giovedì 19 maggio 2011

STORIA E MODELLI DELL’ORIENTAMENTO

L’orientamento può essere definito il modo, l’atto e l’effetto dell’orientare o dell’orientarsi. “Orientare significa porre l’individuo in grado di prendere coscienza di sé e di progredire, con i suoi studi e la professione, in relazione alle mutevoli esigenze della vita, con il duplice scopo di contribuire al progresso della società e di raggiungere il pieno sviluppo della persona umana” (Unesco, Bratislava 1970).
Gli psicologi dell’orientamento, fin dagli inizi si sono posti due domande:
1.     in che cosa le persone che esercitano una professione o si applicano in certi studi differiscono da coloro che ne esercitano un’altra;
2.     in che cosa le persone che riescono bene in una determinata materia o in un lavoro sono diverse da coloro che vi ottengono minor risultato o che non riescono affatto.
Per rispondere a tali quesiti, e per vedere sotto quali aspetti questi sono stati analizzati, dobbiamo percorrere le fasi attraverso le quali possiamo ricostruire le diverse concezioni dell’orientamento e i concetti chiave che ne costituiscono la struttura portante.
La prima fase è quella che Scarpellini e Strologo (1976) definiscono diagnostico-attitudinale, questa assume come modello teorico la ricerca psicofisiologica: centrando l’attenzione sulle componenti psicosensoriali delle prestazioni individuali, ne deriva la convinzione che sia possibile individuare le attitudini dell’individuo definite come disposizioni naturali ereditarie.
Secondo tale concezione, attraverso un esame psicometrico, si conoscono le attitudini del singolo da mettere in relazione con le esigenze delle professioni. Questa si fonda sul tentativo di mettere “l’uomo giusto al posto giusto” (Lawe, 1929) per permettere alla società industriale di ottenere sempre maggiori profitti attraverso un più razionale e produttivo investimento della forza lavoro, perseguendo finalità di maggiori profitti e non certo di autorealizzazione dell’individuo.
Fondamentale in tal senso viene ritenuto il concetto di attitudine, termine con cui si definisce una disposizione naturale di ascendenza psicosensoriale che è possibile misurare attraverso prove e reattivi approntati dalla psicotecnica. Lo scopo prioritario dell’orientamento, secondo questo approccio, è quello di determinare il livello di coincidenza tra le attitudini dell’individuo (sensoriali, percettivo-motorie, legate ai tempi di reazione), da considerarsi come disposizioni prevalentemente naturali presenti in misura diversa da persona a persona e caratteristiche e requisiti di una specifica posizione lavorativa. Si basa quindi sul presupposto che ogni individuo possieda abilità e capacità che lo rendono idoneo a un determinato lavoro, di cui si sono in precedenza definite le specificità.
I presupposti che stanno alla base di questo approccio “risentono almeno di due pretese meccaniche: essi stabiliscono infatti che in ogni individuo esistono delle capacità e disposizioni congenite tali da renderlo più adatto a certe professioni che richiedono precisamente quelle tipiche abilità [] e inoltre che si possono costruire prove oggettive a misura delle singole capacità” (Scarpellini, Strologo, 1976). In questa prospettiva la diatesi del verbo è quella di orientare qualcuno.
L’impostazione psicoattitudinale viene progressivamente messa in crisi, verso gli anni ’30, dai risultati di alcune ricerche empiriche sul rendimento lavorativo. Tali studi evidenziano come, prendendo in esame due persone dotate di una stessa attitudine nei confronti di una attività lavorativa, quella che dimostra un più elevato grado di interesse nei confronti di questa attività ottiene una migliore riuscita lavorativa; ovvero  secondo Baumgarten (1949) il soggetto con più alto grado di interesse offre maggiore garanzia di riuscita al lavoro. Intorno agli anni ’30 al concetto imperante di profitto inizia a contrapporsi il concetto di “interesse al lavoro” da parte dell’individuo. Si giunge pertanto all’elaborazione della teoria “caratteriologica-affettiva” secondo cui la valutazione delle semplici attitudini psicofisiologiche è considerata insufficiente e lacunosa se non integrata dalla conoscenza del carattere dell’individuo, in quanto proprio il carattere viene ritenuto responsabile della dinamica dell’adattamento allo studio e al lavoro. Il motore primo del rendimento lavorativo è considerato quindi l’interesse e non più l’attitudine. L’orientamento si caratterizza in questa fase più sul versante psicologico che psicofisiologico. Le caratteristiche del soggetto e i suoi interessi manifesti vengono considerati come indizi illuminanti del suo “stato psichico” e investigati tramite l’utilizzo di test. Il perfezionarsi dei metodi psicometrici che favorisce i tentativi di misurazione degli interessi professionali nel quadro della pratica orientativa. La costruzione e la somministrazione di adeguati strumenti di rilevazione vede come proprio interlocutore provilegiato la popolazione adolescenziale e giovanile.
Secondo tale approccio risulta adatto ad un determinato lavoro non solo colui che sa fare grazie ad attitudini specifiche, ma colui che trova piacere a fare, in quanto ha interessi particolare che lo sostengono.

