente rimane allora invischiato nell’universo narcisistico primario, con legami collusivi e confusivi sia nella dialettica identificatoria sia nelle relazioni intergenerazionali (Aliprandi, Pati, 1996). Occorre perciò individuare, all’interno delle dinamiche psichiche in gioco nel rapporto genitori-figli, le condizioni necessarie all’adolescente affinché egli sia in grado, al termine dell’adolescenza o all’inizio dell’età adulta, di confrontarsi con l’angoscia depressiva. Tra dipendenza e indipendenza, come il bambino di un tempo, l’adolescente è impegnato a salvaguardare la propria identità, a non tradire se stesso. In tale contesto emotivo, risulta necessario che l’ambiente, in particolare i genitori reali, riprenda attivamente nei confronti dell’adolescente quella funzione di holding specifica dell’antico rapporto tra madre e bambino, declinata ora soprattutto in termini di holding mentale (Winnicott, 1965).
Ciò che quindi è in primo piano nell’adolescenza e che rende particolarmente complesso lo svolgersi del secondo processo di separazione-individuazione (Blos, 1962) è il tema della perdita. Come afferma Giacometti: “la perdita delle vecchie rappresentazioni rassicuranti dell’infanzia, sia per il figlio che per i genitori, rende necessaria una diversa regolazione del rapporto di vicinanza e distanza e rimette in discussione l’equilibrio tra continuità e cambiamento, anche perché, è proprio l’esperienza di discontinuità a creare le condizioni per una ricerca personale” (1996, p.53). Il continuo oscillare, quindi, tra lo spazio privato, nuovo e ancora incerto e lo spazio comune condiviso con i genitori dell’infanzia, rende possibile l’affermazione di una propria seppur embrionale identità adulta attraverso il confronto con le figure di riferimento; come afferma Winnicott nel 1968, infatti, “la ribellione adolescenziale [...] deve essere raccolta, deve esserle data realtà attraverso un atto di confronto; laddove vi è la sfida del ragazzo o della ragazza che cresce, vi sia un adulto pronto a raccogliere la sfida”. Ciò può non avvenire, a causa delle identificazioni del figlio adolescente con le immagini che i genitori hanno di lui, quando queste immagini vengano ad essere distorte dall’effetto delle identificazioni proiettive parentali (Zinner, Shapiro, 1972). Come afferma Marohn (1988) infatti, “gli adolescenti stanno lottando per trasferire gli attaccamenti agli oggetti-Sé dai genitori verso l'esterno e per modificare le rappresentazioni interne rispecchianti e idealizzanti entro strutture internamente regolate. Conseguentemente, ogni uso dell'adolescente, da parte dei genitori, potrà essere pericoloso per la sua struttura psichica”.
Appare utile allora valutare nel lavoro terapeutico la qualità dello spazio tra famiglia rappresentata e famiglia reale (Reiss, 1989), in cui si inseriscono l’elaborazione soggettiva, i processi inconsci di ciascuno e l’intensità e il peso delle identificazioni proiettive che gravano, spesso, sul figlio adolescente, come riattivatore di dinamiche intrapsichiche irrisolte nella storia personale dei genitori. Difficile, in questo senso, per ogni genitore riconoscere le modificazioni sessuali, cognitive e relazionali del proprio figlio che entra nell'adolescenza, ma quasi impossibile per quei genitori che non sono stati in grado di elaborare loro stessi il peso e l'assunzione della crescita. Il concetto di identificazione proiettiva potrebbe essere letto come parte integrante e costituente del fenomeno noto come trasmissione intergenerazionale di vissuti, fantasie, traumi, lutti non elaborati, che vengono spesso “agiti” da una generazione all'altra, senza spazi di pensiero e possibilità di modificazione. L'identificazione proiettiva, infatti, non sarebbe altro che l'esternalizzazione, attraverso l'agire, di una relazione oggettuale interna (Turillazzi, Manfredi, 1994). Può accadere, allora, che “lo spazio di ricontrattazione delle relazioni sia saturato dalla riproduzione e riattualizzazione di immagini passate, che segnalino la persistenza di tematiche non elaborate nella generazione precedente ed il mancato processo di formazione di una coppia capace di costituire un luogo di delineazione adeguato al processo di separazione e di individuazione” (Giacometti, 1996, p. 54).