L’attenzione alla variabile interessi pone l’attenzione verso le componenti affettive, intellettive e volitive della persona considerata nella sua globalità. In questa fase l’orientamento considera l’esperienza professionale della persona non in modo isolato, ma all’interno di una dinamica più complessa di cui gli interessi rappresentano la principale spinta motivazionale influenzata anche da condizionamenti ambientali e socioculturali cui l’individuo è sottoposto (Viglietti, 1983).
Con questo approccio l’azione orientativa si sposta verso una più approfondita indagine delle dinamiche psichiche; dalla percezione esterna delle attitudini-capacità ci si orienta ad osservare la struttura di personalità, al fine di individuare la disponibilità interiore verso un lavoro, la carica di investimento affettivo-emotivo che l’individuo canalizza su di esso, il livello di partecipazione, di attenzione e di curiosità che una determinata attività suscita.

 

 

Il progressivo sviluppo della psicologia in senso dinamico, con l’accentuazione dello studio sulle “modalità” di funzionamento dell’individuo, portò al superamento della concezione dell’orientamento inteso come esame psicometrico delle attitudini e dei tratti caratteriologici. Di conseguenza i test persero parte della loro importanza a favore di una individuazione delle inclinazioni più profonde rilevabili soprattutto attraverso il colloquio.

Tra il 1945 ed il 1960, l’approccio dinamico, amplia il concetto di orientamento in quanto tiene conto dei bisogni profondi dell’uomo. L’interesse dell’orientatore è centrato sull’individuo che viene aiutato a comprendere autonomamente gli elementi necessari a risolvere il problema. L’esame d’orientamento agisce quale elemento di chiarificazione, in quanto in grado di aiutare il soggetto a conoscere le sue tendenze profonde dalla cui soddisfazione, in armonia con le attività professionali, deriva il suo adattamento emotivo. Nella terza fase, appunto quella clinico-diagnostica il lavoro è visto quindi come fonte di soddisfazione per l’individuo, come momento di realizzazione dei suoi bisogni più profondi e originari (ad esempio il bisogno di conoscenza, di realizzazione, di gratificazione, ecc.). Acquisiscono quindi un’importanza di primo piano il vissuto del soggetto, il suo passato e le sue motivazioni inconsce.


L’orientamento deve tendere a evidenziare e a far emergere le motivazioni profonde che portano alla scelta della professione che possa maggiormente soddisfare le esigenze personali. Mentre gli interessi considerati nella fase precedente si riferiscono a una preferenza, che solitamente trova la sua origine in fattori esterni quali la famiglia, i mass media e l’ambiente in genere, e in quanto tali possono essere soggetti a cambiamenti, le motivazioni sono legate e manifestano i bisogni più profondi della persona.
Secondo Viglietti (1981) accanto agli elementi coscienti ve ne sono altri incoscienti a carattere emozionale che hanno radici profonde nel passato del soggetto, ai quali si deve spesso collegare la motivazione dei nostri atti.  All’orientamento viene affidato, quindi il compito di scegliere fra le varie professioni quella che maggiormente si mostra in grado di soddisfare i bisogni profondi della persona che la svolge.
In questa fase assumono fondamentale importanza le inclinazioni e non tanto gli interessi, queste sono, secondo Gemelli (1960), l’espressione dei bisogni più profondi della personalità umana, inconsci quindi interni al soggetto e non vi può essere riuscita professionale o scolastica se non vi è corrispondenza fra lavoro e inclinazioni,  mentre gli interessi sono legati a fattori esterni come la famiglia e l’ambiente.
In questa fase cambia anche la figura professionale dell’orientatore, non si tratta più del tecnico testista, ma l’orientamento diventa dominio dello psicologo clinico che utilizza i metodi della psicologia clinica quali il colloquio e reattivi proiettivi.
Sul piano operativo tale approccio mostra dei limiti, dovuti alla difficoltà di estendere le proprie metodologie di intervento ad un numero elevato di utenti.
Inoltre, tale concezione mette l’accento sulla dinamica profonda dell’orientando, sui suoi bisogni, conflitti, ansie trascurando altri fattori come le condizioni economiche e quelle culturali, le tradizioni e i pregiudizi, i valori, le idee, i modelli socialmente acquisiti.

Le prime critiche al predominio della psicologia vengono dalla psicologia che rimprovera gli psicologi di aver trascurato l’importanza dell’ambiente come fattore di condizionamento dell’individuo nella formazione degli interessi professionali e rispetto alle sue potenzialità di scelta. Naville (1945) rivendica il ruolo svolto dai fattori sociali ed economici nella determinazione delle carriere.  Il sociologo francese sostiene inoltre che quelle che la psicologia definisce come attitudini e considera componenti innate sono caratteristiche acquisite dalla persona nel corso della propria esperienza sociale.
I sociologi si focalizzano prevalentemente su due aspetti: sul legame  fra ambiente socio-familiare e scelta lavorativa e tra scelta lavorativa e sbocchi professionali.
In questa prospettiva l’orientamento si configura soprattutto come intervento di razionalizzazione fra domanda e offerta.
Il denominatore comune delle prime tre fasi dell’orientamento è quello di rifarsi a un modello orientativo che riserva al soggetto un ruolo passivo mentre il ruolo dominante è svolto dallo specialista che orienta.
Infatti, le critiche alla psicologia vengono anche dalla pedagogia secondo  Leon (1957), infatti, l’orientamento deve trasformarsi  in un’azione educativa, finalizzata al coinvolgimento dell’adolescente. Inizialmente questo tipo di supporto si connota in senso prevalentemente informativo, finalizzato cioè alla conoscenza della realtà sociale, economica e produttiva che lo circonda.

La critiche in tal senso ha portato allo sviluppo di una nuova concezione, la fase dello sviluppo vocazionale (Viglietti, 1995). Questa fase si basa sulla convinzione che la scelta professionale raggiunge la sua maturazione attraverso tappe evolutive che devono essere affrontate e adeguatamente superate, tenendo presente che la scelta professionale può rappresentare per il soggetto una trasposizione ed un’attuazione dell’immagine di sé. La diatesi del verbo è diventata riflessiva:orientarsi.
In questi anni (1970) l’orientamento è visto come un problema importante per la cui risoluzione necessitano in primo luogo gli apporti dell’individuo, poi della famiglia, della scuola e della società.
Le tappe dell’evoluzione della scelta professionale si basano sull’esplorazione da parte del soggetto, di tutte le sue possibilità per poter formulare un progetto personale e poterlo successivamente realizzare.

Secondo Super (1957) che elaborò la teoria dello sviluppo vocazionale è possibile individuare delle tappe evolutive di maturazione alla scelta, pertanto è il soggetto che, opportunamente aiutato con azioni educative, decide il proprio progetto futuro.
L’approccio vocazionale prende in considerazione le componenti razionali ed emotive, le attitudini gli interessi.
A un’idea di orientamento statico si viene progressivamente sostituendo una concezione dinamica, da un centraggio sul lavoro e sulle sue esigenze ci si sposta progressivamente verso la persona e i suoi bisogni, ponendo l’individuo al centro del processo orientativo.
Si comincia a delineare la possibilità di una autodeterminazione umana nei confronti dell’inserimento sociale e professionale, che implica contemporaneamente problemi di natura psicologica e pedagogica ma anche di tipo economico e sociale e in cui la pratica orientativa prende sempre più le caratteristiche di un processo di auto-orientamento.
Il soggetto viene considerato attivo, in grado di orientarsi autonomamente nel progetto con l’operatore in un clima di piccolo gruppo, che richiama concettualmente Lewin e la psicologia topologica e Rogers con i gruppi di incontro.

Inoltre, mentre gli approcci passati hanno identificato nell’adolescenza la fase cruciale del processo di scelta professionale, con i contributi di Super si delinea un modello di carriera lavorativa che interessa tutto l’arco esperienziale del soggetto. Ovvero che i cambiamenti e le scelte non si concludono nell’adolescenza, ma continuano significativamente per tutta la vita. Questo diventa quindi un supporto a tutti i gruppi sociali impegnati a fronteggiare differenti momenti di transizione, come gli adulti cassaintegrati, quelli che cercano un secondo impiego, i portatori di handicap, i disoccupati, ecc.. L’orientamento viene inteso come un processo continuo, una formazione permanente perde così di significato la distinzione tra orientamento scolastico e professionale. Le condizioni di transazione che caratterizzano il sistema economico e sociale degli anni ’70 e ’80 richiedono, infatti, alle persone la capacità di operare scelte che presuppongono una circolarità ricorrente fra esperienze formative ed esperienze lavorative. L’orientamento diventa quindi un supporto strategico alla persona che si trova a vivere situazioni di transizione dalla formazione al lavoro e viceversa e dal lavoro al lavoro.

I nuovi riferimenti teorici hanno portato a vedere l’orientamento in una prospettiva di educazione alla scelta in cui al centro di questo processo viene posto l’individuo che si deve orientare e non  più l’esperto orientatore.
Viene messa in discussione l’egemonia della psicologia  per affermare l’interdipendenza di differenti contributi delle scienze sociali come la sociologia e l’economia.
Nella fase maturativo-personale si pone al centro dell’intervento orientativo l’autodeterminazione umana che deve trovare la massima possibilità di manifestarsi e realizzarsi. Quindi orientare diviene sinonimo di aiuto alla persona a prendere coscienza di sé, educando alla scelta o meglio a saper scegliere.
Gli operatori dell’orientamento hanno quindi il compito di facilitare la consapevolezza e la responsabilità individuale ed il compito di abilitare il soggetto a prendere decisioni riguardo a scelte di carattere personale proprio fornendo l’opportunità di esplorare, scoprire e chiarire schemi di pensiero e di azione. I concetti fondamentali diventano il processo di maturazione e l’autodeterminazione personale in relazione ad un soggetto in posizione attiva.

L’orientamento oggi in Italia

L’obiettivo di quanti oggi operano nel campo dell’orientamento è quello del superamento di una visione specialistica e unidirezionale a favore di un metodo che consideri prioritaria la necessità di  integrare una pluralità di interventi e competenze che agiscono a “rete” attraverso progetti e verifiche che ne consolidino nel tempo le opportunità e l’efficacia. L’approccio globalistico-interdisciplinare a qui oggi si fa riferimento tiene conto della persona in termini di interessi, bisogni, attitudini ma anche di tutta la costellazione di fattori sociali che necessitano di essere conosciuti dal soggetto per poter effettuare quella sintesi personale in cui egli trova la propria identità personale e professionale. Si fa spazio un modo di vedere l’orientamento, fase esistenziale, come una modalità permanente di sviluppo della persona vista in funzione di un suo orientamento dinamico nella società. L’approccio esistenziale è rivolto a tutto l’uomo e considera che la professione a cui è chiamato non è quella di occupare un posto produttivo, ma quella di realizzare se stesso. Scarpellini (1994) ha visto la finalità primaria dell’azione orientativa nel servizio alla persona e in secondo luogo alla società.