Il lavoro di Jeammet (1999) sulla patologia della dipendenza, a questo proposito, si pone come un punto cardine dove si incontra e si potenzia la difficoltà ed il senso di colpa del ragazzo, giacché crescere, nella fantasia inconscia, è implicitamente un atto aggressivo (Winnicott, 1968) con l'impossibilità da parte del genitore a rinunciare a parti di sé, proiettivamente identificate nel proprio figlio.
Spesso, da parte dei genitori, si è verificata un’utilizzazione del figlio al fine di contro-investire fantasmi repressi del proprio passato; egli quindi non è riconosciuto nella sua differenza, quanto piuttosto come un oggetto che ha la funzione di placare i conflitti genitoriali che non possono diventare oggetto di un lavoro di elaborazione sulla base di rappresentazioni accessibili all’Io (Jeammet, 1999).  
Come afferma Jeammet (1999) è impossibile non percepire – contemporaneamente al più leggibile desiderio di porre una distanza tra sé e gli oggetti primari – “il desiderio quasi cosciente, represso ma non rimosso, di un contatto con qualcuno, la speranza confusa che l’analista vada al di là di ciò che il ragazzo esprime, che lo aiuti a capire meglio ciò che gli succede”. Ed è proprio al fine di essere “scoperti” senza dover ammettere il proprio bisogno di essere visti, che l’adolescente ricorre all’uso di “diari e lettere lasciati incustoditi in modo apparentemente casuale, traducendo così il conflitto inconscio di esibire la propria nascente intimità ma al tempo stesso di prolungare la comunanza simbiotica della propria vita intima con quella dei genitori” (Novelletto, 1991, p. 40).
Un aspetto specifico della psicoterapia con gli adolescenti è relativo all’intensità e alla qualità dei sentimenti, semplicemente umani e personali, che i bambini e gli adolescenti evocano nel terapeuta, ovvero al tipo di emozioni controtransferali e alla disponibilità e capacità a tollerarli.
Mai, come nel  lavoro con gli adolescenti il terapeuta è confrontato con un problema di lealtà, che se pure in parte sintonico e frutto dell’identificazioni proiettive adolescenziali è, non per questo meno concreto e drammatico, passaggio comunque irrinunciabile per ogni effettiva alleanza terapeutica (Giannotti, Sabatello, 1994). I conflitti di lealtà sono particolarmente indicati a provocare certe reazioni di “controtraslazione” del terapeuta, in quanto lo sollecitano a staccarsi dal suo contegno di “imparzialità partecipe”: egli parteggia ad esempio per i genitori contro il figlio, oppure per il figlio contro i genitori, oppure per una generazione contro l’altra, aggravando in questo modo i conflitti di lealtà familiari (Stierlin, 1979). I temi della responsabilità e della colpa genitoriale, il timore persecutorio del giudizio, sono quelli che il terapeuta si trova innanzi tutto ad affrontare, prima dentro di sé, nei rapporti con i propri vissuti controtrasferali, e poi con il paziente ed i suoi genitori “Il terapeuta non oscilla forse tra l’identificazione empatica attraverso la propria adolescenza, la distanza benevola o rabbiosa per un periodo della vita (propria) ormai trascorso o l’identificazione genitoriale con, centrale, il tema dell’Edipo e dell’incesto?” (Giannotti, Sabatello, 1994, p.42)

Riferimenti Bibliografici

Aliprandi M. e Pati A.M. (1996), Sulla depressione in adolescenza, «Archivio di psicologia neurologia e psichiatria», vol. 57, pp. 454– 476.
Aliprandi M., Pelanda E., Senise T. (1990), Psicoterapia breve di individuazione, Feltrinelli, Milano.
Blos P. (1967), The second individuation process of adolescence, «Psychoanalist Study child», vol. 22, pp.162-186.
Blos P. (1962), L’adolescenza, Franco Angeli, Milano.
Bollas C. (1987), L’ombra dell’oggetto. Psicoanalisi del conosciuto non pensato, Borla, Roma.
Bonamino V. e Di Renzo M. (2003), L’imprescindibilità dell’altro. Un percorso nel pensiero clinico di Winnicott sul sé e l’altro, e il lavoro di controtransfert dell’analista nella situazione psicoanalitica, Franco Angeli, Milano.
Ferro A. (1987) Il mondo alla rovescia. L’inversione del flusso delle identificazioni proiettive, Rivista di Psicoanalisi, 33.
Gabbard G.O. (1994), Psichiatria psicodinamica. Nuova edizione basata sul dsm-iv, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Giacometti k. (1996), L’evento separativo nella famiglia tra ripetizione e creatività, Franco Angeli, Milano.