Modelli pragmatici di riferimento

 

1) Modello informativo

Questo modello ritiene fondamentale e sufficiente l’erogazione del maggior numero possibile di informazioni al soggetto, affinché provvedere ad elaborarle e ad operare le sue scelte. Il piano informativo previsto è di ampio respiro e spazia dai percorsi scolastici e professionali ad una panoramica delle opportunità offerte.

2) Modello psicodiagnostico

L’utilizzo di test in ambito diagnostico va considerato come un mezzo per consentire all’individuo di acquisire ulteriori informazioni su se stesso in modo che possa affrontare con maggiore consapevolezza i suoi problemi esistenziali
Fondamentali in questo modello sono i termini tradizionali di attitudini, personalità e interessi ma anche altri aspetti dell’individuo, ad esempio abilità di problem solving, modalità di apprendimento e di organizzazione dello studio. L’accertamento di tali caratteristiche viene attuato a tramite strumenti statistici come i test come quelli di rendimento e di personalità.
Le  attitudini possono essere considerate delle capacità a fare bene determinate cose. Definiscono un saper fare meglio degli altri perché presente una sorta di predisposizione innata ad ottimizzare l’apprendimento e l’attivazione di determinate conoscenze o esecuzioni. Attualmente sono presenti batterie attitudinali multiple (DAT) e test di attitudini specifiche. Di fondamentale importanza è comunque valutare ai fini dell’orientamento non sono le attitudini ma anche l’interesse e la motivazione. Fondamentale è anche conoscere i valori professionale perché questo permette di capire il significato di certi percorsi formativi e di vita. I valori che si strutturano nell’infanzia e si consolidano nell’adolescenza dipendono da vari fattori: la storia personale e lo stile educativo dei genitori, le influenze dovute dalle relazioni affettive con gli adulti di riferimento; l’appartenenza culturale e sociale della famiglia; dalla personalità e dalle influenze del paese e dell’epoca in cui si vive.
Per quanto riguarda gli interessi professionali vengono utilizzati dei questionai di valori professionali. Per le motivazioni il questionario sull’efficienza nello studio.
Per le caratteristiche di personalità i questionari di personalità come MMPI ed il Big Five test proiettivi come il Rorschach ed il TAT.
Per valutare le abilità cognitive vengono utilizzati i test di intelligenza, quelli psico-attidunali e quelli di profitto. Tra i test d’intelligenza  che trovano applicazione nell’orientamento e nella selezione del personale troviamo test di intelligneza generale come le matrici progressive di Raven e il test del domino e test di intelligenza collettivi che riunisce una serie di abilità specifiche come il test di OTIS. Tra i test psico-attitudinali che generalmente sono riuniti in batterie troviamo il DAT e il test delle abilità mentali primarie. I test di profitto misurano i risultati di apprendimento specifici.

3) Modello educativo

Le condizioni socioculturali, grazie all’interazione di alcuni fattori preminenti (stato economico e livello culturale della famiglia di provenienza, atteggiamento nei confronti della scuola, ecc.) sono considerate determinanti sulle scelte formative e/o professionali dell’individuo. Secondo questo modello, l’orientamento, si realizza lungo un continuum che coincide con tutto l’arco della vita lavorativa. Quindi l’individuo dev’essere seguito nella fasi di scelta almeno per tutto l’arco evolutivo, prendendo in considerazione non solo l’aspetto o determinati aspetti della personalità, ma l’individuo nella sua globalità. Fondamentale è facilitare autonomi e consapevoli processi decisionali in cui l’obiettivo dell’orientamento non è solamente la conoscenza del potenziale psicologico dell’individuo ma inizia a dilatarsi  alla conoscenza del mondo sociale, del lavoro, delle professioni, tendendo alla promozione del processo di maturazione professionale dell’individuo e d implicando competenze progettuali e responsabilità personali per una scelta matura e consapevole.
Secondo Ginzberg la scelta professionale è un processo evolutivo che comporta non una singola decisione bensì una serie di decisioni prese lungo un percorso di molti anni: questo processo, inoltre, sarebbe in larga misura irreversibile e si concluderebbe in un compromesso che è un aspetto essenziale di ogni scelta.
Secondo questo approccio fattori interni ed esterni interagiscono durante lo sviluppo e spiegano l’itinerario vocazionale della persona. Secondo la teoria di Ginzurb la sequenza degli eventi che conduce alla scelta professionale viene descritta come un processo di decisione che si sviluppa in tre fasi. Nella prima tra i 7 e gli 11 anni vengono effettuate delle scelte di fantasia; la seconda fase tra gli 11 e i 17 anni è detta dei tentativi; la terza dai 17 anni in poi è il periodo in cui l’individuo giunge a scelte realistiche. La prima fase si suddivide in 4 stadi. Nel primo stadio, quello degli interessi, il preadolescente comincia a rendersi conto che dovrà prendere decisioni circa il proprio futuro e le scelte sono prese su ciò che gli piace e che lo interessa. La maggioranza dei preadolescenti hanno il desiderio di fare il lavoro del padre. Nel secondo stadio, della capacità l’adolescente è più realistico e si chiede non solo quello che gli piace fare ma anche quello che può fare acquisendo maggiore consapovolezza dei fattori esterni iniziandosi a vedere nel futuro. Nel terzo stadio, del valore, l’adolescente considera più elementi come le possibilità e le abilità che ha. Nello stadio di transizione l’accento si sposta dai valori più soggettivi verso le condizioni della realtà. L’ultimo periodo delle scelte realistiche si ha una ricerca attiva di nuove conoscenze ed esperienze (esplorazione) dall’impegno in una data scelta (cristallizzazione) e della specificazione di questa in un campo lavorativo.
Una concezione più innatista è quella di ROE sull’origine e lo sviluppo degli interessi. Secondo tale concezione l’influenza ereditaria è più rilevante per le capacità intellettuali ed il temperamento che per gli atteggiamenti e gli interessi più determinato da esperienze individuali.
Punto cardine della teoria di Super è il concetto di sviluppo vocazionale, inteso come un processo continuo, dall’infanzia alla vecchiaia, caratterizzato dalla dinamicità perché risultante da fattori individuali e di tipo culturale. Nella prima fase dello sviluppo vocazionale, la fase della crescita, dalla nascita fino ai 14 anni, si ha un identificazione del ragazzo con le figure di riferimento e  una successiva differenziazione. La seconda fase, dai 14 ai 25 anni è un periodo di esplorazione di valutazione delle opportunità e di prove. Segue la cristallizzazione in cui si chiariscono le preferenze e la fase della stabilizzazione e progresso dai 25 ai 45 anni in cui abbiamo una stabilità ed un equilibrio acquisiti. La fase del mantenimento tra i 45 e i 65 e quella del declino. Fondamentale è per Super l’interesse posto sulla relazione fra immagine di sé e il tipo di scelta professionale a cui l’individuo aspira.

4) Modello del counseling

Questo modello prevede l’interazione di due persone il counselor ed il cliente con lo scopo di abilitare il cliente a prendere una decisione riguardo a scelte di carattere personale come scegliere un lavoro o un corso di studi. Alla base di tale modello troviamo l’originaria intuizione rogersiana secondo la quale il modo migliore di venire in aiuto ad una persona non è dirle cosa fare ma piuttosto aiutarla a comprendere la sua situazione e a gestire il problema prendendo da sola le responsabilità delle scelte eventuali attraverso un colloquio centrato sulla persona.
Secondo Brunet il counseling consiste nell’abilitare il cliente a prendere una decisione riguardo a scelte di carattere personale o a problemi o difficoltà speciali che lo riguardano direttamente. Compito del counseling è di dare al cliente un’opportunità di esplorare, scoprire e chiarire dei modi di vivere più fruttuosi e mirati ad un più elevato stato di benessere. Il compito del counselor è quello di aiutare le persone a trovare dentro loro stesse le risposte che cercano, partendo sempre dal qui ed ora.
Il soggetto viene considerato come attivo in grado di autodeterminarsi e di orientarsi.
Accrescendo il livello della consapevolezza relativamente ai suoi schemi di pensiero e di azione, il soggetto aumenta la sua congruenza personale/procedurale per un uso migliore delle proprie risorse rispetto ai bisogni e desideri personali. Per esempio attraverso il bilancio delle competenze si permette al soggetto di elaborare un progetto professionale a breve, medio e lungo termine, a partire dall’analisi della sua esperienza, della sua storia, delle competenze che possiede e del suo potenziale, tenendo conto dei suoi gusti, dei suoi valori prioritari e delle scelte personali nella vita. La legislazione francese offre dal 1992 ai lavoratori con almeno 5 anni di esperienza la possibilità di usufruire di una consulenza personale e professionale. Tale modalità di counseling si propone di aiutare l’individuo a fare il punto del suo percorso di vita, a prendere coscienza delle competenze che ha acquisito, del suo potenziale, dei suoi interessi e valori, in modo da consentirgli di promuovere e mobilizzare queste sue risorse nell’ambito di nuovi progetti personali e professionali. Il bilancio delle competenze si basa sul modello ADVP cioè su una concezione dello sviluppo professionale inteso come processo dinamico e permanente, all’interno del quale l’individuo matura attribuendo significato e valore alle sue esperienze. Attraverso il bilancio è possibile attivare tale processo rendendo l’individuo consapevole delle sue risorse e quindi in grado di porsi come il principale artefice del proprio adattamento all’ambiente di vita. Il processo è finalizzato ad aiutare l’individuo a prendere coscienza di sé e delle opportunità offerte dall’ambiente circostante. Gli obiettivi che si vogliono raggiungere sono: supportare l’individuo nell’analisi critica del proprio percorso professionale elaborando un portafoglio di competenze traducendo cioè le singole esperienze in competenze e abilità; elaborare un repertorio di valori, preferenze ed interessi; costruire un progetto personale e professionale.
Il consulente di bilancio deve considerare l’utente nell’ambito di un approccio sistemico ponendolo in rapporto con il suo contesto relazionale e sociale. Lo strumento privilegiato è il colloquio individuale.
Un altro esempio è costituito dal carrer counseling che indica un’attività di counseling finalizzata alle scelte ed allo sviluppo professionale dell’individuo che ha come obiettivo quello di aiutare l’individuo con problemi connessi al suo lavoro e/o alla sua programmazione della carriera. In questo tipo di intervento rientra anche il counseling per l'outplacement che si rivolge a persone licenziate per elaborare il senso della perdita in modo che sia possibile riattivare le potenzialità personali ed investirle nella ricerca attiva del lavoro.
Un intervento di carrer counseling implica l’utilizzo sia di strumenti psicometrici che di colloqui individuali e per alcuni autori anche di gruppo.
La professione è una parte integrante del benessere dell’individuo, d’altra parte il mercato del lavoro è sempre più precario questo porta ad una maggiore richiesta del carrer conseling. Lo sviluppo di carriera, il carrier development viene considerato come un processo continuo, caratterizzato da scelte e da accomodamenti. Parsons è fra tutti gli autori quello che da inizio alla riflessione sul carrer development e parte dal presupposto che ogni individuo possiede tratti, interessi, abilità e caratteristiche di intelligenza. Egli sostiene la necessità di una buona conoscenza di sé e delle proprie caratteristiche per poter scegliere una carriera professionale idonea alla propria persona.