Giannakoulas A. e Fizzarotti Selvaggi S. (2002), Il counselling psicodinamico, Borla, Roma.
Giannotti A. e Sabatello U. (1994), Lo psicoterapeuta de bambini e adolescenti. Riflessioni su identità e formazione. In Rrichard e Piggle (a cura di), vol.1, p. 36-52.
Greemberg J. R. e Mitchell S.A. (1986), Le relazioni oggettuali nella teoria psicoanalitica, tr. It., Il mulino, Bologna.
Jeammet P. (1999), Psicopatologia dell’adolescenza, Borla, Roma.
Laplanche J. e Pontalis J.B. (1967), Enciclopedia della psicoanalisi, Laterza, Bari.
Loriedo C. e Vella G. (1985), Il coinvolgimento del terapeuta con la famiglia, «Terapia familiare», vol.18, i.t.f.
Losso R. (2001), Il mito familiare: fonte di transfert familiari,  «Interazioni, vol. 1, p 59-67.
Lucantoni C. e Catarci L. (1996), L’intervento terapeutico con i genitori: dalla richiesta alla motivazione. In Richard e Piggle (a cura di), vol.4, n.1.
Marohn R. C. (1998), The adolescent as selfobject: parents and their children. Relazione presentata all’undicesima conferenza annuale in psicologia del sé. Washington, 14 ottobre.
Minuchin S. (1974), Famiglie e terapia della famiglia. Trad. It. Astrolabio, Roma, 1976.
Moderato P. e Rovetto F. (2001), Psicologo: verso la professione, Mcgraw-Hill, Milano.
Nicolò A.M. e Corigliano C. (1999),  La scelta del setting con la famiglia dell adolescente, «Interazioni», vol.1.
Nicolò A. M. (1983), Sull’uso del controtransfert in terapia familiare: spunti per una discussione, «Terapia familiare», vol.13.
Nicolò A.M. e Trapanese G. (2005), Quale psicoanalisi per la famiglia? Franco Angeli, Milano.
Norsa D. e Zavattini G.C. (1997), Intimità e collusione. Teoria e tecnica della psicoterapia psicoanalitica di coppia. Rafaello Cortina, Milano.
Novelletto A. (1991), Psichiatria psicoanalitica dell’adolescenza, Borla, Roma.
Ogden T.H. (1982), Projective identification and therapeutic tecnique, Norhtvale, Jason Aronson.
Reiss D. (1989), La famiglia rappresentata e la famiglia reale: concezioni contrastanti della comunità familiare. In Sameroff A.J. e Emde R.N. (a cura di), I disturbi delle relazioni nella prima infanzia, Tr. It. Bollati Boringhieri, Torino 1991.
Ruffiot A., Eiguer A., Litovsky D., Liendo E., Gerad-Liendo, Perot M.C. (1981), La thérapie familiare psychanalytique, Tr. It. (1983), Borla, Roma.
Scabini E. (1995), Psicologia sociale della famiglia, Bollati Boringhieri, Torino.
Shapiro R.J. (1983), Il controtransfert, «terapia familiare, vol.13.
Scharff D.E. e Scharff J.S. (1991), Object relations family thetapy, Janson Aronson, Northvale, New Jersey.
Stierlin H. (1979), Dalla psicoanalisi alla terapia della famiglia, Bollati Boringhieri, Torino.
Tansey M.J. e Burke W.F. (1989), Understanding contertransference, Hillsdale, The Analitic Press.
Turillazzi e Manfredi S. (1994), Le certezze perdute della psicoanalisi clinica, Raffaello Cortina, Milano.
Winnicott D.W. (1965), Sviluppo affettivo e ambiente, Tr. It. Armando, Roma 1970.
Winnicott D.W. (1968), Concetti contemporanei sullo sviluppo dell’adolescente e loro implicazioni per l’educazione superiore. In Gioco e realtà (a cura di) Tr. It., Armando, Roma 1974.
Winnicott D.W. (1975), Jeu et realitè: l’espace potentiel,  «Concepts actuels du developpement de l’adolescent gallimard», Paris,  vol.  1.
Zinner J. e Shapiro R. (1999), L’identificazione proiettiva come modalità di percezione e comportamento nelle famiglie di adolescenti. In I fondamenti della terapia familiare basata sulle relazioni oggettuali (a cura di), Franco Angeli, Milano.

Nessun commento:

Posta un commento