5) Modello psicosociale

Questo modello considera gli eventi come fenomeni sia individuali che sociali e li analizza tenendo conto delle relazioni che intercorrono tra i processi psicologi individuali e i processi sociali in un ottica di vicendevole interdipendenza.
Secondo questo approccio acquista importanza il processo di socializzazione e di socializzazione al lavoro come processo che permette al soggetto di considerarsi e di essere considerato membro del proprio gruppo grazie alle esperienze ed all’apprendimento per imitazione e identificazione.
L’esperienza formativa e lavorativa può essere rappresentata come un processo in continua evoluzione, caratterizzato da una pluralità di eventi significativi. Tali compiti di sviluppo si connotano come situazioni di transizione psicosociale e vengono descritte dagli psicologi come  eventi stressanti tanto da rendere la persona più vulnerabile per un bisogno di riorganizzazione della propria esperienza di vita che possono portare a parziali esperienze di crisi e a sentimenti di disagio psicologico. La situazione di transizione non minaccia il benessere psicofisico della persona se le richieste che provengono da contesto sono valutate come adeguate alle proprie capacità di risposta. La crisi, spesso percepita come negativa, può essere invece un’occasione di svolta, di sviluppo e una ricostruzione di un nuovo e più soddisfacente stato di equilibrio psicologico. Questa situazione porta ad una fase di disorientamento e di disorganizzazione psicologica. Entrano in gioco, in questa fase di gestione del problema gli stili personali di coping, il concetto di self-efficacy ovvero al percezione che il soggetto ha della capacità di portare a termine  con successo il compito che si trova ad affrontare. Tale rappresentazione si basa su un processo di autovalutazione che chiama in causa la sua storia personale di successi e d insuccessi. Un altro concetto importante in questa fase decisionale e quello di locus of control in quanto una persona che non si sente artefice della propria esperienza tende a sviluppare un atteggiamento passivo che può indurre un orientamento generale all’insuccesso. Quando una persona comincia a ritenere che qualsiasi comportamento messo in atto non permetterà di risolvere la situazione, si sviluppa una sentimento di learned helpessness o impotenza appresa cioè la responsabilità che il soggetto si attribuisce circa il fatto di non essere capace di controllare gli effetti del proprio comportamento.
Non tutte le situazioni di transizione sono portatrici di stress psicosociale, dev’essere percepita dal soggetto come un problema e come una minaccia per la propria identità. Inoltre le differenze individuali influenzano la percezione del problema e il livello di stress.
L’azione orientativa aiuta a riorganizzarsi in modo tale che la situazione non venga percepita come svalutativa per la propria identità e ad elaborare strategie di coping, finalizzate a una lettura delle variabili che intervengono nella situazione per capire come muoversi e per impostare un’adeguata soluzione del problema in cui si va incontro. Il sostegno al processo di orientamento è teso a favorire un’interazione fra l’individuo e l’ambiente (scolastico o lavorativo), articolando fra loro i fattori dei diversi gruppi di appartenenza. Quindi l’immagine del lavoro e della scuola è stata individuata come uno dei costrutti utilizzabili nella spiegazione del processo di scelta. Il filone di studi sulle rappresentazioni sociali è utile quindi per approfondire il problema degli atteggiamenti e delle opinioni nei confronti del lavoro e della formazione. Non è quindi la rappresentazione che il soggetto si costruisce nei confronti del lavoro e della scuola che ne condiziona in maniera automatica la scelta, bensì la modalità di articolazione che essa trova con l’immagine di sé elaborata dall’individuo nel corso della propria esperienza sociale.

Quindi se ogni situazione di transizione rappresenta una potenziale fonte di stress psicosociale, il fronteggiamento positivo di questa esperienza contribuisce a far sperimentare alla persona una condizione di benessere psicosociale e le fornisce indicazioni utili per la costruzione della propria identità.
Quindi secondo l’approccio psico-sociale l’azione orientativa aiuta il soggetto a riorganizzarsi in modo che la situazione non venga percepita come svalutativa per propria identità e ad elaborare strategie di coping finalizzate a una lettura delle variabili che intervengono nella situazione per capire come muoversi e per impostare un’adeguata soluzione del problema. Il sostegno al processo orientativo è teso a favorire un’interazione fra l’individuo e l’ambiente (scolastico o lavorativo) articolando fra loro fattori personali, relazionali e ambientali e mettendo in discussione vissuti soggettivi, schemi cognitivi e strategie consolidate di coping.
Secondo questa prospettiva, il processo di orientamento allarga il suo campo di intervento classico: non si colloca più prevalentemente sul versante dell’individuo e della valutazione delle sue potenzialità e aspirazioni, ma viene ampliato a tutti quei processi cognitivi che attengono all’articolazione tra psichico e sociale ovvero sia le posizioni sociali sia i sistemi di norme, valori, credenze che costituiscono il patrimonio ideologico e di conoscenze dell’ambiente in cui l’individuo vive e nel quale è avvenuta la sua socializzazione.
Il concetto di socializzazione si configura come quel processo che consente a ogni individuo- attraverso cui esperienze e forme di apprendimento, di imitazione e di identificazione- di considerarsi e essere considerato membro del proprio gruppo. Il concetto di socializzazione al lavoro quindi si configura come un processo di acquisizione di conoscenze, capacità, valori, motivazioni necessarie per divenire membro a pieno titolo di un organizzazione lavorativa. Questo processo coinvolge l’individuo per tutto l’arco della vita ed è influenzato da varie fonti (la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari, i gruppi sociali di appartenenza, i mass media, i servizi di orientamento e i servizi sociali specifici) che operano un’azione di trasmissione di conoscenze socialmente condivise e propongono modelli esistenziali nella fase che precede l’entrata nel mondo adulto proponendo rappresentazioni del lavoro e del suo significato.
Nel processo decisionale svolgono quindi un ruolo determinante sia le rappresentazioni che l’individuo possiede di sé sia le rappresentazioni dei rapporti attraverso cui l’individuo si relaziona con il mondo circostante, risultano quindi essenziali il processo di socializzazione e quello di interazione sociale: l’individuo si costruisce l’immagine che ha di se stesso e il senso di avere una propria identità confrontandosi con il mondo che lo circonda, identificandosi con “altri” significativi, interiorizzando i ruoli che l’ambiente in cui è inserito ritiene idonei e socialmente accettati. Fondamentali quindi diventano l’immagine propria, ovvero l’insieme di caratteristiche che il soggetto ritiene di possedere: disposizioni, abitudini, capacità atteggiamenti; e l’immagine sociale ovvero dall’immagine di se che l’individuo si forma sulla scorta delle indicazioni e degli atteggiamenti che gli altri hanno nei suoi confronti. Fondamentale nel processo di orientamento è per l’individuo operare una scelta che armonizzi o per lo meno prenda in considerazione, sia le sue componenti personali sia le variabili riconducibili all’identità sociale. Ovvero le scelte devono essere in armonia sia con i propri bisogni soggettivi sia con i valori dell’ambiente che lo circonda.

L’interazione individuo-ambiente di lavoro deve tenere conto dei significati sociali, dei valori, delle aspettative connesse con il lavoro, in quanto tutti questi elementi sono parte integrante del soggetto e dei suoi meccanismi cognitivi.
L’applicazione della teoria delle rappresentazioni sociali ha portato a superare un’ottica di intervento esclusivamente valutativa e individualistica.
In questa prospettiva l’orientamento si configura come un intervento finalizzato a perseguire un percorso maturativo basato sulla consapevolezza delle proprie potenzialità e sulla responsabilità delle scelte operate. È possibile intervenire in questo senso sia individualmente sia in gruppo. Infatti  nell’ottica psico-sociale ogni decisione concernente l’adattamento e l’integrazione dell’individuo nella società non può prescindere dalle interazioni che si sviluppano nel gruppo, nonché dai valori e dai punti di vista che in esso si confrontano. Le reti e le dinamiche emotive insite nella dinamica di gruppo offrono al soggetto la possibilità di porsi in rapporto con quanto pensano gli altri discutendo e verificando le proprie idee. Il gruppo diviene quindi il luogo privilegiato in cui si verifichi un processo di confronto sociale. Secondo tale prospettiva l’individuo è considerato come portatore di bisogni ed è inserito in un reticolo di interazioni socialmente significative.

6) Modello globalistico-interdisciplinare

Tiene conto della globalità della persona in termini di interessi, bisogni, attitudini ma anche di tutta la costellazione dei fattori sociali che necessitano di essere conosciuti dal soggetto per poter effettuare quella sintesi personale in cui egli trova la propria identità personale e professionale.
L’approccio globalistico considera l’interazione di più fattori e la scelta orientativa è considerata come l’espressione di esigenze personali, familiari, socioculturali, economiche, di auto-orinetamento propositivo, progettuale, intenzionale ed esistenziale. Si fa riferimento ad una visione dell’orientamento come modalità formativa permanente finalizzata alla piena realizzazione dell’individuo.

7) Modello centrato sul self-empowerment

La filosofia dell’empowerment collega ogni forma di aiuto erogato alla persona, dall’informazione al counselling, ad una finalità generale di auto-promozione personale. I primi movimenti di questo approccio, anche se non viene menzionato l’empowerment, si ritrovano nella career education e nel metodo ADVP. La career education si propone quattro scopi: la conoscenza di sé stessi e la consapevolezza delle proprie attitudini:ì; la consapevolezza delle opportunità lavorative; l’acquisizione delle capacità decisionali; imparare a vivere la transizione.
Il metodo dell’ADVP parte dal presupposto che la maturazione della scelta professionale si realizzi attraverso alcune tappe evolutive che presentano differenti compiti vocazionali. L’individuo per completare il proprio percorso di sviluppo deve affrontare e superare positivamente le diverse tappe esplorando differenti campi professionali per arrivare a sviluppare la propria maturità vocazionale.
Secondo questo approccio, l’intervento orientativo deve: aumentare il livello di consapevolezza dell’utente circa le diverse variabili che intervengono nel processo orientativo; incrementare la capacità di lettura dei singoli fattori potenziando competenze di analisi e di valutazione critica; sviluppare metodologie attive di problem solving. Quindi ogni azione di orientamento deve perseguire tre obiettivi:
la ricostruzione: si tratta di aiutare la persona a tirare fuori tutte le informazione e le conoscenze, di esplicitare le rappresentazioni di sé, della scuola, del alvoro e del futuro;
l’allargamento: si tratta di ampliare le conoscenze, ma soprattutto di migliorare la capacità di lettura della realtà potenziandole capacità di valutazione critica introducendo nuove informazioni e nuovi punti di vista.
Il coping: si tratta di aiutare ad elaborare delle strategie per affrontare positivamente un evento nuovo e complesso o per impostare la soluzione di una situazione.

8) Modello umanistico

Il punto centrale di questo modello è che l’orientando è considerato come una persona, l’unico agente dell’orientamento, e tutto ciò che gli orientatori possono e devono fare consiste nel formare atteggiamenti corretti nei confronti delle carriere e far maturare la capacità di decidere razionalmente. Ai fini di una scelta soddisfacente si ritiene che l’orientando debba avere:
a)                      una conoscenza articolata delle scelte istituzionali scolastiche e formative e dei relativi sbocchi professionali;
b)                      una conoscenza articolata delle proprie capacità personali;
c)                       un chiarimento della propria posizione affettiva nei confronti della alternative di scelta con la segnalazione degli interessi e dei valori che ne derivano;
d)                      un chiarimento delle sue caratteristiche personali che potrebbero rendergli difficile il raggiungimento di certi obiettivi o renderlo insoddisfatto della scelta.
Questo tipo di approccio non ipotizza una deterministica corrispondenza dell’uomo giusto al posto giusto ma mette al centro gli interessi dichiarati dal soggetto che viene informato delle prospettive di realizzazione di un progetto di vita in relazione con le sue attitudini e con gli aspetti della sua personalità.
Al centro di tale modello ci sono gli atteggiamenti che sono connessi alle strutture più stabili della personalità dell’individuo, frutto aia dell’esperienza sia dalle convinzioni, emozioni, dinamiche profonde e valori.
Prove psicoattitudinali
L’esame psicoattitudinale degli alunni, e attuato attraverso una serie di prove somministrate collettivamente nelle singole classi e volto a valutare alcune caratteristiche individuali dell’alunno, sotto l’aspetto cognitivo, culturale e della personalità.
Ci sono una serie di informazioni che possono costituire dei punti di riferimento su cui basarsi per effettuare una scelta il più possibile consapevole e adeguata. A tale scopo possono essere somministrate un insieme di prove volte a valutare alcune caratteristiche dell’alunno, sotto l’aspetto cognitivo, culturale e di personalità.
Per le attitudini potrebbe essere utilizzato il Bpa (batterie di prove attitudinali); per gli interessi il Qip (questionario di Interessi Professionali); per le motivazioni allo studio cioè l’atteggiamento nei confronti della scuola, la regolarità nei compiti e l’utilizzo di un metodo di studio sistematico il Qes (questionario sull’efficienza allo studio); per la personalità come la stabilità emotiva, la fiducia nelle proprie capacità, la costanza e il seno di responsabilità, un questionario di autovalutazione ed il test del disegno di Wartegg.
Modello umanistico
1° fase informazione agli alunni
· Incontro dibattito collettivo con tutti gli alunni della scuola per la presentazione del progetto e inquadrare la tematica dell’orientamento
2° fase: informazione sugli alunni:
· Prerequisiti dell’apprendimento (test attitudinali, prove di profitto, osservazioni e valutazioni dei docenti)
· Interessi professionali (questionario di interessi MV 70)
· Situazione familire (scheda di opinioni di ogni alunno su: professioni esercitate dalla famiglia, preferenze individuali, motivi della scelta)
3° fase: somministrazione collettiva dei test
· Test di abilità; di matematica; di pensiero critico non verbale;
· Prova oggettiva di italiano, test di abilità, questionario di interssi
4° fase elaborazione dati
5° fase  restituzione dei risultati dei test
· restituzione dei risultati dei test ai singoli studenti (resoconto)
· colloquio individuale
6° fase: follow-up

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